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STORIA E LEGGENDA DI CATANZARO E PAESI CIRCOSTANTI

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Messaggio  eugenio21 Ven Mag 25, 2012 3:35 pm



Ultima modifica di eugenio21 il Lun Giu 04, 2012 10:23 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio  eugenio21 Ven Mag 25, 2012 4:09 pm

Storia di Catanzaro


Ritratto in terracotta del III secolo a.C. ritrovato lungo il fiume Corace e custodito nel museo provinciale di Catanzaro
Il primo storico antico a nominare la città di Catanzaro fu Polibio, nelle sue "Storie". La descrive come un antico centro greco, facente parte dell'area di Scolacium, posto su uno sperone roccioso dal quale era possibile vedere l'intero Scilletinico, l'attuale Golfo di Squillace. Secondo lo storico, lungo il fiume Crotalus (attuale Corace) sorgevano vari centri abitati, tra cui uno situato lungo la sponda settentrionale del fiume, che chiama "Crotalla" (attuale Marina)
Quest'ultimo centro viene segnalato anche da una bolla papale datata tra 800 e il 900 d.C. che chiamava Palepoli, l'antica Crotalla.
Altri storici, tra cui Cassiodoro parlano di vari centri situati nell'entroterra a pochi km da Crotalla, poco distanti l'uno dall'altro, come Gallianus (attuale quartiere Gagliano), Petrusa, Mater Domini (attuale quartiere Mater Domini), Petra Gnazia, Janous (attuale quartiere Ianò), Sansenatora (attuale Sansinato), Cassioleonum (attuale Casciolino) e Castra Hannibalis (sulla sponda nord del fiume Crotalus in prossimità del quartiere Marina.


Castra Hannibalis alla foce del Crotalo
Anche il D'Amato, nelle sue Memorie Historiche, conferma la presenza di vari piccoli centri di origine autoctona e divenuti colonia greca.


Ultima modifica di eugenio21 il Ven Mag 25, 2012 4:20 pm - modificato 2 volte.
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Messaggio  eugenio21 Ven Mag 25, 2012 4:14 pm

Storia Di Soverato

Dal punto di vista storico, Soverato, sorge sul territorio che, a suo tempo, si dice sia stato occupato da un villaggio a cui la tradizione erudita locale ha attribuito il poleonimo, attestato solamente per il secolo XVII, di Poliporto, toponimo a cui sono stati attribuiti varie interpretazioni. Il nome "Suberatum" fu dato al villaggio, a seguito della ricostruzione sulla collina sovrastante la costa, durante il X secolo d.C. Pochi sono i documenti esistenti relativi alla cittadina di Soverato ma, fondamentale, è un testo storico che registra la presenza di un mulino all'interno di un territorio denominato "Suberati". Durante gli anni il nome modificò per raggiungere l'attuale forma. Tra i tanti nomi attribuitigli ricordiamo Sughereto, Sovrato e Subrato. In riferimento al nome odierno, si ritiene che coloro i quali attribuirono questo nome al villaggio presero spunto dal grande numero di alberi da sughero presenti nel territorio. Altre ipotesi, molto fantasiose, sono prive di fondamento e quindi vengono scartate. Nella parte alta della città restano dei ruderi della città che viene chiamata Soverato Antica o "Soverato Vecchio". Si tratta di un abitato che fu distrutto dal Terremoto del 1783 che colpì il sud Italia. In realtà si trattò di una serie di terremoti che ebbero inizio il 5 febbraio 1783 e a cui seguirono più di 900 scosse fino al 28 marzo 1783. La scossa che recò maggiore danni a Soverato Antica, secondo alcuni studi, risale al 28 marzo 1783 ed ebbe epicentro fra i Comuni di Borgia e Girifalco. Soverato "da vedere" offre anche una serie di opere di altissimo contenuto storico come ad esempio la Pietà del Gagini (1521) oppure il borgo antico - sopra descritto - denominato "Soverato vecchio". È stata dichiarata città dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone.
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Messaggio  selene Ven Mag 25, 2012 7:20 pm

sicuramente farò una pessima figura ma non ho capito se Eugenio 21 è un nuovo utente oppure era già in questo forum da tanto ma cmq le notizie che ha scritto sono molto utili e interessanti
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Messaggio  eugenio21 Ven Mag 25, 2012 8:48 pm

Selene sono sempre Eugenio di una volta... non hai fatto brutta figura nel chiederlo, prima era Eugenio da grande ,adesso sono sempre io da quando avevo sei mesi, grazie per avere trovato interessanti quei spezzoni di storia ciao Selene
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Messaggio  eugenio21 Ven Mag 25, 2012 10:07 pm

Storia

Per approfondire, vedi le voci Nicastro, Sambiase e Sant'Eufemia Lamezia.


