Il Santo del giorno
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Re: Il Santo del giorno
Santi Innocenti
Festa dei Santi Innocenti martiri, i bambini che a Betlemme di Giuda furono uccisi dall’empio re Erode, perché insieme ad essi morisse il bambino Gesù che i Magi avevano adorato, onorati come martiri fin dai primi secoli e primizia di tutti coloro che avrebbero versato il loro sangue per Dio e per l’Agnello (Martirologio Romano)
I piccoli Santi Innocenti di cui oggi, come abbiamo intuito dal Vangelo, è la festa, i piccoli Santi Innocenti sono collocati, nella storia dell’anno liturgico, proprio vicino al Natale, come i più grandi testimoni di Cristo. Notiamo che essere testimoni di Cristo è ciò da cui sarà misurata la nostra vita: lo ha detto il Signore. Perché il valore della terra e del cielo, della vita nostra e della vita di tutti, il valore del singolo e di tutta l’umanità sta in questa presenza di Dio fatto uomo. I piccoli Santi Innocenti sono stati resi i testimoni più grandi insieme a santo Stefano, il primo martire, e a san Giovanni, il più grande discepolo e apostolo.? Ma sapevano questi bambini che cosa accadesse in loro, attraverso di loro? Chi avrebbe potuto pensare in quel frangente così disumano nella sua fattispecie, così contraddittorio a ogni norma del cuore, così oscuro nella sua parlata e senza luce, chi avrebbe potuto pensare, immaginare che dopo tanti secoli noi stretti insieme ci saremmo trovati uniti a invocare quei bambini, ma più profondamente a capire come in quelle piccole menti un grande mistero si adempisse?? Il valore della loro vita è grazia di un Altro. (Luigi Giussani, “La gratitudine a Dio?è la sorgente pubblica della novità”, 1978)
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Festa dei Santi Innocenti martiri, i bambini che a Betlemme di Giuda furono uccisi dall’empio re Erode, perché insieme ad essi morisse il bambino Gesù che i Magi avevano adorato, onorati come martiri fin dai primi secoli e primizia di tutti coloro che avrebbero versato il loro sangue per Dio e per l’Agnello (Martirologio Romano)
I piccoli Santi Innocenti di cui oggi, come abbiamo intuito dal Vangelo, è la festa, i piccoli Santi Innocenti sono collocati, nella storia dell’anno liturgico, proprio vicino al Natale, come i più grandi testimoni di Cristo. Notiamo che essere testimoni di Cristo è ciò da cui sarà misurata la nostra vita: lo ha detto il Signore. Perché il valore della terra e del cielo, della vita nostra e della vita di tutti, il valore del singolo e di tutta l’umanità sta in questa presenza di Dio fatto uomo. I piccoli Santi Innocenti sono stati resi i testimoni più grandi insieme a santo Stefano, il primo martire, e a san Giovanni, il più grande discepolo e apostolo.? Ma sapevano questi bambini che cosa accadesse in loro, attraverso di loro? Chi avrebbe potuto pensare in quel frangente così disumano nella sua fattispecie, così contraddittorio a ogni norma del cuore, così oscuro nella sua parlata e senza luce, chi avrebbe potuto pensare, immaginare che dopo tanti secoli noi stretti insieme ci saremmo trovati uniti a invocare quei bambini, ma più profondamente a capire come in quelle piccole menti un grande mistero si adempisse?? Il valore della loro vita è grazia di un Altro. (Luigi Giussani, “La gratitudine a Dio?è la sorgente pubblica della novità”, 1978)
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Re: Il Santo del giorno
San Tommaso Becket
Oggi 29/12/2011 la Chiesa cattolica celebra San Tommaso Becket. Nato a Londra il 21 dicembre del 1118 morì a Canterbury il 29 dicembre del 1170. Lord Cancelliere, successivamente arcivescovo di Canterbury e primate di Inghilterra morì assassinato. Figlio del mercante Gilbert Becket di Thierville e Matilda di Mondeville, fin da giovane fu avviato alla carriera ecclesiastica. Divenne in breve tempo assistente dell'arcivescovo di Canterbury Teobaldo di Bec. Questi, dal canto suo ne riconobbe sin da subito i talenti, e lo avviò allo studio del diritto canonico. Da Tommaso fu accompagnato al Concilio di Reims, mentre nel 1154 fu ordinato arcidiacono della Cattedrale. Fece ben presto carriera anche nei ranghi dell’aristocrazia, tanto che re Enrico II decise di nominarlo cancelliere del Regno. Divenne la persona più fidata del sovrano, e costui si avvalse dei suoi servigi per riformare il regno in maniera da accentrare il potere nelle sue mani e limitare quello dei baroni. Poté, in particolare, servirsi della grande conoscenza che Tommaso aveva del diritto. Quando il re contribuì a farlo nominare primate d’Inghilterra a arcivescovo di Canterbury, onde evitare possibili conflitti tra chi difendeva gli interessi dell’aristocrazie ecclesiale e chi quelli di quella laica, Tommaso decise di iniziare unicamente a dedicarsi al suo ministero sacerdotale. Il conflitto, tuttavia, iniziò ad esacerbarsi a causa di una disputa sulla diversa attribuzione di poteri. Enrico II tento di convincere Becket a giurare di obbedienza ai «costumi del reame». Becket, benché ostile e dopo avere convinto svariati vescovi a passare alla sua causa, acconsentì in un primo momento di riconoscere tali consuetudini. Tuttavia, quando fu il momento di firmare il documento che le ratifica ufficialmente, rifiutò, dal momento che i 16 articoli delle Costituzioni di Clarendon avrebbe drasticamente ridotto le prerogative della chiesa d’Inghilterra. Il documento, infatti, prevedeva che gli ecclesiastici fossero sottoposti anche ai tribunali laici e che la nomina delle cariche più importanti come gli arcivescovi spettasse al re. Dopo un aspro scontro a corte, Tommaso cercò rifugio in Francia dove, in quel momento si trovava in esilio Papa Alessandro III. Passarono alcuni anni, e Tommaso ed Enrico si incontrarono in Francia, a Montmirail. Tommaso, tuttavia, non riuscì a ottenere garanzie circa la propria incolumità nel caso di un eventuale ritorno.
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Oggi 29/12/2011 la Chiesa cattolica celebra San Tommaso Becket. Nato a Londra il 21 dicembre del 1118 morì a Canterbury il 29 dicembre del 1170. Lord Cancelliere, successivamente arcivescovo di Canterbury e primate di Inghilterra morì assassinato. Figlio del mercante Gilbert Becket di Thierville e Matilda di Mondeville, fin da giovane fu avviato alla carriera ecclesiastica. Divenne in breve tempo assistente dell'arcivescovo di Canterbury Teobaldo di Bec. Questi, dal canto suo ne riconobbe sin da subito i talenti, e lo avviò allo studio del diritto canonico. Da Tommaso fu accompagnato al Concilio di Reims, mentre nel 1154 fu ordinato arcidiacono della Cattedrale. Fece ben presto carriera anche nei ranghi dell’aristocrazia, tanto che re Enrico II decise di nominarlo cancelliere del Regno. Divenne la persona più fidata del sovrano, e costui si avvalse dei suoi servigi per riformare il regno in maniera da accentrare il potere nelle sue mani e limitare quello dei baroni. Poté, in particolare, servirsi della grande conoscenza che Tommaso aveva del diritto. Quando il re contribuì a farlo nominare primate d’Inghilterra a arcivescovo di Canterbury, onde evitare possibili conflitti tra chi difendeva gli interessi dell’aristocrazie ecclesiale e chi quelli di quella laica, Tommaso decise di iniziare unicamente a dedicarsi al suo ministero sacerdotale. Il conflitto, tuttavia, iniziò ad esacerbarsi a causa di una disputa sulla diversa attribuzione di poteri. Enrico II tento di convincere Becket a giurare di obbedienza ai «costumi del reame». Becket, benché ostile e dopo avere convinto svariati vescovi a passare alla sua causa, acconsentì in un primo momento di riconoscere tali consuetudini. Tuttavia, quando fu il momento di firmare il documento che le ratifica ufficialmente, rifiutò, dal momento che i 16 articoli delle Costituzioni di Clarendon avrebbe drasticamente ridotto le prerogative della chiesa d’Inghilterra. Il documento, infatti, prevedeva che gli ecclesiastici fossero sottoposti anche ai tribunali laici e che la nomina delle cariche più importanti come gli arcivescovi spettasse al re. Dopo un aspro scontro a corte, Tommaso cercò rifugio in Francia dove, in quel momento si trovava in esilio Papa Alessandro III. Passarono alcuni anni, e Tommaso ed Enrico si incontrarono in Francia, a Montmirail. Tommaso, tuttavia, non riuscì a ottenere garanzie circa la propria incolumità nel caso di un eventuale ritorno.
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Re: Il Santo del giorno
San Ruggero di Canne Vescovo
E’ proprio la Canne di Annibale il cartaginese, che il 2 agosto del 216 a.C. distrusse l’esercito romano dei consoli Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. L’antica città non lontana da Barletta, presso la riva destra dell’Ofanto, aveva sempre una sua importanza nel Medioevo, essendo pure sede vescovile. Ma nell’XI secolo viene il tempo della sua rovina. Roberto il Guiscardo ha creato nel Sud d’Italia il suo regno normanno, ancora insidiato però da ribellioni locali sotto la spinta dell’imperatore d’Oriente. Una di queste è capeggiata dal conte Ermanno di Canne, che le truppe del Guiscardo sconfiggono nel 1083, seminando la distruzione nella città.
E qui vediamo comparire Ruggero, il cui nome fa pensare a un’origine normanna. Ma altro non sappiamo su nascita e gioventù: l’unica notizia è quella della sua nomina a vescovo di Canne dopo il disastro, in un tempo senza speranze, col flagello endemico della guerra che scoraggia anche la volontà di ricostruire. Il suo compito primo, come emerge da una fonte popolare del XV secolo sulla sua vita, è di contribuire alla sopravvivenza di questa popolazione prostrata. Il suo episcopio era "un puro ospitio che sempre stava aperto de nocte et de giorno ad alloggiare le viandanti et le pellegrini, et le vidue et le pupilli (orfani)". L’ignoto autore ci presenta il vescovo Ruggero che "andava scalzo con lo pede nudo per quelle campegne cercanno le limosine per li poveri".
Dunque, un soccorritore instancabile, che si assume anche compiti dell’autorità civile in quel crollo delle istituzioni. Ma tra le altre poche notizie su di lui c’è anche quella di due papi consecutivi, Pasquale II e Gelasio II (in carica dal 1099 al 1119) che ricorrono al suo consiglio e alla sua esperienza in questioni di diritto, per comporre liti e placare rivalità tra ecclesiastici e comunità, in una Chiesa che sta cercando di riformarsi tra difficoltà enormi al suo interno.
Per lungo tempo il nome di Ruggero fu collegato a leggende che facevano di lui un vescovo del V secolo. La sua vicenda storica è stata poi delineata a fine ’800 dagli studi di don Nicola Monterisi, futuro arcivescovo di Salerno. A Ruggero si attribuiscono già miracoli in vita, e dopo la morte (collocata al 30 dicembre 1129) è la voce popolare a proclamare subito la sua santità. Dapprima egli viene sepolto nella cattedrale di Canne. Ma ormai la gente si stacca dall’antica città, che non è più in grado di risorgere. I cittadini, e anche i vescovi successori di Ruggero, si trasferiscono via via a Barletta, dove nel XIII secolo vengono portati anche i resti del santo: dapprima in Santa Maria Maggiore e più tardi presso il monastero benedettino di Santo Stefano, che poi si chiamerà di San Ruggero, venerato insieme come vescovo di Canne e come protettore di Barletta.
L'emblema di San Ruggero, oltre al bastone pastorale, è anche l'aquila, perchè la tradizione vuole che un volatile abbia fatto ombra al santo con le sue ali durante un viaggio.
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E’ proprio la Canne di Annibale il cartaginese, che il 2 agosto del 216 a.C. distrusse l’esercito romano dei consoli Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. L’antica città non lontana da Barletta, presso la riva destra dell’Ofanto, aveva sempre una sua importanza nel Medioevo, essendo pure sede vescovile. Ma nell’XI secolo viene il tempo della sua rovina. Roberto il Guiscardo ha creato nel Sud d’Italia il suo regno normanno, ancora insidiato però da ribellioni locali sotto la spinta dell’imperatore d’Oriente. Una di queste è capeggiata dal conte Ermanno di Canne, che le truppe del Guiscardo sconfiggono nel 1083, seminando la distruzione nella città.
E qui vediamo comparire Ruggero, il cui nome fa pensare a un’origine normanna. Ma altro non sappiamo su nascita e gioventù: l’unica notizia è quella della sua nomina a vescovo di Canne dopo il disastro, in un tempo senza speranze, col flagello endemico della guerra che scoraggia anche la volontà di ricostruire. Il suo compito primo, come emerge da una fonte popolare del XV secolo sulla sua vita, è di contribuire alla sopravvivenza di questa popolazione prostrata. Il suo episcopio era "un puro ospitio che sempre stava aperto de nocte et de giorno ad alloggiare le viandanti et le pellegrini, et le vidue et le pupilli (orfani)". L’ignoto autore ci presenta il vescovo Ruggero che "andava scalzo con lo pede nudo per quelle campegne cercanno le limosine per li poveri".
Dunque, un soccorritore instancabile, che si assume anche compiti dell’autorità civile in quel crollo delle istituzioni. Ma tra le altre poche notizie su di lui c’è anche quella di due papi consecutivi, Pasquale II e Gelasio II (in carica dal 1099 al 1119) che ricorrono al suo consiglio e alla sua esperienza in questioni di diritto, per comporre liti e placare rivalità tra ecclesiastici e comunità, in una Chiesa che sta cercando di riformarsi tra difficoltà enormi al suo interno.
Per lungo tempo il nome di Ruggero fu collegato a leggende che facevano di lui un vescovo del V secolo. La sua vicenda storica è stata poi delineata a fine ’800 dagli studi di don Nicola Monterisi, futuro arcivescovo di Salerno. A Ruggero si attribuiscono già miracoli in vita, e dopo la morte (collocata al 30 dicembre 1129) è la voce popolare a proclamare subito la sua santità. Dapprima egli viene sepolto nella cattedrale di Canne. Ma ormai la gente si stacca dall’antica città, che non è più in grado di risorgere. I cittadini, e anche i vescovi successori di Ruggero, si trasferiscono via via a Barletta, dove nel XIII secolo vengono portati anche i resti del santo: dapprima in Santa Maria Maggiore e più tardi presso il monastero benedettino di Santo Stefano, che poi si chiamerà di San Ruggero, venerato insieme come vescovo di Canne e come protettore di Barletta.
L'emblema di San Ruggero, oltre al bastone pastorale, è anche l'aquila, perchè la tradizione vuole che un volatile abbia fatto ombra al santo con le sue ali durante un viaggio.
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Re: Il Santo del giorno
Festa della SACRA FAMIGLIA
Che dolcezza avere un Dio familiare
Il Natale ci ha già mostrato la Sacra Famiglia raccolta nella grotta di Betlemme, ma oggi siamo invitati a contemplarla nella casetta di Nazareth, dove Maria e Giuseppe sono intenti a far crescere, giorno dopo giorno, il fanciullo Gesù. Possiamo immaginarla facilmente (gli artisti l'hanno fatto spesso) in mille situazioni e atteggiamenti, mettendo in primo piano o la Vergine santa accanto al suo Bambino, o il buon san Giuseppe nella bottega di falegname dove il fanciullo impara anche il lavoro umano, giocando. Ma possiamo anche intuire l'avvenimento immenso che a Nazareth si compie: poter amare Dio e amare il prossimo con un unico indivisibile gesto! Per Maria e Giuseppe, infatti, il Bambino è assieme il loro Dio e il loro prossimo più caro. Fu dunque a Nazareth che gli atti più sacri (pregare, dialogare con Dio, ascoltare la sua Parola, entrare in comunione con Lui) coincisero con le normali espressioni colloquiali che ogni mamma e ogni papà rivolgono al loro bambino. Fu a Nazareth che gli "atti di culto dovuti a Dio" (quelli stessi che intanto venivano celebrati nel grandioso tempio di Gerusalemme) coincisero con le normali cure con cui Maria vestiva il Bambino Gesù, lo lavava, lo nutriva, assecondava i suoi giochi. Fu allora che cominciò la storia di tutte le famiglie cristiane, per le quali tutto (gli affetti, gli avvenimenti, la materia del vivere) può essere vissuto come sacramento: segno reale e anticipazione di un amore Infinito.
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Che dolcezza avere un Dio familiare
Il Natale ci ha già mostrato la Sacra Famiglia raccolta nella grotta di Betlemme, ma oggi siamo invitati a contemplarla nella casetta di Nazareth, dove Maria e Giuseppe sono intenti a far crescere, giorno dopo giorno, il fanciullo Gesù. Possiamo immaginarla facilmente (gli artisti l'hanno fatto spesso) in mille situazioni e atteggiamenti, mettendo in primo piano o la Vergine santa accanto al suo Bambino, o il buon san Giuseppe nella bottega di falegname dove il fanciullo impara anche il lavoro umano, giocando. Ma possiamo anche intuire l'avvenimento immenso che a Nazareth si compie: poter amare Dio e amare il prossimo con un unico indivisibile gesto! Per Maria e Giuseppe, infatti, il Bambino è assieme il loro Dio e il loro prossimo più caro. Fu dunque a Nazareth che gli atti più sacri (pregare, dialogare con Dio, ascoltare la sua Parola, entrare in comunione con Lui) coincisero con le normali espressioni colloquiali che ogni mamma e ogni papà rivolgono al loro bambino. Fu a Nazareth che gli "atti di culto dovuti a Dio" (quelli stessi che intanto venivano celebrati nel grandioso tempio di Gerusalemme) coincisero con le normali cure con cui Maria vestiva il Bambino Gesù, lo lavava, lo nutriva, assecondava i suoi giochi. Fu allora che cominciò la storia di tutte le famiglie cristiane, per le quali tutto (gli affetti, gli avvenimenti, la materia del vivere) può essere vissuto come sacramento: segno reale e anticipazione di un amore Infinito.
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Re: Il Santo del giorno
La solennità di Maria SS. Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale. Originariamente la festa rimpiazzava l'uso pagano delle "strenae" (strenne), i cui riti contrastavano con la santità delle celebrazioni cristiane. Il "Natale Sanctae Mariae" cominciò ad essere celebrato a Roma intorno al VI secolo, probabilmente in concomitanza con la dedicazione di una delle prime chiese mariane di Roma: S. Maria Antiqua al Foro romano, a sud del tempio dei Castori.
La liturgia veniva ricollegata a quella del Natale e il primo gennaio fu chiamato "in octava Domini": in ricordo del rito compiuto otto giorni dopo la nascita di Gesù, veniva proclamato il vangelo della circoncisione, che dava nome anch'essa alla festa che inaugurava l'anno nuovo. La recente riforma del calendario ha riportato al 10 gennaio la festa della maternità divina, che dal 1931 veniva celebrata l'11 ottobre, a ricordo del concilio di Efeso (431), che aveva sancìto solennemente una verità tanto cara al popolo cristiano: Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio.
Nestorio aveva osato dichiarare: "Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi "; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: "Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna". Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria.
E’ da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: "Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"" (Lc 11,27s).
In realtà, "Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente" (Lumen Gentium, 56[img][/img]
La liturgia veniva ricollegata a quella del Natale e il primo gennaio fu chiamato "in octava Domini": in ricordo del rito compiuto otto giorni dopo la nascita di Gesù, veniva proclamato il vangelo della circoncisione, che dava nome anch'essa alla festa che inaugurava l'anno nuovo. La recente riforma del calendario ha riportato al 10 gennaio la festa della maternità divina, che dal 1931 veniva celebrata l'11 ottobre, a ricordo del concilio di Efeso (431), che aveva sancìto solennemente una verità tanto cara al popolo cristiano: Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio.
Nestorio aveva osato dichiarare: "Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi "; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: "Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna". Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria.
E’ da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: "Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"" (Lc 11,27s).
In realtà, "Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente" (Lumen Gentium, 56[img][/img]
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Re: Il Santo del giorno
Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno
BIOGRAFIA
San Basilio nacque nel 330 a Cesarea di Cappadocia da genitori santi. Di buona educazione letteraria e di egregie virtù, prese a condurre vita di eremitica, ma nel 370 fu fatto vescovo della sua città. Il tema che ricorreva più spesso e con più forza era quello della carità, dell’aiuto ai fratelli bisognosi. Lottò contro gli Ariani e scrisse eccellenti opere, specialmente le regole monastiche che ancor oggi sono seguite da moltissimi monaci orientali. Morì povero, come era vissuto, nell’anno 379.
Tra i primi e più preziosi amici di S. Basilio, notiamo S. Gregorio Nazianzeno: essi si stimolavano a vicenda alla pratica delle virtù e all’acquisto della scienza. Nato come S. Basilio nel 330 a Nazianzo da nobili genitori, sopravvisse una decina d’anni all’amico. Uomo di studio e poeta, per la sua eccellente dottrina ed eloquenza ricevette l’appellativo di “teologo”. Intraprese molti viaggi a scopo di istruzione e seguì poi nel deserto l’amico Basilio. Ma fu poi ordinato sacerdote e vescovo di Costantinopoli. Ma a causa delle fazioni che dividevano la sua chiesa, si ritirò a Nazianzo dove spirò nel 390.
MARTIROLOGIO
Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovi di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture,e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sàsima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.
DAGLI SCRITTI...
Dai “Discorsi” di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d’imparare, e di nuovo insieme, come per un accordo, ma in realtà per disposizione divina.
Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi , ma inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza.
Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell’ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l’inizio della nostra amicizia; di qui l’incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto.
Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l’amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l’uno per l’altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.
Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d’invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo.
Sembrava che avessimo un’unica anima in due corpi . Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l’uno era nell’altro e con l’altro.
San Bailio Magno
San Gregorio Nazianzeno
BIOGRAFIA
San Basilio nacque nel 330 a Cesarea di Cappadocia da genitori santi. Di buona educazione letteraria e di egregie virtù, prese a condurre vita di eremitica, ma nel 370 fu fatto vescovo della sua città. Il tema che ricorreva più spesso e con più forza era quello della carità, dell’aiuto ai fratelli bisognosi. Lottò contro gli Ariani e scrisse eccellenti opere, specialmente le regole monastiche che ancor oggi sono seguite da moltissimi monaci orientali. Morì povero, come era vissuto, nell’anno 379.
Tra i primi e più preziosi amici di S. Basilio, notiamo S. Gregorio Nazianzeno: essi si stimolavano a vicenda alla pratica delle virtù e all’acquisto della scienza. Nato come S. Basilio nel 330 a Nazianzo da nobili genitori, sopravvisse una decina d’anni all’amico. Uomo di studio e poeta, per la sua eccellente dottrina ed eloquenza ricevette l’appellativo di “teologo”. Intraprese molti viaggi a scopo di istruzione e seguì poi nel deserto l’amico Basilio. Ma fu poi ordinato sacerdote e vescovo di Costantinopoli. Ma a causa delle fazioni che dividevano la sua chiesa, si ritirò a Nazianzo dove spirò nel 390.
MARTIROLOGIO
Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovi di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture,e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sàsima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.
DAGLI SCRITTI...
Dai “Discorsi” di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d’imparare, e di nuovo insieme, come per un accordo, ma in realtà per disposizione divina.
Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi , ma inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza.
Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell’ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l’inizio della nostra amicizia; di qui l’incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto.
Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l’amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l’uno per l’altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.
Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d’invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo.
Sembrava che avessimo un’unica anima in due corpi . Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l’uno era nell’altro e con l’altro.
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Re: Il Santo del giorno
Santissimo Nome di Gesù
Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere culto liturgico. San Bernardino, aiutato da altri confratelli, sopratutto dai beati Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre, diffuse con tanto slancio e fervore tale devozione che finalmente venne istituita la festa liturgica. Nel 1530 Papa Clemente VII autorizzò l'Ordine francescano a recitare l'Ufficio del Santissimo Nome di Gesù. Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Martirologio Romano: Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina.
Il significato e la proprietà del nome
Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco, come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia.
In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico; rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere.
Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa” uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega.
Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione.
Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani, accanto a quello delle Entità Invisibili.
Il nome nelle società antiche
Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie: 1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro, Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di residenza o provenienza.
I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es. P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia, quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie.
Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza.
Il nome nella mentalità semitica
Per i semiti i nomi propri avevano un significato intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia.
Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè = Iahvé è salvezza, ecc.).
In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35, 16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni (figlio del mio dolore)…”.
Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che soppianta”, ecc.
Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta a manifestarsi.
Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è quella del loro nome.
Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo intervenire a suo favore.
Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto, che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge. 2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire.
Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto, imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi significati.
Il nome di Dio nella Bibbia
L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”.
Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto.
I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome).
Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo.
Il nome del Padre
Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre, nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui.
Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della comunità cristiana.
Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome (Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo nome e glorificando il proprio figlio.
Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2, 24).
Il nome del Signore Gesù
Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25).
Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio.
Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi:
Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”.
Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”.
Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio.
Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio.
Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”.
La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13).
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore.
L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Il culto liturgico del Nome di Gesù
Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico.
Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494).
Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721.
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa.
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Il trigramma di san Bernardino da Siena
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H.
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.
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La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.
SANTA GENOVEFFA
La vita della vergine parigina Genèvieve è narrata nella Vita Genovefae, scritta circa venti anni dopo la sua morte. Il documento, seppur non scritto da uno storico e contenente aspetti leggendari, è considerato attendibile. Genèvieve o Genoveffa è naata a Nanterre, nei dintorni di Parigi, intorno al 422. A sei anni fu consacrata a Dio da san Germano di Auxerre, in transito per recarsi in Inghilterra, dove dilagava l'eresia pelagiana. A 15 anni Genoveffa si consacrò definitivamente a Dio, entrando a far parte di un gruppo di vergini votate a Dio che, pur vestendo un abito che le distingueva dalle altre donne, non vivevano in convento, ma nelle loro case, dedicandosi ad opere di carità e penitenze. Genoveffa faceva molto sul serio: prendeva cibo solo il giovedì e la domenica e dalla sera dell'Epifania al giovedì santo non usciva mai dalla sua cameretta. Nel 451 Parigi era sotto la minaccia degli Unni di Attila ed i parigini si apprestavano alla fuga. Genoveffa li convinse a restare in città, confidando nella protezione del cielo. Non tutti erano però daccordo con Genoveffa, al punto che la vergine rischiò di essere linciata, ma la minaccia degli Unni passò, lasciando però un altro problema serio, quello della carestia. Genoveffa, salì allora su un battello, risalì la Senna e procurò le granaglie presso i contadini, distribuendole poi generosamente. Entrata in amicizia con i re Childerico e Clodoveo, sfruttò la sua posizione per ottenere la grazia per numerosi prigionieri politici. Morì intorno al 502. Sulla sua tomba venne eretto un modesto oratorio di legno, che fu il primo nucleo di una celebre abbazia, trasformata in basilica da re Luigi XV. Genoveffa era particolarmente invocata in occasione di gravi calamità, come la peste, per implorare la pioggia e contro le inondazioni della Senna. Durante la rivoluzione francese i giacobini trasformarono la basilica di S. Genoveffa nel mausoleo dei francesi illustri, con il classico nome di Pantheon, distruggendone parzialmente le reliquie. Il culto a santa Genoveffa continuò nella vicina chiesa di Saint-Etienne-du-Mont e rimase molto popolari in tutta la Francia e in particolarmente a Parigi, città di cui la santa è patrona
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Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere culto liturgico. San Bernardino, aiutato da altri confratelli, sopratutto dai beati Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre, diffuse con tanto slancio e fervore tale devozione che finalmente venne istituita la festa liturgica. Nel 1530 Papa Clemente VII autorizzò l'Ordine francescano a recitare l'Ufficio del Santissimo Nome di Gesù. Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Martirologio Romano: Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina.
Il significato e la proprietà del nome
Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco, come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia.
In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico; rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere.
Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa” uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega.
Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione.
Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani, accanto a quello delle Entità Invisibili.
Il nome nelle società antiche
Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie: 1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro, Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di residenza o provenienza.
I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es. P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia, quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie.
Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza.
Il nome nella mentalità semitica
Per i semiti i nomi propri avevano un significato intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia.
Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè = Iahvé è salvezza, ecc.).
In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35, 16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni (figlio del mio dolore)…”.
Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che soppianta”, ecc.
Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta a manifestarsi.
Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è quella del loro nome.
Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo intervenire a suo favore.
Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto, che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge. 2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire.
Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto, imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi significati.
Il nome di Dio nella Bibbia
L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”.
Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto.
I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome).
Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo.
Il nome del Padre
Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre, nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui.
Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della comunità cristiana.
Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome (Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo nome e glorificando il proprio figlio.
Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2, 24).
Il nome del Signore Gesù
Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25).
Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio.
Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi:
Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”.
Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”.
Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio.
Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio.
Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”.
La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13).
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore.
L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Il culto liturgico del Nome di Gesù
Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico.
Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494).
Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721.
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa.
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Il trigramma di san Bernardino da Siena
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H.
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.
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La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.
SANTA GENOVEFFA
La vita della vergine parigina Genèvieve è narrata nella Vita Genovefae, scritta circa venti anni dopo la sua morte. Il documento, seppur non scritto da uno storico e contenente aspetti leggendari, è considerato attendibile. Genèvieve o Genoveffa è naata a Nanterre, nei dintorni di Parigi, intorno al 422. A sei anni fu consacrata a Dio da san Germano di Auxerre, in transito per recarsi in Inghilterra, dove dilagava l'eresia pelagiana. A 15 anni Genoveffa si consacrò definitivamente a Dio, entrando a far parte di un gruppo di vergini votate a Dio che, pur vestendo un abito che le distingueva dalle altre donne, non vivevano in convento, ma nelle loro case, dedicandosi ad opere di carità e penitenze. Genoveffa faceva molto sul serio: prendeva cibo solo il giovedì e la domenica e dalla sera dell'Epifania al giovedì santo non usciva mai dalla sua cameretta. Nel 451 Parigi era sotto la minaccia degli Unni di Attila ed i parigini si apprestavano alla fuga. Genoveffa li convinse a restare in città, confidando nella protezione del cielo. Non tutti erano però daccordo con Genoveffa, al punto che la vergine rischiò di essere linciata, ma la minaccia degli Unni passò, lasciando però un altro problema serio, quello della carestia. Genoveffa, salì allora su un battello, risalì la Senna e procurò le granaglie presso i contadini, distribuendole poi generosamente. Entrata in amicizia con i re Childerico e Clodoveo, sfruttò la sua posizione per ottenere la grazia per numerosi prigionieri politici. Morì intorno al 502. Sulla sua tomba venne eretto un modesto oratorio di legno, che fu il primo nucleo di una celebre abbazia, trasformata in basilica da re Luigi XV. Genoveffa era particolarmente invocata in occasione di gravi calamità, come la peste, per implorare la pioggia e contro le inondazioni della Senna. Durante la rivoluzione francese i giacobini trasformarono la basilica di S. Genoveffa nel mausoleo dei francesi illustri, con il classico nome di Pantheon, distruggendone parzialmente le reliquie. Il culto a santa Genoveffa continuò nella vicina chiesa di Saint-Etienne-du-Mont e rimase molto popolari in tutta la Francia e in particolarmente a Parigi, città di cui la santa è patrona
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Re: Il Santo del giorno
Sant'Elisabeth Seton
Elisabeth nacque il 28 agosto 1774 a New York. Sposò William Mage Seton, figlio di un ricco mercante di New York. Ebbero cinque figli nei primi cinque anni di matrimonio. La vita di Elisabeth sembrava il ritratto della felicità. Aveva un marito amorevole, dei bei bambini, una cerchia di amici cari e una posizione importante in società. Ma una serie di eventi avrebbe presto cambiato la vita della signora Seton. Nel 1798 William Seton padre, che dirigeva gli affari dell’omonima ditta di spedizioni, morì improvvisamente. Il giovane William divenne responsabile dell’azienda, ma una serie di disastri sconvolse la Compagnia. Questi avvenimenti ebbero un effetto devastante su William Seton, e la sua salute ne risentì. In un disperato tentativo di arrestare la tubercolosi di William, i Seton decisero di andare a trovare i loro amici Filicchi a Livorno. Nell’ottobre del 1803 si imbarcarono con la figlia maggiore, Anna. William morì a Pisa. Nei giorni che seguirono, la famiglia Filicchi e i cittadini di Livorno si presero cura della vedova e dell’orfana. Antonio e Filippo Filicchi furono colpiti specialmente dalla bellezza e dalla grazia dell’anima di Elisabeth. Il tempo che trascorsero insieme fornì molte occasioni per discutere di questioni religiose, ed è chiaro che la famiglia Filicchi riteneva che un’anima pura come quella di Elisabeth fosse “sulla strada sbagliata”. Da parte sua Elisabeth era assolutamente commossa dalla devozione e dalla fede dei cattolici. Era colpita particolarmente dal pensiero che Gesù fosse realmente presente nell’Eucaristia. Una volta tornata a New York, Elisabeth non riuscì a tenere segreto il suo interesse per la fede cattolica. Sarebbe dovuto trascorrere un altro anno prima che Elisabeth risolvesse i suoi dubbi e muovesse dei passi definitivi verso la Chiesa cattolica. L’incontro di Elisabeth con il cattolicesimo era stato così coinvolgente perché era così diverso dalla sua esperienza di New York. I pochi cattolici presenti in città erano in maggioranza poveri immigranti. Non c’era soltanto il disprezzo degli anglicani verso i papisti, ma anche il disonore del mischiarsi con le classi misere e indigenti. Ora che aveva abbracciato il cattolicesimo, non riusciva neppure più a trovare un impiego presso i suoi vecchi amici. Divenne presto chiaro che Elisabeth non poteva più allevare i suoi figli cattolici in mezzo ai parenti di New York. Tramite l’interessamento dei fratelli Filicchi, la situazione di Elisabeth fu portata a conoscenza di John Carroll, vescovo della prima diocesi americana a Baltimora, e di altri importanti prelati. Elisabeth aveva rivelato il suo desiderio di una vita religiosa al vescovo Carroll, benché dovesse ancora occuparsi dei suoi bambini. Elisabeth - che il 25 marzo 1801 aveva preso privatamente i voti - aprì la sua prima scuola cattolica in Paca Street, a Baltimora, e lì fu fondata una piccola comunità di suore. Le suore poco dopo si trasferirono a ovest in una valle tra le dolci colline di Emmitsburg. Qui madre Seton aprì una scuola per studentesse interne ed esterne provenienti dalla parrocchia vicina. In seguito, nel 1810 fondò la prima scuola parrocchiale con l’intento di provvedere all’istruzione degli studenti più poveri. Per questo è onorata come la fondatrice del vasto sistema scolastico parrocchiale d’America, che fiorì da questo piccolo seme. La crescente comunità adottò presto la regola di San Vincenzo de’ Paoli e divenne nota come “Suore americane della carità di San Giuseppe”. Questo ordine si dedicava alla cura dei poveri, degli ammalati e degli anziani e a opere educative. Madre Seton non lasciò più Emmitsburg, e nei pochi anni di vita che le rimanevano si dedicò instancabilmente all’insegnamento, seguendo i suoi figli e istruendo le sue suore sulla via della carità. Madre Seton morì nel 1821. (Barbara Gagliotti, "Tracce", n.7, 2003)
Elisabeth nacque il 28 agosto 1774 a New York. Sposò William Mage Seton, figlio di un ricco mercante di New York. Ebbero cinque figli nei primi cinque anni di matrimonio. La vita di Elisabeth sembrava il ritratto della felicità. Aveva un marito amorevole, dei bei bambini, una cerchia di amici cari e una posizione importante in società. Ma una serie di eventi avrebbe presto cambiato la vita della signora Seton. Nel 1798 William Seton padre, che dirigeva gli affari dell’omonima ditta di spedizioni, morì improvvisamente. Il giovane William divenne responsabile dell’azienda, ma una serie di disastri sconvolse la Compagnia. Questi avvenimenti ebbero un effetto devastante su William Seton, e la sua salute ne risentì. In un disperato tentativo di arrestare la tubercolosi di William, i Seton decisero di andare a trovare i loro amici Filicchi a Livorno. Nell’ottobre del 1803 si imbarcarono con la figlia maggiore, Anna. William morì a Pisa. Nei giorni che seguirono, la famiglia Filicchi e i cittadini di Livorno si presero cura della vedova e dell’orfana. Antonio e Filippo Filicchi furono colpiti specialmente dalla bellezza e dalla grazia dell’anima di Elisabeth. Il tempo che trascorsero insieme fornì molte occasioni per discutere di questioni religiose, ed è chiaro che la famiglia Filicchi riteneva che un’anima pura come quella di Elisabeth fosse “sulla strada sbagliata”. Da parte sua Elisabeth era assolutamente commossa dalla devozione e dalla fede dei cattolici. Era colpita particolarmente dal pensiero che Gesù fosse realmente presente nell’Eucaristia. Una volta tornata a New York, Elisabeth non riuscì a tenere segreto il suo interesse per la fede cattolica. Sarebbe dovuto trascorrere un altro anno prima che Elisabeth risolvesse i suoi dubbi e muovesse dei passi definitivi verso la Chiesa cattolica. L’incontro di Elisabeth con il cattolicesimo era stato così coinvolgente perché era così diverso dalla sua esperienza di New York. I pochi cattolici presenti in città erano in maggioranza poveri immigranti. Non c’era soltanto il disprezzo degli anglicani verso i papisti, ma anche il disonore del mischiarsi con le classi misere e indigenti. Ora che aveva abbracciato il cattolicesimo, non riusciva neppure più a trovare un impiego presso i suoi vecchi amici. Divenne presto chiaro che Elisabeth non poteva più allevare i suoi figli cattolici in mezzo ai parenti di New York. Tramite l’interessamento dei fratelli Filicchi, la situazione di Elisabeth fu portata a conoscenza di John Carroll, vescovo della prima diocesi americana a Baltimora, e di altri importanti prelati. Elisabeth aveva rivelato il suo desiderio di una vita religiosa al vescovo Carroll, benché dovesse ancora occuparsi dei suoi bambini. Elisabeth - che il 25 marzo 1801 aveva preso privatamente i voti - aprì la sua prima scuola cattolica in Paca Street, a Baltimora, e lì fu fondata una piccola comunità di suore. Le suore poco dopo si trasferirono a ovest in una valle tra le dolci colline di Emmitsburg. Qui madre Seton aprì una scuola per studentesse interne ed esterne provenienti dalla parrocchia vicina. In seguito, nel 1810 fondò la prima scuola parrocchiale con l’intento di provvedere all’istruzione degli studenti più poveri. Per questo è onorata come la fondatrice del vasto sistema scolastico parrocchiale d’America, che fiorì da questo piccolo seme. La crescente comunità adottò presto la regola di San Vincenzo de’ Paoli e divenne nota come “Suore americane della carità di San Giuseppe”. Questo ordine si dedicava alla cura dei poveri, degli ammalati e degli anziani e a opere educative. Madre Seton non lasciò più Emmitsburg, e nei pochi anni di vita che le rimanevano si dedicò instancabilmente all’insegnamento, seguendo i suoi figli e istruendo le sue suore sulla via della carità. Madre Seton morì nel 1821. (Barbara Gagliotti, "Tracce", n.7, 2003)
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Re: Il Santo del giorno
Sant' Edoardo confessore
La Chiesa cattolica celebra oggi Edoardo detto il confessore, divenuto re d’Inghilterra con il nome di Edoardo III. Patrono dei re, dei matrimoni difficili, degli sposi separati, dell'Inghilterra (dal regno di Enrico II fino al 1348), e della famiglia reale, nasce tra il 1004 il 1005 nei pressi di Oxford da Etelredo II lo Sconsigliato e dalla sua seconda moglie, la principessa normanna Emma. E’ costretto all’esilio in Normandia all’età di soli 10 anni, per non soccombere all’invasione dell’Inghilterra capeggiata da re Sweyn di Danimarca. E negli anni dell’esilio che la sua fede si sviluppa e fortifica. Nel 1036 Edoardo, con il fratello Alfredo, tenta di riprendersi il trono che gli spetta di diritto, cercando di spodestare Aroldo. Il tentativo fallisce e torna in Normandia.
Nel frattempo Godwin, conte di Wessex, rapisce Aflredo e lo consegna ad Aroldo, che lo acceca, causandone in seguito la morte. Nel 1041, tuttavia, viene richiamato dalla nobiltà ecclesiastica e dal laicato anglosassone che gli promettono di divenire re accanto al fratellastro Canuto. Alla morte di quest’ultimo viene incoronato nella cattedrale di Winchester il 3 aprile 1043, quando la sua popolarità è al massimo. Regna per 22 anni, sfruttando le sue doti per mediare tra avversari interni e nemici ai confini, lasciando al suo erede un paese ben più pacificato di come lo aveva trovato. In virtù della ragion si Stato, sposa Edith, la figlia della più seria minaccia al suo regno, il conte Godwin del Wessex. Con lei, secondo la tradizione, vive un matrimonio in bianco.
La Chiesa cattolica celebra oggi Edoardo detto il confessore, divenuto re d’Inghilterra con il nome di Edoardo III. Patrono dei re, dei matrimoni difficili, degli sposi separati, dell'Inghilterra (dal regno di Enrico II fino al 1348), e della famiglia reale, nasce tra il 1004 il 1005 nei pressi di Oxford da Etelredo II lo Sconsigliato e dalla sua seconda moglie, la principessa normanna Emma. E’ costretto all’esilio in Normandia all’età di soli 10 anni, per non soccombere all’invasione dell’Inghilterra capeggiata da re Sweyn di Danimarca. E negli anni dell’esilio che la sua fede si sviluppa e fortifica. Nel 1036 Edoardo, con il fratello Alfredo, tenta di riprendersi il trono che gli spetta di diritto, cercando di spodestare Aroldo. Il tentativo fallisce e torna in Normandia.
Nel frattempo Godwin, conte di Wessex, rapisce Aflredo e lo consegna ad Aroldo, che lo acceca, causandone in seguito la morte. Nel 1041, tuttavia, viene richiamato dalla nobiltà ecclesiastica e dal laicato anglosassone che gli promettono di divenire re accanto al fratellastro Canuto. Alla morte di quest’ultimo viene incoronato nella cattedrale di Winchester il 3 aprile 1043, quando la sua popolarità è al massimo. Regna per 22 anni, sfruttando le sue doti per mediare tra avversari interni e nemici ai confini, lasciando al suo erede un paese ben più pacificato di come lo aveva trovato. In virtù della ragion si Stato, sposa Edith, la figlia della più seria minaccia al suo regno, il conte Godwin del Wessex. Con lei, secondo la tradizione, vive un matrimonio in bianco.
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santa Amelia martire
Questa santa di cui non si sa praticamente nulla della sua vita, appartiene ad un numeroso gruppo di martiri cristiani, uccisi a Gerona città della Catalogna in Spagna, durante il IV secolo.
La notizia è riportata in un antico Breviario di Gerona che pone questo lungo elenco di martiri all’epoca della persecuzione di Diocleziano (243-313). Nel 1336 il vescovo di Gerona Arnau de Camprodón, scoprì le reliquie dei martiri e dedicò ad essi un altare nella cattedrale cittadina, poi nei secoli questi martiri, elencati in una lunga lista dal ‘Martirologio Geronimiano’, sono stati celebrati a gruppi in date diverse, di alcuni di essi il suddetto Martirologio e altri documenti e iscrizioni lapidarie, riportano i nomi con qualche piccola aggiunta; è il caso dei martiri Germano, Giusturo, Paolino e Sicio, con festa al 31 maggio, Paolino e Sicio sarebbero antiocheni, mentre Germano, Giusturo e tutti gli altri dell’elenco sembrano essere africani.
Altri nomi più conosciuti sono s. Felice (1° agosto), ss. Romano e Tommaso che furono crocifissi (8 giugno).
Come si vede il solo nome della martire Amelia, riportato nel lungo elenco dei martiri per la fede, morti a Gerona, ma inquadrati nella grande carneficina che infuriò nell’impero romano, durante la persecuzione di Diocleziano, non ci permette di sapere altro.
Il nome Amelia / Amelio usato soprattutto al femminile, deriva da ‘Amali’ nome di una potente famiglia Ostrogota ed ha il significato di “vergine senza macchia”. Altre interpretazioni etimologiche lo indicano come continuazione del nome gentilizio latino ‘Amelius’ derivato da ‘Amius’ di probabile origine etrusca; inoltre è indicato come una variante del nome Amalia, ma che comunque nel tempo si è affermato con una valenza propria. Il nome Amelia ha ancora una certa diffusione in Italia, mentre è pressoché scomparso il maschile Amelio.
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Re: Il Santo del giorno
Pinto grazie per la collaboarzione
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Re: Il Santo del giorno
SANTO DEL GIORNO, OGGI 6 GENNAIO: EPIFANIA DEL SIGNORE, L'ARRIVO DEI RE MAGI - Epifania: rivelazione, manifestazione, per i primi cristiani "festivitas declarationis". E' il giorno in cui la Chiesa celebra il riconoscimento per così dire "ufficiale" della nascita del Salvatore, quando il Bambino Gesù, nato da pochi giorni, viene adorato dai Re Magi Gaspare, Baldassarre e Melchiorre, il riconoscimento cioè anche da parte del mondo pagano della nascita del Cristo. I tre Re Magi rappresentano infatti l'universalità del messaggio della Salvezza inteso per tutti anche le popolazioni pagane e non solo per i giudei. Nel Martirologio Romano la Solennità dell’Epifania del Signore ricorda la triplice manifestazione di Gesù Cristo a Betlemme, con l'adorazione dei re Magi; nel Giordano, con il battesimo di Giovanni, e Cana di Galilea, alla festa di nozze, mutando l’acqua in vino nuovo. Baldassarre, Melchiorre e Gaspare erano tre studiosi la cui origine si fa risalire all'attuale territorio iracheno o persiano, tre antichi saggi che studiavano le stelle, fra le altre cose. E proprio studiando le stelle videro la stella cometa che si dirigeva verso il territorio palestinese. Secondo la tradizioen oriental einfatti un astro appariva nel cielo ogni volta che nasceva un grande re. Decisero dunque di mettersi in viaggio per rendergli omaggio. Qualcosa di grande comunque doveva accadere, era quello che i tre re Magi avevano percepito. Durante il viaggio vengono avvertiti in sogno che troveranno il Salvatore Bambino e a lui porteranno in dono oro, incenso e mirra, quanto di più prezioso si poteva allora pensare. Anche i doni portati hanno un preciso significato: l'oro è quanto veniva donato ai re e il Bambino Gesù è il re dei re: l'incenso come simbolo di adorazione della sua divinità; la mirra veniva usata nel culto die morti e Gesù era uomo, dunque mortale. Essi vengono citati nel solo Vangelo di Matteo, nel dettaglio vengono indicati i doni che portano ma non i loro nomi, che la tradizione identificò poi con quelli conosciuti. Essi vennero poi invitati dal Re Erode che aveva come unico intento quello di uccidere il Salvatore. Come dice il Vangelo di Mattero, "Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta". Nomi quelli die Magi che hanno questo significato: Melchiorre il più anziano, il suo nome deriverebbe da Melech, che significa Re; Baldassarre deriverebbe da Balthazar, antico re babilonese, quasi a suggerire la sua regione di provenienza; Gasparre, per i greci Galgalath, significa signore di Saba. Marco Polo arrivò a identificare la loro città di provenienza, appunto quella di Saba.
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Re: Il Santo del giorno
san Raimondo di Peñafort
Oggi la Chiesa cattolica celebra san Raimondo di Peñafort: nato a Santa Margarida i els Monjos nel 1175, morì a Barcellona, 6 il gennaio 1275. Il suo percorso inizia a Bologna dove, dopo aver studiato diritto, riuscì ad accedere all’insegnamento della materia, ricevendo uno stipendio dall’amministrazione cittadina. La sua vita ebbe una radicale svolta quando la città fu visitata da Berengario IV di Palali. Si trattava del vescovo di Barcellona, giunto a Bologna nel 1218 dopo essere stato a Roma in pellegrinaggio. Il vescovo, affascinato dalla figura di Domenico di Guzamàn, fondatore dell’ordine dei frati predicatori, si rivolese a lui per ottenere alcuni dei propri frati. Intendeva, infatti, avvalersene per un seminario che aveva intenzione di costituire per l’educazione del clero. Sapeva, in particolare, delle doti di Raimondo e chiese di poter avere anch’egli con sé. Raimondo, così come i decreti del IV Concilio del Laterano ammettevano, acconsentì a seguire Berengario per aiutarlo ad istruire il clero. Giunto a Barcellona lo studioso fu eletto canonico della cattedrale e prevosto del capitolo. Quando in città si aprì un convento dell’Ordine dei Predicatori, Raimondo, sempre più attratto dalla vita religiosa, decise di prendere i voti e divenire anch’egli un frate predicatore. Entrò a fare parte dell’Ordine domenicano il venerdì santo del 1222. Un anno dopo, entrato in contatto con Pietro Nolasco, in seguito venerato anch’egli come santo dalla Chiesa cattolica, lo aiutò a fondare l’ordine dei mercedari. Si trattava di un ordine il cui scopo principale era quello di affrancare gli schiavi caduti in mano islamica e che, accanto ai tre voti tradizionali, affiancava quello della redenzione. In seguito, ebbe l’incarico di scrivere una Summa per i casi di coscienza per confessori; fu così che redasse Summa de Casibus Poenitentiae. Papa Gregorio IX gli diede, inoltre, importanti compiti; Raimondo era il suo confessore e venne, inoltre, nominato cappellano e penitenziere del Papa. In questo periodo, inoltre, a fianco del Papa fornì importanti risoluzioni ad una serie di controversie giuridiche che vennero raccolte in un volume intitolato Dubitalia. Alla morte di Giordano di Sassonia, venerato come beato, divenne, nel 1238, il terzo Maestro Generale dei domenicani. Fu impegnato in tale veste contro l’eresia.
Oggi la Chiesa cattolica celebra san Raimondo di Peñafort: nato a Santa Margarida i els Monjos nel 1175, morì a Barcellona, 6 il gennaio 1275. Il suo percorso inizia a Bologna dove, dopo aver studiato diritto, riuscì ad accedere all’insegnamento della materia, ricevendo uno stipendio dall’amministrazione cittadina. La sua vita ebbe una radicale svolta quando la città fu visitata da Berengario IV di Palali. Si trattava del vescovo di Barcellona, giunto a Bologna nel 1218 dopo essere stato a Roma in pellegrinaggio. Il vescovo, affascinato dalla figura di Domenico di Guzamàn, fondatore dell’ordine dei frati predicatori, si rivolese a lui per ottenere alcuni dei propri frati. Intendeva, infatti, avvalersene per un seminario che aveva intenzione di costituire per l’educazione del clero. Sapeva, in particolare, delle doti di Raimondo e chiese di poter avere anch’egli con sé. Raimondo, così come i decreti del IV Concilio del Laterano ammettevano, acconsentì a seguire Berengario per aiutarlo ad istruire il clero. Giunto a Barcellona lo studioso fu eletto canonico della cattedrale e prevosto del capitolo. Quando in città si aprì un convento dell’Ordine dei Predicatori, Raimondo, sempre più attratto dalla vita religiosa, decise di prendere i voti e divenire anch’egli un frate predicatore. Entrò a fare parte dell’Ordine domenicano il venerdì santo del 1222. Un anno dopo, entrato in contatto con Pietro Nolasco, in seguito venerato anch’egli come santo dalla Chiesa cattolica, lo aiutò a fondare l’ordine dei mercedari. Si trattava di un ordine il cui scopo principale era quello di affrancare gli schiavi caduti in mano islamica e che, accanto ai tre voti tradizionali, affiancava quello della redenzione. In seguito, ebbe l’incarico di scrivere una Summa per i casi di coscienza per confessori; fu così che redasse Summa de Casibus Poenitentiae. Papa Gregorio IX gli diede, inoltre, importanti compiti; Raimondo era il suo confessore e venne, inoltre, nominato cappellano e penitenziere del Papa. In questo periodo, inoltre, a fianco del Papa fornì importanti risoluzioni ad una serie di controversie giuridiche che vennero raccolte in un volume intitolato Dubitalia. Alla morte di Giordano di Sassonia, venerato come beato, divenne, nel 1238, il terzo Maestro Generale dei domenicani. Fu impegnato in tale veste contro l’eresia.
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Re: Il Santo del giorno
SANTO DEL GIORNO/ Oggi, 8 gennaio, si celebra il Battesimo di Gesù Redazione domenica 8 gennaio 2012
Tutti i Santi vai al dossier Santo del giorno Oggi la Chiesa cattolica celebra il Battesimo di Gesù. Si tratta di un episodio della vita di Cristo raccontato nel Vangelo di Marco (1,9-11), in quello di Matteo (3,13-17) e in quello di Luca (3,21-22). E’ il primo dei Misteri della luce celebrati quando si recita il Rosario e viene festeggiato anche dalla Chiesa anglicana. San Giovanni, inoltre racconta della testimonianza di Giocanni il Battista, colui che battezzò Gesù, che vide discendere lo Spirito Santo, ma non parla del battesimo del figlio di Dio. Nel racconto dell’evangelista Marco, Gesù, recandosi da Nazareth sulle rive del Giordano, quando Gesù uscì dall’acqua dopo aver ricevuto il battesimo, i cieli si aprirono e su di lui discese lo Spirito – la terza Persona della Trinità- assumendo le sembianze di una colomba, come viene tradizionalmente raffigurato. In quel momento si udì la voce di Dio che disse: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto». Il racconto di Matteo è analogo, ma con alcune differenze. Giovanni Battista, infatti, tentò di impedire a Gesù di essere battezzato da lui, dal momento che non si riteneva degno. Gli disse, infatti: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». Gesù gli ordinò di fare quanto gli chiedeva. Così era giusto che il corso degli eventi si compisse. Anche in questo caso, Matteo racconta dell’aprirsi del cielo, del discendere dello Spirito e delle parole di Dio Padre. Luca, invece, racconta che in quel momento tutto il popolo stava venendo battezzato. Gesù, assieme agli altri si fede battezzare e, in quell’istante, mentre era raccolto in preghiera, si verificarono i prodigi descritti nei altri due Vangeli. Giovanni, invece, racconta della discesa dello Spirito e di Giovanni Battista che testimoniò come colui che gli ordinò di battezzare le genti con l’acqua (Dio) gli disse anche che un giorno sarebbe venuto colui sul quale sarebbe apparso lo Spirito; Egli, d’ora in avanti, avrebbe battezzato non più con l’acqua, ma con lo Spirito Santo. L’interpretazione dell’episodio è resa difficile dal fatto che il battesimo, come atto compiuto per rimettere i peccati, non poteva adempirsi per colui che era senza peccato.
Tutti i Santi vai al dossier Santo del giorno Oggi la Chiesa cattolica celebra il Battesimo di Gesù. Si tratta di un episodio della vita di Cristo raccontato nel Vangelo di Marco (1,9-11), in quello di Matteo (3,13-17) e in quello di Luca (3,21-22). E’ il primo dei Misteri della luce celebrati quando si recita il Rosario e viene festeggiato anche dalla Chiesa anglicana. San Giovanni, inoltre racconta della testimonianza di Giocanni il Battista, colui che battezzò Gesù, che vide discendere lo Spirito Santo, ma non parla del battesimo del figlio di Dio. Nel racconto dell’evangelista Marco, Gesù, recandosi da Nazareth sulle rive del Giordano, quando Gesù uscì dall’acqua dopo aver ricevuto il battesimo, i cieli si aprirono e su di lui discese lo Spirito – la terza Persona della Trinità- assumendo le sembianze di una colomba, come viene tradizionalmente raffigurato. In quel momento si udì la voce di Dio che disse: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto». Il racconto di Matteo è analogo, ma con alcune differenze. Giovanni Battista, infatti, tentò di impedire a Gesù di essere battezzato da lui, dal momento che non si riteneva degno. Gli disse, infatti: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». Gesù gli ordinò di fare quanto gli chiedeva. Così era giusto che il corso degli eventi si compisse. Anche in questo caso, Matteo racconta dell’aprirsi del cielo, del discendere dello Spirito e delle parole di Dio Padre. Luca, invece, racconta che in quel momento tutto il popolo stava venendo battezzato. Gesù, assieme agli altri si fede battezzare e, in quell’istante, mentre era raccolto in preghiera, si verificarono i prodigi descritti nei altri due Vangeli. Giovanni, invece, racconta della discesa dello Spirito e di Giovanni Battista che testimoniò come colui che gli ordinò di battezzare le genti con l’acqua (Dio) gli disse anche che un giorno sarebbe venuto colui sul quale sarebbe apparso lo Spirito; Egli, d’ora in avanti, avrebbe battezzato non più con l’acqua, ma con lo Spirito Santo. L’interpretazione dell’episodio è resa difficile dal fatto che il battesimo, come atto compiuto per rimettere i peccati, non poteva adempirsi per colui che era senza peccato.
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Re: Il Santo del giorno
San Marcellino d’Embrun Vescovo
Nacque nell’Africa da genitori cattolici ricchi di beni e di virtù. Fin da bambino fu istruito nella religione cristiana, e vi dimostrò molto amore. Amava la vita ritirata, cercando più la conversazione con il suo Gesù, del quale aveva conosciuto la predilezione verso i fanciulli, che non le parole vane degli uomini.
Era forse ventenne quando, in comune accordo con due suoi compagni, Vincenzo e Donnino, si ritirò in una grotta, lontano dai rumori e dalle distrazioni mondane e, nella meditazione delle divine verità e nell’esercizio della penitenza, trascorsero vario tempo consolati dalle interiori dolcezze che Gesù dona a coloro che lo amano.
Desiderando far conoscere Gesù e il suo Vangelo alle genti che ancora erano nelle tenebre, Marcellino passò nelle Gallie e i suoi due compagni lo seguirono. Predicarono il Vangelo nei Paesi presso le Alpi e ottennero abbondanti conversioni.
Più tardi Marcellino venne a Embrum, dove si costruì un oratorio per recarvisi la notte a fare orazione, mentre durante il giorno si dedicava alla predicazione del Vangelo. I suoi esempi e i suoi discorsi avvalorati dalla grazia condussero a Dio un gran numero di idolatri.
Tutta Embrum in breve fu da Marcellino conquistata alla religione cristiana, per la qual cosa egli pregò S. Eusebio di Vercelli di consacrare il suo Oratorio, perchè servisse da chiesa; cosa che gli fu ben volentieri accordata.
Era tanto il bene che il Santo aveva operato, che fu necessario eleggere un vescovo che governasse quel popolo. La scelta non poteva essere migliore: fu infatti Marcellino stesso a esser consacrato vescovo di Embrum e primo pastore di quella Chiesa.
Ardendo di nuovo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime si adoperava in tutto per far fiorire la pietà e con essa alimentare in ognuno la virtù. Non potendo portarsi in tutti i luoghi della sua diocesi come avrebbe desiderato, vi mandava i suoi coadiutori Vincenzo e Donnino.
Frequenti, se non continue, erano le sue missioni che riuscivano efficaci specialmente per i numerosi e strepitosi miracoli che vi operava.
Nel tempo stesso che Marcellino si dedicava alla salvezza delle altre anime, non trascurava la sua, ma sempre più la rendeva bella e grata a Dio con la meditazione, con la preghiera e con la penitenza. Dio lo chiamò a sé l’anno 374.
La sua tomba, per i miracoli, divenne celebre nei Paesi del Delfinato, della Provenza e della Savoia. Poi il suo corpo fu trasportato nella città di Digne dove riposano pure i corpi dei suoi santi compagni Vincenzo e Donnino. Quel sepolcro, ancor oggi, è una fonte inesauribile di grazie e favori.
[url=https://servimg.com/view/14410099/588][/url
Nacque nell’Africa da genitori cattolici ricchi di beni e di virtù. Fin da bambino fu istruito nella religione cristiana, e vi dimostrò molto amore. Amava la vita ritirata, cercando più la conversazione con il suo Gesù, del quale aveva conosciuto la predilezione verso i fanciulli, che non le parole vane degli uomini.
Era forse ventenne quando, in comune accordo con due suoi compagni, Vincenzo e Donnino, si ritirò in una grotta, lontano dai rumori e dalle distrazioni mondane e, nella meditazione delle divine verità e nell’esercizio della penitenza, trascorsero vario tempo consolati dalle interiori dolcezze che Gesù dona a coloro che lo amano.
Desiderando far conoscere Gesù e il suo Vangelo alle genti che ancora erano nelle tenebre, Marcellino passò nelle Gallie e i suoi due compagni lo seguirono. Predicarono il Vangelo nei Paesi presso le Alpi e ottennero abbondanti conversioni.
Più tardi Marcellino venne a Embrum, dove si costruì un oratorio per recarvisi la notte a fare orazione, mentre durante il giorno si dedicava alla predicazione del Vangelo. I suoi esempi e i suoi discorsi avvalorati dalla grazia condussero a Dio un gran numero di idolatri.
Tutta Embrum in breve fu da Marcellino conquistata alla religione cristiana, per la qual cosa egli pregò S. Eusebio di Vercelli di consacrare il suo Oratorio, perchè servisse da chiesa; cosa che gli fu ben volentieri accordata.
Era tanto il bene che il Santo aveva operato, che fu necessario eleggere un vescovo che governasse quel popolo. La scelta non poteva essere migliore: fu infatti Marcellino stesso a esser consacrato vescovo di Embrum e primo pastore di quella Chiesa.
Ardendo di nuovo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime si adoperava in tutto per far fiorire la pietà e con essa alimentare in ognuno la virtù. Non potendo portarsi in tutti i luoghi della sua diocesi come avrebbe desiderato, vi mandava i suoi coadiutori Vincenzo e Donnino.
Frequenti, se non continue, erano le sue missioni che riuscivano efficaci specialmente per i numerosi e strepitosi miracoli che vi operava.
Nel tempo stesso che Marcellino si dedicava alla salvezza delle altre anime, non trascurava la sua, ma sempre più la rendeva bella e grata a Dio con la meditazione, con la preghiera e con la penitenza. Dio lo chiamò a sé l’anno 374.
La sua tomba, per i miracoli, divenne celebre nei Paesi del Delfinato, della Provenza e della Savoia. Poi il suo corpo fu trasportato nella città di Digne dove riposano pure i corpi dei suoi santi compagni Vincenzo e Donnino. Quel sepolcro, ancor oggi, è una fonte inesauribile di grazie e favori.
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Re: Il Santo del giorno
Santa Francesca di Sales(Léonie Aviat), Vergine Fondatrice della Congregazione Suore Oblate di S. Francesco di Sales
Léonie Aviat, nasce a Sézanne, nella Champagne (Fr), il 16 settembre 1844. Compie i suoi studi al monastero della Visitazione di Troyes, dove la Superiora, Madre Maria di Sales Chappuis, e il cappellano, Padre Luigi Brisson, esercitano su di lei un ascendente decisivo.
Formata alla scuola di San Francesco di Sales, la giovane Léonie si prepara alla sua futura missione: la fondazione di una Congregazione di spiritualità salesiana, dedicata alla evangelizzazione della gioventù operaia.
Tutto comincia nel 1866. Siamo all'epoca in cui le grandi industrie si sviluppano ed attirano alle città una mano d'opera a buon mercato: è il caso della città di Troyes, dove le fabbriche tessili assumono ragazze giovanissime, venute dalla campagna.
Il Padre Brisson, apostolo dal cuore ardente ed uno dei precursori del grande movimento sociale della fine del XIX secolo, aveva aperto, nel 1858, per le giovani operaie di maglieria, una casa di accoglienza destinata ad assicurare loro una buona educazione umana e cristiana.
Non essendo possibile trovare, per questa casa-famiglia, chiamata “Opera San Francesco di Sales”, una direttrice ed un inquadramento stabile, il Padre Brisson decide, per ispirazione di Dio, di fondare una congregazione religiosa. Egli trova in Léonie Aviat una collaboratrice preziosa, nella quale riconosce d'altronde la vocazione religiosa. Infatti, alla fine dei suoi studi, la giovane aveva lasciato il monastero coll'intenzione di farvi ritorno per diventare suora conversa. Ma il Padre Brisson e la Madre Chappuis l'avevano consigliata di attendere. La giovane obbedisce a ciò che riconosce come volontà di Dio, ma poco dopo il Signore le concede un segno tanto particolare che non poteva trattarsi di una illusione. Era entrata in un laboratorio di ottica per fare una commissione, quando un raggio di luce attraversò il suo spirito e la dispose a prendere una decisione. Vede, nel laboratorio, un bel numero di giovani donne al lavoro, sotto l'occhio attento e materno della sorvegliante. Questo suscita nel suo cuore il desiderio di aggregarsi a loro per consigliarle e guidarle. Quando il Padre Brisson l'invita a visitare la casa d'accoglienza che ha fondato nella città di Troyes, questo desiderio diventa ancora più intenso.
Il 18 aprile 1866, Léonie entra all'Opera San Francesco di Sales, con Lucia Canuet, una giovane che era stata sua compagna alla Visitazione.
Il 30 ottobre 1868, la giovane fondatrice prende il velo col nome di Suor Francesca di Sales.
Questo nome è per lei un vero programma. Ne cogliamo l'espressione in una preghiera che ritroviamo nei suoi appunti intimi dell'agosto 1871: “San Francesco di Sales, mi avete scelta per fare da guida a questo piccolo gruppo. Datemi il vostro spirito, il vostro cuore... Fatemi partecipe del legame che vi unisce a Dio e allo spirito interiore che con Dio sa far tutto e che nulla fa senza Dio”.
Il "piccolo gruppo" di cui è la guida si mette sotto la protezione del santo Vescovo di Ginevra e ne adotta per intero la spiritualità e la pedagogia. Questo spiega perché il gruppo viene chiamato “Suore Oblate di san Francesco di Sales”. Questo nome vuol dire che le Suore si offrono per tutta la vita a Dio e al prossimo.
Il giorno 11 ottobre 1871, Suor Francesca di Sales fa la sua professione. L'anno seguente è eletta Superiora della nuova Congregazione. Con questo la Congregazione è fondata canonicamente e ciò le permette di dedicarsi al suo sviluppo. Sotto il governo di Suor Francesca di Sales la comunità cresce, le opere operaie si sviluppano. Allo stesso tempo si aprono scuole elementari nelle parrocchie.
A Parigi si apre il primo pensionato per ragazze, il pensionato che la Madre Francesca dirige per otto anni. Così le Oblate estendono il loro apostolato alle diverse classi sociali ed intraprendono l'educazione delle giovani in tutte le sue forme, ivi comprese, fin dagli anni della fondazione, le missioni ad gentes.
Nel 1893, dopo un periodo di vita nascosta, che mette in risalto la sua grande umiltà, Suor Francesca è di nuovo eletta Superiora Generale, carica che ricoprirà fino alla morte. Si impegnerà quindi a sviluppare le Opere della Congregazione in Europa, Africa del Sud ed Ecuador, dando prova di una instancabile sollecitudine per ognuna delle sue comunità e ciascuna delle sue suore.
Nel 1903 Madre Francesca, a causa dell’anticlericalismo che aveva permeato le istituzioni francesi, si trasferì a Perugia e vi spostò la casa madre dell'istituto. Nel 1911 le Costituzioni dell'istituto vengono approvate definitivamente da S. Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, 1903-1914).
Il 26 dicembre 1913, Madre Francesca di Sales, febbricitante, deve coricarsi. Il suo stato si aggrava, e, il 9 gennaio, riceve l'Estrema Unzione, quindi la Santa Comunione. Il 10, poco prima delle sei, si spegne a Perugia, circondata dalle sue Figliole, in un sereno abbandono al Signore, fedele fino al suo ultimo respiro alla risoluzione presa il giorno della sua professione: “Dimenticare me stessa completamente”.
Riconosciute l'eroicità delle virtù, Papa Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) le ha conferito il titolo di Venerabile il 9 aprile del 1957.
Francesca di Sales è stata proclamata beata il 27 settembre 1992 e canonizzata, il 25 novembre del 2001, nella basilica di S. Pietro a Roma, dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005).
Santa Francesca di Sales, alle sue figlie, ha lasciato questo programma di vita, squisitamente salesiano: “Facciamo del nostro meglio affinché gli altri siano felici”.
Il Martirologio Romano indica per la sua memoria la data del 10 gennaio (“dies natalis”).
Oggigiorno, le “Suore Oblate di san Francesco di Sales” compiono la loro missione di carità negli istituti scolastici, i centri di accoglimento, ed anche attraverso vari servizi corrispondenti alle aspettative delle diocesi e delle parrocchie (catechesi, catecumenato, liturgia, missioni di evangelizzazione, ecc.), offrono il loro aiuto alle persone anziane, agli ammalati ed ai carcerati, animano ritiri spirituali, ecc. Hanno 25 case in Europa, 15 in Africa, 3 negli Stati Uniti e 11 nell'America del Sud.
Léonie Aviat, nasce a Sézanne, nella Champagne (Fr), il 16 settembre 1844. Compie i suoi studi al monastero della Visitazione di Troyes, dove la Superiora, Madre Maria di Sales Chappuis, e il cappellano, Padre Luigi Brisson, esercitano su di lei un ascendente decisivo.
Formata alla scuola di San Francesco di Sales, la giovane Léonie si prepara alla sua futura missione: la fondazione di una Congregazione di spiritualità salesiana, dedicata alla evangelizzazione della gioventù operaia.
Tutto comincia nel 1866. Siamo all'epoca in cui le grandi industrie si sviluppano ed attirano alle città una mano d'opera a buon mercato: è il caso della città di Troyes, dove le fabbriche tessili assumono ragazze giovanissime, venute dalla campagna.
Il Padre Brisson, apostolo dal cuore ardente ed uno dei precursori del grande movimento sociale della fine del XIX secolo, aveva aperto, nel 1858, per le giovani operaie di maglieria, una casa di accoglienza destinata ad assicurare loro una buona educazione umana e cristiana.
Non essendo possibile trovare, per questa casa-famiglia, chiamata “Opera San Francesco di Sales”, una direttrice ed un inquadramento stabile, il Padre Brisson decide, per ispirazione di Dio, di fondare una congregazione religiosa. Egli trova in Léonie Aviat una collaboratrice preziosa, nella quale riconosce d'altronde la vocazione religiosa. Infatti, alla fine dei suoi studi, la giovane aveva lasciato il monastero coll'intenzione di farvi ritorno per diventare suora conversa. Ma il Padre Brisson e la Madre Chappuis l'avevano consigliata di attendere. La giovane obbedisce a ciò che riconosce come volontà di Dio, ma poco dopo il Signore le concede un segno tanto particolare che non poteva trattarsi di una illusione. Era entrata in un laboratorio di ottica per fare una commissione, quando un raggio di luce attraversò il suo spirito e la dispose a prendere una decisione. Vede, nel laboratorio, un bel numero di giovani donne al lavoro, sotto l'occhio attento e materno della sorvegliante. Questo suscita nel suo cuore il desiderio di aggregarsi a loro per consigliarle e guidarle. Quando il Padre Brisson l'invita a visitare la casa d'accoglienza che ha fondato nella città di Troyes, questo desiderio diventa ancora più intenso.
Il 18 aprile 1866, Léonie entra all'Opera San Francesco di Sales, con Lucia Canuet, una giovane che era stata sua compagna alla Visitazione.
Il 30 ottobre 1868, la giovane fondatrice prende il velo col nome di Suor Francesca di Sales.
Questo nome è per lei un vero programma. Ne cogliamo l'espressione in una preghiera che ritroviamo nei suoi appunti intimi dell'agosto 1871: “San Francesco di Sales, mi avete scelta per fare da guida a questo piccolo gruppo. Datemi il vostro spirito, il vostro cuore... Fatemi partecipe del legame che vi unisce a Dio e allo spirito interiore che con Dio sa far tutto e che nulla fa senza Dio”.
Il "piccolo gruppo" di cui è la guida si mette sotto la protezione del santo Vescovo di Ginevra e ne adotta per intero la spiritualità e la pedagogia. Questo spiega perché il gruppo viene chiamato “Suore Oblate di san Francesco di Sales”. Questo nome vuol dire che le Suore si offrono per tutta la vita a Dio e al prossimo.
Il giorno 11 ottobre 1871, Suor Francesca di Sales fa la sua professione. L'anno seguente è eletta Superiora della nuova Congregazione. Con questo la Congregazione è fondata canonicamente e ciò le permette di dedicarsi al suo sviluppo. Sotto il governo di Suor Francesca di Sales la comunità cresce, le opere operaie si sviluppano. Allo stesso tempo si aprono scuole elementari nelle parrocchie.
A Parigi si apre il primo pensionato per ragazze, il pensionato che la Madre Francesca dirige per otto anni. Così le Oblate estendono il loro apostolato alle diverse classi sociali ed intraprendono l'educazione delle giovani in tutte le sue forme, ivi comprese, fin dagli anni della fondazione, le missioni ad gentes.
Nel 1893, dopo un periodo di vita nascosta, che mette in risalto la sua grande umiltà, Suor Francesca è di nuovo eletta Superiora Generale, carica che ricoprirà fino alla morte. Si impegnerà quindi a sviluppare le Opere della Congregazione in Europa, Africa del Sud ed Ecuador, dando prova di una instancabile sollecitudine per ognuna delle sue comunità e ciascuna delle sue suore.
Nel 1903 Madre Francesca, a causa dell’anticlericalismo che aveva permeato le istituzioni francesi, si trasferì a Perugia e vi spostò la casa madre dell'istituto. Nel 1911 le Costituzioni dell'istituto vengono approvate definitivamente da S. Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, 1903-1914).
Il 26 dicembre 1913, Madre Francesca di Sales, febbricitante, deve coricarsi. Il suo stato si aggrava, e, il 9 gennaio, riceve l'Estrema Unzione, quindi la Santa Comunione. Il 10, poco prima delle sei, si spegne a Perugia, circondata dalle sue Figliole, in un sereno abbandono al Signore, fedele fino al suo ultimo respiro alla risoluzione presa il giorno della sua professione: “Dimenticare me stessa completamente”.
Riconosciute l'eroicità delle virtù, Papa Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) le ha conferito il titolo di Venerabile il 9 aprile del 1957.
Francesca di Sales è stata proclamata beata il 27 settembre 1992 e canonizzata, il 25 novembre del 2001, nella basilica di S. Pietro a Roma, dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005).
Santa Francesca di Sales, alle sue figlie, ha lasciato questo programma di vita, squisitamente salesiano: “Facciamo del nostro meglio affinché gli altri siano felici”.
Il Martirologio Romano indica per la sua memoria la data del 10 gennaio (“dies natalis”).
Oggigiorno, le “Suore Oblate di san Francesco di Sales” compiono la loro missione di carità negli istituti scolastici, i centri di accoglimento, ed anche attraverso vari servizi corrispondenti alle aspettative delle diocesi e delle parrocchie (catechesi, catecumenato, liturgia, missioni di evangelizzazione, ecc.), offrono il loro aiuto alle persone anziane, agli ammalati ed ai carcerati, animano ritiri spirituali, ecc. Hanno 25 case in Europa, 15 in Africa, 3 negli Stati Uniti e 11 nell'America del Sud.
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Re: Il Santo del giorno
San Paolino D'Aquileia
Una 'luce italiana' per l'Europa
La storia di Paolino, nato a Cividale, nel ducato longobardo del Friuli, verso l'anno 730, è strettamente legata al progetto coltivato da Carlo Magno di unificare l'Europa (con l'appoggio del papa e sotto il segno della Croce di Cristo): fu nella storia il primo vero progetto di Unità europea, intesa anche in senso culturale. A tale scopo il sovrano aveva riunito ad Aquisgrana, nella 'Accademia Palatina' (il prototipo delle future università) un gruppo di sette saggi (il nome più celebre è quello di Alcuino di York) che dovevano aiutarlo nell'impresa, stringendo fra loro una forte amicizia ed elaborando assieme le linee culturali del progetto. E Paolino fu chiamato a farne parte. Gli amici lo definirono 'Luce di Ausonia' (cioè, d'Italia).
Nel 787 fu nominato patriarca di Aquileia (il cui governo abbracciava l'Istria, il Friuli, Padova, Vicenza, Verona, Trento) e si dedicò subito alla riforma della sua Chiesa, riportandone la liturgia all'antica bellezza.
Partecipò ai concili del tempo per combattere le sempre insidiose eresie, e intraprese un'ampia attività missionaria verso la Slovenia. Era di ingegno ampio e versatile: s'intendeva di teologia (e ci ha lasciato importanti trattati dottrinali), di letteratura e perfino di musica. Ma le sue composizioni poetiche-musicali (che piaceranno perfino a Manzoni e Carducci) avevano sempre un intento didattico. E non c'è quasi comunità cristiana che non abbia una volta o l'altra cantato quell'inno Ubi Caritas et Amor ('Dov'è carità e Amore') che ci è stato appunto regalato da san Paolino.
Una 'luce italiana' per l'Europa
La storia di Paolino, nato a Cividale, nel ducato longobardo del Friuli, verso l'anno 730, è strettamente legata al progetto coltivato da Carlo Magno di unificare l'Europa (con l'appoggio del papa e sotto il segno della Croce di Cristo): fu nella storia il primo vero progetto di Unità europea, intesa anche in senso culturale. A tale scopo il sovrano aveva riunito ad Aquisgrana, nella 'Accademia Palatina' (il prototipo delle future università) un gruppo di sette saggi (il nome più celebre è quello di Alcuino di York) che dovevano aiutarlo nell'impresa, stringendo fra loro una forte amicizia ed elaborando assieme le linee culturali del progetto. E Paolino fu chiamato a farne parte. Gli amici lo definirono 'Luce di Ausonia' (cioè, d'Italia).
Nel 787 fu nominato patriarca di Aquileia (il cui governo abbracciava l'Istria, il Friuli, Padova, Vicenza, Verona, Trento) e si dedicò subito alla riforma della sua Chiesa, riportandone la liturgia all'antica bellezza.
Partecipò ai concili del tempo per combattere le sempre insidiose eresie, e intraprese un'ampia attività missionaria verso la Slovenia. Era di ingegno ampio e versatile: s'intendeva di teologia (e ci ha lasciato importanti trattati dottrinali), di letteratura e perfino di musica. Ma le sue composizioni poetiche-musicali (che piaceranno perfino a Manzoni e Carducci) avevano sempre un intento didattico. E non c'è quasi comunità cristiana che non abbia una volta o l'altra cantato quell'inno Ubi Caritas et Amor ('Dov'è carità e Amore') che ci è stato appunto regalato da san Paolino.
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Re: Il Santo del giorno
abbiamo capito che lux non ha più tanto tempo come prima ma vedo con piacere che in Elio ha trovato un valido collaboratore.
Grazie a tutti per il tempo che dedicate a questo forum era doveroso ringraziare.
Grazie a tutti per il tempo che dedicate a questo forum era doveroso ringraziare.
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Re: Il Santo del giorno
Sant' Aelredo (Etelredo) di Rievaulx Abate
Nacque a Hexham (Northumberland, Inghilterra) nel 1109 o 1110 da nobile famiglia. Trascorse la sua giovinezza come paggio alla corte del re David I di Scozia, dove divenne compagno di studi e di giochi di Enrico, figlio del sovrano, dando meraviglioso esempio di pazienza e di carità. Durante una missione (1135) compiuta a Rievaulx (Yorkshire) per incarico del re, entrò, nonostante i consigli contrari degli amici, in quel monastero cistercense, allora in pieno fiore e il secondo per importanza in Inghilterra, fondato (1131) dal nobile signore Walter Espec sotto gli auspici di s. Bernardo. Ne era allora abate Guglielmo, discepolo di s. