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Eventi e ricorrenze religiose

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Messaggio  Lux Gio Giu 23, 2011 4:23 pm

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TRACHE


Il nome, come si è visto è legato all’apparizione “negli anfratti di una roccia”. Qui mi vorrei collegare alla tesi del Prof. Sole che ne “Il Cammino verso la grande Madre” affronta il tema della simbologia della roccia: l’impenetrabilità, quindi la verginità che si ricollega alla Madonna, vergine delle vergini; alla durezza, cioè al dolore di cui la Madre ne è massima espressione; ma la roccia è anche simbolo di protezione e di sicurezza, quella che l’uomo ricerca costantemente nei luoghi miracolosi.

IL LUOGO

Anche a Pentone, come per altre storie di apparizioni, il luogo ha un ruolo predominante; questi, da solo, aldilà dello stesso prodigio, potrebbe considerarsi un miracolo…. Immerso nel verde, nel silenzio, nella quiete un punto che come dice il Prof. Sole, sembra collegare il terreno con l’ultraterreno, l’umano con il divino. Questa zona, potrebbe essere considerata un “non-luogo” che non è in cielo, ma sembra non essere immerso nel fragore terreno, non è nè uno nè l’altro, un posto senza storia e senza tempo, senza appartenenza, anche lo stesso nome Termine è sibillino. È una zona liminale (per usare un termine caro a Van Gennep) che ci fa sentire stranamente bene, sospesi in un’altra dimensione. Termine è un limen, una soglia da attraversare per raggiungere il divino, per ritornare poi alla vita quotidiana, anche se arricchiti e diversi. È il luogo del contatto: l’uomo si avvicina a Dio e la divinità è scesa in terra. Termine è il limen, tra divino e umano, conosciuto e sconosciuto, che ci fa rifletter sulla nostra identità, che ci affascina con la sua contraddittorietà. Qui, anche la natura emerge bella ma boscosa, selvaggia, perché è contemporaneamente meravigliosa e inquietante, per il mistero in essa contenuto, per la potenza che scaturisce e spesso ricorda all’uomo la sua fragilità.

In questo limen, si colloca anche l’emigrante. Egli non è più di Pentone, perché non ostante questi sia il suo paese d’origine, viene considerato “u canadese”, “l’americanu”; la stessa cosa avviene nel paese in cui si è trasferito: egli è un italocanadese, un italoamericano, ma nello specifico nessuno dei due. Ogni luogo, sembra essere quello non esattamente proprio. L’emigrante sta tra due luoghi, è al limen; così come il romito, una figura che mi ha molto interessato. Egli badava alla chiesa dove viveva, però, non veniva chiamato sagrestano o in altro modo: era l’eremita, che si colloca nella soglia tra società e non-società, cultura e natura, accudisce la chiesa ma si isola dal mondo, quasi una figura mitica, che fa da tramite con il divino. Così come al confine tra lecito e illecito, tra bene e male vi è il brigante. Secondo la trasposizione teatrale di Don Mario Talerico, c’era un capo brigante (Giosafatte Tallerico) che con i suoi aiutanti aveva un covo proprio nelle zone boscose dell’evento miracoloso. Il brigante, qui assume un ruolo positivo, come spesso capita: difende la contadinella e il padre che era stato accusato ingiustamente e per ripicca da parte di un pretendente della giovane, di aver fatto “la spia”. Verosimile o di pura invenzione, vi è un forte richiamo alla figura emblematica e contraddittoria dei briganti, che vivevano sulle nostre colline.

Scenario del luogo è la montagna, che come sappiamo ha una valenza fondamentale. Vista come incantevole ma anche come barriera, punto di isolamento quindi di povertà. Immagini che rispecchiano solo in parte la verità che è molto più complessa. Infatti, basta poco per capire come essa costituisca “l’anfiteatro” di incontri tra persone provenienti da altre zone e di ogni rango sociale, come appunto evidenzia il Prof. Teti. Basti pensare alla fiera citata, momento in cui mercanti, artigiani, vendevano prodotti artigianali delle loro zone, o la stessa processione per la quale arrivavano tanti pellegrini da lontano. Era un momento di scambio economico, culturale, di contatto, di legame con l’altro. Inoltre la montagne è anche risorsa produttiva, agricola, di sostentamento. La zona pentonese è rinomata per la produzione di olio, di castagne e in passato per la lavorazione della seta. Anche tutto questo è montagna. E non è un caso che l’apparizione e la festa si svolgano in questo ambiente. Anche le luminarie, viste in questa ottica potrebbero essere un antico rito contadino con cui coloro che lavoravano nelle boscaglie comunicavano con i paesani, o un modo per onorare la montagna luogo importante e quasi sacro.

“Montagna come cuccagna”, “altrove” anche alimentare, dove appunto fuggiva lo stesso brigante che si sottraeva così, alla fame del paese, realizzando i bisogni sentiti dai suoi compaesani. La sua è un’indipendenza politica, sociale altresì alimentare (tuttavia per un’analisi completa e priva di mistificazioni, non dobbiamo scordare anche i suoi stenti, la sua vita difficile, i crimini compiuti).
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