Notturno di Lamezia con le Isole Eolie


Etna visto dalle colline di Lamezia


Reventino innevato sullo sfondo di Lamezia


Rione San Teodoro e castello Normanno-Svevo


Corso Vittorio Emanuele, monumento a Giovanni Nicotera e particolare Chiesa Matrice


La Chiesa Matrice


Dettaglio del soffitto della Chiesa Matrice
Lamezia Terme è formalmente un agglomerato abbastanza recente, il comune è stato costituito il 4 gennaio 1968 dall'unione amministrativa di tre centri abitati, che, prima di tale data, costituivano comuni a sé stanti (Nicastro, Sambiase, Sant'Eufemia Lamezia) e oggi sono considerati dei veri e propri quartieri.
La storia di Lamezia Terme comprende quindi la storia dei tre comuni da cui è sorta che hanno origini medievali, ma il territorio era abitato anche molti secoli prima che questi centri sorgessero. Esistono reperti archeologici che testimoniano la presenza nel suo territorio di comunità del periodo italico e del periodo Magno-Greco, tanto che la maggior parte degli studiosi ritiene che l'antica città greca di Terina si trovasse nel territorio di Lamezia Terme e precisamente nell'impluvio del torrente bagni nei pressi di Sant'Eufemia del Golfo, l'odierna Sant'Eufemia Vetere.
Nel Medioevo nacquero i tre comuni componenti l'attuale Lamezia Terme che erano abbastanza diversi, ma di fatto complementari tra loro: Nicastro era prevalentemente basata sul commercio, Sambiase più vicina all'agricoltura, mentre Sant'Eufemia Lamezia era nata più recentemente da un gruppo di case intorno alla stazione ferroviaria principale, che costituivano dapprima la sede del consorzio di bonifica delle paludi e sulla base del vecchio centro di Sant'Eufemia del Golfo, sede feudale.
La fusione proposta dal senatore Arturo Perugini, nacque dall'esigenza di creare un agglomerato urbano forte e capace di sfruttare al meglio le risorse messe a disposizione dal territorio comunale. La proposta di legge Perugini di unire i comuni non costituiva di certo una novità. Circa quarant'anni prima, infatti, era già stata pensata da una altro parlamentare nicastrese il senatore Salvatore Renda. Questi era spinto dall'onda delle politiche di popolamento delle campagne operate durante il regime dittatoriale fascista. Dello stesso periodo (1927) è la costituzione della grande Reggio che univa 14 piccoli comuni soprattutto delle aree collinari. L'idea era addirittura di fare di Nicastro una provincia. La legge riguardava l'unione dei comuni di Nicastro e di Sambiase, non essendo ancora stato istituito il comune di Sant'Eufemia Lamezia. Quest'ultimo comune, infatti, sarà fondato per volontà del regime fascista attorno al preesistente nucleo ferroviario denominato "Sant'Eufemia Biforcazione", con la legge 8 aprile 1935 n. 639. Ma le pretese e le ambizioni mosse nel 1927 dal senatore Renda non furono accolte dagli amministratori del comune di Sambiase che non vollero rinunciare alla propria autonomia e soprattutto ricadere sotto la denominazione di nicastresi.
I discorsi fatti da Perugini saranno sempre richiamati nel corso degli anni successivi fino ai giorni nostri. Lamezia è stata raccontata e sarà raccontata come Perugini l'aveva pensata, un grande centro di servizi e la città cerniera della Calabria, in una dimensione di straordinaria attualità. Perugini ha inseguito per tutta la vita la realizzazione del sogno di una grande città, la Grande Lamezia, la Brasilia della Calabria, che non solo doveva contribuire a sviluppare il territorio lametino, ma grandezza del sogno, la regione intera. Anche Giovanni Renda come ultimo sindaco di Sambiase, guidò con forte convinzione il comune verso l'unità municipale con Nicastro e Sant'Eufemia Lamezia per la fondazione della nuova città di Lamezia Terme.
Nella seduta del 18 ottobre 1967, la I Commissione permanente (Affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno) del Senato della Repubblica, approva la "Costituzione del Comune di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro", grazie alla proposta di legge dell'onorevole Salvatore Foderaro, congiunta a quella di iniziativa del senatore Arturo Perugini. Mercoledì 20 dicembre 1967 la Camera dei deputati approva la legge così come era stata concepita da Perugini e diventa "Legge 4 gennaio 1968 n°6" di cui all'art. 1 dice testualmente: I comuni di Nicastro, Sambiase e Sant'Eufemia Lamezia in provincia di Catanzaro sono riuniti in un unico Comune con la denominazione di Lamezia Terme.
Il decreto di attuazione della legge istitutiva del nuovo comune previde la nomina di un commissario prefettizio e il 15 novembre 1968 i sindaci dei tre comuni operarono le consegne al rappresentante dello Stato alla guida della Città. Il suo mandato sarebbe dovuto durare solo per un semestre, ma si protrasse fino alla primavera del 1970, poiché il Governo decise che le prime elezioni del nuovo comune si sarebbero dovute tenere nella tornata elettorale nazionale del giugno 1970, quando per la prima volta si sarebbero anche tenute le elezioni per la Regione Calabria, istituita in quel periodo. Il primo sindaco di Lamezia Terme fu Arturo Perugini che si insediò il 28 settembre 1970.
Nel 1991 e nel 2002 il consiglio comunale di Lamezia Terme è stato sciolto per infiltrazioni mafiose con decreto[7] del Presidente della Repubblica, le indagini effettuate dalle commissioni d'accesso agli atti presso il comune riscontrarono l'inquinamento della pubblica amministrazione da parte della 'Ndrangheta grazie ai collegamenti con alcuni amministratori locali.
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Messaggio  eugenio21 Sab Mag 26, 2012 1:38 pm

Leggende legate a Lamezia Terme
Una leggenda vuole che la ninfa Ligea sia stata sepolta nelle vicinanze della città greca di Terina e quindi nel territorio di Lamezia Terme o Gizzeria.
Secondo una tradizione locale Nicastro, il quartiere più popoloso di Lamezia, sarebbe una delle città più antiche d'Italia fondata da Askenaz, pronipote di Noè, che dall'Armenia si sarebbe spostato in Calabria e fu abitata da Ausoni ed Enotri. La città è stata identificata anche con l'antica Numistro o Numistra, per questo motivo la via principale della città è stata chiamata Corso Numistrano. Altri hanno identificato Nicastro con Lissania, città fondata agli inizi dell'era cristiana[8]. Gli storiografi contemporanei tendono a escludere queste ipotesi collocando la fondazione[9] di Nicastro verso l'VIII secolo d.C.
Nicastro
La storia di Nicastro ha inizio in epoca bizantina tra il IX e il X secolo, con la costruzione dell'avamposto militare Neo Castron (nuovo accampamento militare secondo la denominazione Bizantina), da cui il quartiere odierno prende il nome.
In epoca Normanna, su una struttura preesistente, venne edificato il castello, a protezione della ricca piana. In epoca Sveva, vi soggiornò anche l'imperatore Federico II, e il castello venne anche utilizzato come prigione per il figlio ribelle di quest'ultimo, il principe Enrico, detto lo Sciancato. È stata in passato e lo è tuttora sede di importanti attività commerciali e centro culturale di notevole importanza.
Sambiase
Sambiase nasce intorno al IX secolo circa, intorno al monastero di San Biagio, Santo dal cui nome deriva - per successive trasformazioni linguistiche - quello del quartiere odierno della città.
Numerose nel corso degli anni le chiese costruite all'interno della città. Delle 13 originarie, però, ne restano in piedi soltanto 5, mentre le altre sono andate distrutte o trasformate - dai cittadini dell'epoca - in abitazioni o negozi commerciali. Già prima in epoca romana con il nome di Due Torri, Sambiase era conosciuta come meta turistica, per le terme, chiamate allora Aquae Angae di origini magno-greche.
Durante il periodo ellenico nel sud Italia e nell'attuale territorio di Lamezia Terme precisamente in Sambiase e in Sant'Eufemia Lamezia si insediarono si formarono dei villaggi e città nel territorio di Sambiase (Melea e parte di Terina). Di questa civiltà sono rimaste poche tracce; nel quartiere sambiasino solo un mosaico di una villa greca nella chiesa del Carmine, delle monete terinesi a Caronte e il tesoretto di Acquafredda (entrambe frazioni di Lamezia Terme), conservate nel museo archeologico lametino.
In epoca romana Turres, come chiamato dai latini, era tratto fortemente turistico dell'antica regione buzio-lucana, catalogata in numerosi itinerari come quella dell'imperatore Antonino Pio. Per il governo di Bisanzio l'antica Sanctii Blasi (San Biagio) era città posta strategicamente. Per i bizantini basiliani era grande ed importante luogo di cultura e tradizione, furono loro infatti a riportare l'ellenismo in gran parte della Calabria, sorsero dunque chiese e monasteri come S. Sofia, S. Biagio, S. Nicola, S. Costantino ecc.
Il normanno Roberto il Guiscardo duca di Calabria e Puglia e conte di Sicilia si infatuò delle terme e del meraviglioso paesaggio di Sambiase fece scolpire infatti un elogio che prova il suo passaggio. Nell'alto medioevo Sambiase era potente università conosciuta in tutta la penisola italiana, governata dai Sanseverino-Sambiase importante economicamente per la neo contea di Nicastro e per tutto il regno. Molti furono i cittadini e i politici di Sambiase che si ribellarono agli spagnoli e si unirono a Garibaldi e che ebbero importanti posti nella storia politica della nostra nazione.
Sant'Eufemia Lamezia
Sant'Eufemia Lamezia nasce nei pressi di Terina, storica città commerciale della Magna Grecia le cui rovine, sommerse da secoli di alluvioni causate dal torrente Bagni, sono attualmente oggetto di studio. La città di Sant'Eufemia ha una storia antichissima, documentata dai tempi dei Normanni, ed è stata sede di un baliaggio assegnato all'ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, oggi noto come Sovrano Militare Ordine di Malta. L'ordine possedeva oltre al Baliaggio di Sant'Eufemia, anche i feudi limitrofi di Nocera Terinese e Izzaria (oggi Gizzeria).
In seguito al disastroso terremoto del 1638, che aveva visto la città come suo epicentro, un nuovo centro, quello di Sant'Eufemia del Golfo (oggi Sent'Eufemia Vetere), venne fondato in una zona collinare poco distante. Con la fine del Baliaggio il territorio di Sant'Eufemia entrò a far parte del comune di Gizzeria, il quartiere odierno fu costruito invece durante il periodo fascista.
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Messaggio  eugenio21 Ven Giu 01, 2012 3:27 pm

Il "Ducato" di Soverato. Storie e retroscena dell'operazione "Showdown"
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E' l'alba del 15 dicembre quando i carabinieri fanno irruzione nelle case dei presunti affiliati alla cosca Sia-Procopio-Tripodi. Durante le perquisizioni viene rinvenuto un anonimo quaderno blu, chiuso in un cassetto. Il militare che lo trova apre la prima pagina. Ci sono scritti degli esercizi di inglese. Con una calligrafia incerta in stampatello in alto è scritto: my family, la mia famiglia. Al militare dell'Arma basta voltare pagina per capire qual è la "famiglia". Quello che ha in mano non è un quaderno per imparare l'inglese, è invece un documento importantissimo per la cosca. All'interno sono, infatti, custoditi i vari riti di affiliazione al clan. Ed è una prova fondamentale anche per gli inquirenti, dimostra che a Soverato era nato un "locale" di 'ndrangheta, autonomo rispetto alle potenti famiglie di Guardavalle da sempre egemoni sul territorio. Il "copione" per l'affiliazione parte proprio da qui: "Battezzo questo locale come lo battezzarono gli antenati con fiori rosa e gelsomini alla mano destra e io lo battezzo con fiori rosa e gelsomini alla mano destra, se loro lo battezzarono con ferri catene e camicia di forza, io lo battezzo con ferri catene e camicia di forza...". Probabilmente proprio davanti a questo quaderno nel 2007 Bruno Procopio ha giurato fedeltà alla cosca. È lui stesso a raccontarlo ai carabinieri di Soverato, guidati dal capitano Emanuele Leuzzi, subito dopo essersi costituito. Un pentimento "pesante": Bruno è il figlio di Fiorito Procopio, membro del triumvirato, insieme a Maurizio Tripodi e a Vittorio Sia (ucciso il 22 aprile 2010), che guidava il clan. Il capofamiglia è sfuggito a un agguato, non altrettanto fortunato è stato il figlio Agostino, ucciso a luglio 2010 mentre rientrava a casa. Bruno a 25 anni ha fatto una scelta diversa: ha deciso di collaborare con la giustizia e aiutare gli inquirenti a ricostruire gli affari della cosca. Un business fiorente: droga, estorsioni, lavori pubblici, videopoker. Migliaia di euro transitavano dalle casse della cosca. Una conferma si è avuta proprio il giorno del blitz: a casa di uno degli indagati i carabinieri hanno rinvenuto 54mila euro in contanti. Soverato era diventata cosa loro.

Proprio l'indipendenza dei "soveratesi" Sia-Procopio-Tripodi sarebbe il motivo della guerra che ha insanguinato il territorio al confine con le province di Catanzaro, Vibo e Lamezia. Da una parte la 'ndrina storica, i Gallace di Guardavalle, dall'altra gli "scissionisti" guidati da Carmelo Novella, ucciso a San Vittore Olona il 14 luglio 2008. La nascita del "locale" di Soverato sarebbe proprio opera sua. Sarebbe stato Novella, approfittando della detenzione del boss Vincenzo Gallace, a stringere accordi con Damiano Vallelunga (ucciso a settembre del 2009), Vittorio Sia, Maurizio Tripodi e Fiorito Procopio. Una «strategia espansionistica» che «inevitabilmente ha dato origine a uno scontro cruento per il controllo illecito degli interessi economici dell'area in questione». Secondo la ricostruzione fatta dal titolare dell'inchiesta Showdown, il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla, il "locale" di Soverato era riuscito a creare un vero e proprio "cartello" capace di operare in una sorta di «monopolio economico». Al centro delle operazioni c'era la Omnia Edil società di Maurizio Tripodi. Durante una perquisizione nella sede dell'azienda, il 6 giugno 2010, i carabinieri trovarono un'apparecchiatura capace di impedire o intercettare le comunicazioni telefoniche. Per il pm ci sono pochi dubbi sul fatto che quella tecnologia «fosse finalizzata alla salvaguardia dell'inviolabilità delle comunicazioni riservate agli associati». È proprio la Omnia Edil a prendere i lavori più importanti. Come l'appalto per la palificazione in ferro nell'ambito della realizzazione della Trasversale delle Serre. Il lavoro era stato affidato all'azienda di Tripodi dalla Tecnovese dell'imprenditore Antonio Longo, freddato il 26 marzo 2008 sulla superstrada "Due Mari" vicino a Lamezia Terme. Quando Tripodi sospetta che l'appalto stia per essere dirottato verso altre imprese, sveste i panni dell'imprenditore per assumere il ruolo di vertice del clan e avvisando eventuali concorrenti: «Che poi me la vedo io». A tal proposito annota il pm: «Si intravede il tipico agire dell'imprenditore mafioso cui non aggrada l'inserimento delle ditte concorrenti nel contesto di lavorazioni che ritiene di suo esclusivo appannaggio perché insistenti nel proprio "territorio"». In tutti gli appalti più grossi sembra esserci la mano del cartello Sia-Procopio-Tripodi. Il pm cita l'ammodernamento della statale jonica 106, ma soprattutto il parco eolico di San Sostene dove i lavori di disboscamento e la fornitura di materiale sarebbero state affidate ad aziende riconducibili al clan. Scrive il magistrato: «si ha contezza dell'interesse del defunto Agostino Procopio nell'ambito della realizzazione del parco eolico di San Sostene con la vicinanza affaristica ad esponenti dell'impresa "Cooperativa Progresso e Lavoro di Polistena"».

Ma come spiega lo stesso pm Capomolla «il controllo sul settore edilizio presuppone la necessità di interfacciarsi con organi comunali preposti al rilascio delle autorizzazioni e similari». E in effetti le indagini hanno rilevato «la sussistenza di rapporti tra esponenti del gruppo malavitoso e soggetti legati a organi politici e amministrativi dei Comuni di Soverato, Davoli e San Sostene, le cui motivazioni sono essenzialmente da ricercare nella tipologia di attività economiche gestite dai medesimi legate all'edilizia, al movimento terra, al commercio di prodotti affini, allo sfruttamento boschivo». Così in ogni amministrazione la cosca aveva i suoi referenti. A Montepaone c'era un geometra dell'ufficio tecnico, a San Sostene, invece, come addetto al settore urbanistico c'era il figlio di un socio di Fiorito Procopio, ma nel provvedimento del pm viene citato anche il sindaco Luigi Aloisio. Proprio in questo territorio stava per essere realizzato il villaggio turistico cosiddetto degli irlandesi, sequestrato il 15 dicembre dalla guardia di finanza. Ma è a Soverato che si concentrano gli interessi e le amicizie della cosca. È qui che Tripodi, Sia e Procopio, secondo la ricostruzione degli inquirenti, potevano contare sull'intervento di Teodoro Sinopoli, all'epoca vicesindaco e assessore al Turismo, che «si poneva a disposizione dei membri del sodalizio». Nel provvedimento emesso il 15 dicembre vengono raccontati i retroscena di due lavori pubblici effettuati a Soverato e affidati a Giandomenico Rattà, prestanome di Vittorio Sia. Il primo lavoro è la realizzazione di una pista d'accesso e la disostruzione di un pontino lungo il fiume Beltrame per un importo totale di 32mila euro. Il responsabile dei lavori pubblici del Comune ha spiegato che l'affidamento a Rattà avvenne su indicazione dell'assessore Sinopoli e con il ricorso al meccanismo della somma urgenza, quindi senza gara d'appalto. Pochi mesi dopo allo stesso Rattà viene affidato il compito di realizzare un marciapiede. Un lavoro di cui non c'è traccia cartacea negli archivi del municipio. Il responsabile del settore Ambiente del Comune ha raccontato ai carabinieri che venne convocato nell'ufficio dall'assessore Sinopoli e da lui invitato a chiamare Rattà per realizzare il marciapiede: i lavori per 18.887 euro vennero affidati "sulla parola". Ma soprattutto i lavori vennero pagati alla società di Rattà "Antichi Sapori" che, da visura camerale, opera nel settore agricolo con nessuna competenza nell'edilizia. Naturalmente il materiale lo fornì la Omnia Edil. Se il blitz scattato a dicembre fosse avvenuto prima delle elezioni di primavera, è probabile che adesso nel Comune di Soverato troveremmo i commissari del ministero dell'Interno.
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Messaggio  eugenio21 Ven Giu 01, 2012 3:31 pm

Sersale, dal giardino di Mafalda Riccio

La nascita della comunità di Sersale è in parte legata alle vicende di un antica e nobile famiglia napoletana, i Sersale di Sorrento, i cui discendenti nel corso dei secoli si stabilirono in vari centri del Mezzogiorno.

Nel 1609 Serrastretta era stata acquistata dal conte Carlo d'Aquino, il quale in un primo momento si rivelò prepotente e tirannico nei confronti degli abitanti, incamerando nella sua mensa feudale vasti terreni della comunità.

Degli Serrastrette si erano alcuni non furono concordi con quel conte, e desiderosi di maggiore libertà, e preferirono allontanarsi dalla loro terra, cercando un lavoro piu' rimunerativo.

Avendo appreso che il barone Francesco Sersale nel suo feudo di Sellia disponeva di vasti appezzamenti di terre incolte, decisero di chiedergli l'assegnazione dei fondi Angaro e Morino siti in territorio di Zagarise e al confine col feudo di Cropani.

Si trasferirono pertanto con le famiglie in quelle terre e iniziarono a coltivarle; vi costruirono anche delle modestissime case, a guisa di tuguri, specialmente nei pressi del palazzotto baronale e lungo la strada vicinale, che si diramava verticalmente da Nord a Sud, permettendo l'accesso alla Sila anche a coloro che provenivano da Cropani.

La relativa fertilità dei terreni assecondò la tenacia di quei coloni, tanto che presto crebbero nella zona piantagioni e colture: negli orti prossimi alle abitazioni furono piantati i gelsi, con le cui foglie fu possibile impiantare l'allevamento del baco da seta; vennero incrementate le piantagioni di castagni, innestando con qualità domestiche gli alberi selvatici che vi crescevano spontaneamente. Qualcuno si dedicò all'allevamento del bestiame, crescendo piccole mandrei di caprini, ovini e suini; altre, esperti boscaiuoli, eserctiavano l'arte dei mannisi, si dedicavano cioè all'estrazione della manna, incidendo le piante dei frassini che vegetavano nei boschi vicini.

Nel complesso i coloni si accorsero che in quei luoghi era possible vivere agevolmente e dignitosamente, con maggiori garanzie per l'avvenire di quanto ne potesse offrire la loro patria d'origine; perciò decisero di rimanervi per sempre.

L'atto venne rogato in Sellia il 3 agosto 1620 in presenza di entrambe le parti, e cioè da un lato lo stesso barone Don Francesco Sersale, dall' altro 12 coloni, oriundi tutti da Serrastretta, i cui nomi erano i seguenti: Francesco Giuliano, Pietro Torchia, Giovanni Girolamo Talarico, Giovanni Tommaso Mancusi, Marco De Fazio, Vittorio Torchia, Luca Antonio Felice, Francesco Mulinaro, Giovanni Maria Senatore, Giovanni Tommaso Gallo, Pietro Giovanni Mazza, Marcantonio De Fazio alias Caulo.
Queste Parole sono dal libro di Michele Scarpino; "Sersale storia di una comunità presilana"

Questo website e' dedicato agli 12 coloni originali e i loro dicendenti ci sono dappertutto nel mondo. Se siete un Serasalese, spero di conoscervi!
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Messaggio  Lux Ven Giu 01, 2012 7:35 pm

Grazie Eugenio per le tue nozioni molto importanti, ti propongo di collaborare con zagor nel suo blog, pensaci e non scartare l'idea a priori
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Messaggio  dirramatore Ven Giu 01, 2012 10:04 pm

l'idea non sarebbe affatto male...
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Messaggio  Admin Ven Giu 01, 2012 10:14 pm

sono d'accordo anche io.. Eugenio potrebbe essere una buona pedina per il blog. E' una grande risorsa di conoscenze varie.
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Messaggio  eugenio21 Dom Giu 03, 2012 5:58 pm

Ma se Zagor non si fa sentire io non so ne cosa fare, ne come collaborare, in quando non conosco neppure l'esistenza di questo Blog
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Messaggio  eugenio21 Dom Giu 03, 2012 11:09 pm

Donna Candia di Catanzaro
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Quando le coste della Calabria erano saccheggiate dai pirati, vicino a Catanzaro approdò una nave saracena che però portava le insegne di Amalfi. E anche i pirati si erano travestiti, in modo tale da ingannare chiunque. La gente del posto corse a vedere e qualcuno chiese ai marinai di dov'erano. «Di Amalfi» rispose uno. «Siamo venuti a portarvi stoffe per le vostre donne e soprattutto per Donna Candia, che le apprezzerà più di tutte. Correte a Catanzaro e avvertitela.» Donna Candia, che era la più bella ragazza della Calabria, venne avvertita e andò a vedere le stoffe dei finti amalfitani.Ma una volta a bordo, mentre guardava e sceglieva, non si accorse che la nave era salpata e che il vento la portava sempre più lontano. Quando furono in mare aperto, però, si rese conto che l'avevano ingannata e rapita. Agitandole la scimitarra sotto il naso, il capitano le disse che lei era destinata all'harem del sultano, perciò tanto valeva rassegnarsi.
«Mio padre è ricco, e se chiederai un riscatto ti pagherà bene» disse allora Donna Candia, e il capitano non rispose di no. Cosi, appena passò una nave cristiana, accostarono e la ragazza raccomandò ai marinai di far sapere a suo padre che per riscattarla ci volevano tre leoni, tre falchi e tre colonne d'oro. Quando lo seppe, suo padre si disperò: era un riscatto impossibile, non poteva pagarlo. Allora Donna Candia mandò a dire a suo marito di pagare un riscatto cosi e cosi, ma nemmeno lui seppe procurarselo. E finalmente vennero avvertiti i suoi tre fratelli, che non ci stettero a pensare su: fecero coprire d'oro le loro spade e poi, con una barca velocissima, raggiunsero la nave pirata. Salirono a bordo e dissero al capitano: «Siamo venuti a riscattare nostra sorella! Volevi tre leoni? Eccoci qui, siamo noi e te ne accorgerai quando ti sbraneremo. Volevi tre falchi? Siamo sempre noi, che voliamo sul mare per salvare Donna Candia. E quanto alle tre colonne d'oro, eccole.» Gli mostrarono le tre spade, e un momento dopo stavano infilzando qua e là sbudellando , finché tutti gli uomini dell'equipaggio non furono morti stecchiti. Poi riportarono Donna Candia a Catanzaro, e la storia è finita.
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Messaggio  eugenio21 Lun Giu 04, 2012 10:17 pm

Tra Miti e Leggende
La Fata dei Campi

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C’era una volta… ma forse c’è ancora, sotto altre spoglie, una bellissima giovane che girava attraverso le nostre contrade. Nessuno sapeva da dove venisse senza mai farsi annunciare. Era presente in ogni paese, nei villaggi di montagna o nelle borgate di campagna, sui campi quando il grano era biondo e maturo e appariva come un tratto di mare giallo, che aveva onde di luce. Era presente quando le ragazze cantavano felici nel tempo della vendemmia; o quando la neve copriva di bianco la terra, e gli alberi e le case apparivano trasformati in zucchero filato. I vecchi contadini ed anche mia nonna, che contadina non era, la chiamavano Fata dei Campi. Alcune volte appariva inghirlandata, con i capelli inanellati e sciolti sulle spalle in una cascata d’oro.
Aveva un vestito di candida neve, il manto celeste trapunto di stelle, le scarpine di seta verde: sembrava una creatura discesa dal cielo. Altre volte appariva sotto le spoglie di giovane guerriero: la sua corazza, sfolgorante di luce, aveva maglie che tintinnavano ad ogni movimento; altre volte assumeva fattezze ed abbigliamenti bizzarri e originali. Ognuno sperava incontrarla, pensando quanto era prodiga nel dispensare grazie. La sognavano i bambini nella quiete del loro riposo; l’invocavano le mamme, intente a cullare i piccoli, rendendola protagonista nelle ninne nanne, cantate come una preghiera. La Fata dei Campi si prestava a curare i malati, a confortare gli afflitti che vivevano le ore del giorno e della notte nel dolore; sosteneva e assisteva gli uomini ingenui e pacifici. Molte volte, nelle sembianze di valoroso guerriero, umiliava i superbi; altre volte, esaltava le creature mansuete e spaurite. Anche se era rinomata come Fata dei Campi, colpiva con castighi e pene le persone insensibili verso le sofferenze altrui. Era desiderata e invocata da tutti come lo spirito del bene, ma concedeva la gioia della sua presenza divina soltanto agli innocenti, ai puri di cuore, ai giusti, ai quali elargiva i tesori delle sue grazie. I più vecchi narravano di sue apparizioni improvvise e di prodigi. Una sera, al chiaro di luna, una contadinella, semplice e pura come una colomba, stava sdraiata su di un cumulo di paglia nell’aia di un podere. Estasiata ascoltava il canto di un usignuolo, quando avvertì un sibilo e un fruscìo, e dagli sterpi della vicina boscaglia venne fuori un mostruoso serpente, con gli occhi di fuoco, che si diresse minaccioso contro di lei. La ragazza, atterrita, lanciò un grido e svenne. Nel riprendere i sensi, si trovò accanto una giovane vestita di bianco, bella come un arcangelo, sfavillante di luce divina: le accarezzava il viso e la confortava amorevolmente. Io sono la Fata dei Campi - le disse - e ti ho sottratta alle insidie del mostro. Sii prudente d’ora in poi; sii buona e abbi fede in me, nella mia protezione e nel mio aiuto. Montata in groppa a un focoso cavallo, sparì attraversando la fitta boscaglia per prestare soccorso ad altre creature bisognose. Da quel giorno il popolo ancora crede che la Fata dei Campi percorra benefica le nostre contrade, ma non la chiamano più col nome che usavano i vecchi pastori della Sila o i pescatori di Montauro. La Fata dei Campi ha ora altri nomi, più dolci, che hanno il suono familiare di materna presenza: Maria degli Angeli, Maria delle Grazie, Maria della Luce, Maria dell’Aiuto, Maria di Porto Salvo.
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Messaggio  Lux Lun Giu 04, 2012 11:16 pm

eugenio21 ha scritto:Ma se Zagor non si fa sentire io non so ne cosa fare, ne come collaborare, in quando non conosco neppure l'esistenza di questo Blog

zagor è molto impegnato!!!
ti scrivo il link del suo blog, visitalo, vedi un po' tu cosa fare....cliccaci di sopra e salva questo indirizzo da qualche parte

http://selliaracconta.blogspot.it/

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Messaggio  eugenio21 Lun Giu 04, 2012 11:52 pm

Lux !Adesso capisco Sellia Racconta? se ben ricordi abbiamo avuto anche da dire con gli utenti di questo Blog Per il famoso sogno del miracolo di San Nicola...
Lux grazie per l'informazione, ma non ho mai avuto l'onore di conoscere nessuno di loro e, di conseguenza non saprei nemmeno come comportarmi, e poi non so come e, in che cosa potrei esserle utile, comunque grazie del tuo interessamento ci penserò! Ricordo la seguente Frase SEllia Racconta non a mai raccontato fesserie ma fatti veri di chi li ha vissuti, invece io li ho sognati...come la rispettabile Signora Lucia, acqua passata e con questo non vorrei offendere nessuno ma rispetto tutte le persone che la pensano come l'oro, e come tale esigo rispetto di come io lo vissuta di prima persona e non in sogno...quando lei dice di aver sognato San Nicola, le case erano in una fase di pericolo, il sogno la fatto veramente ma il paese intanto scivolava... la l'oro famiglia era devota per la chiesa dell'immacolata tanto più che il marito nelle feste principali indossava la sciarpa come i priori e sedeva insieme a gli altri fratelli come il Giudice Placida il cavaliere Mannarino ecc, lei presa della paura della Signora Lucia? Era il pericolo che incombeva in quel periodo a Sellia, per le copiose e incessanti piogge di giorno e di notte, assillata della paura a fatto questo sogno dove veramente si era verificato lo spostamento del terreno, questo e il motivo che la indotta ha sognare... la chiesa non e caduta solo per il fatto accertato! che non c'erano segnali di spostamento nel sotto suolo, accanto la chiesa: San Nicola e stato un sogno premonitore che solo quelle case dovevano scendere a valle, senza salvarne altre di fatti e stato accertato anche oggi, che per costruire un muro in cemento armato sotto la timpa Pallara anno dovuto perforare il terreno alla profondità di 30 metri facendo circa 100 palificazioni per sostenere solo 100 metri di strada senza potere edificare al di sopra, perche? perche il Genio civile a dichiarato tutta quella zona a rischio? figuriamoci Santa Maria e all'ora cosa centra San Nicola se il terreno e fasullo solo delle parti che sono scesi a valle?
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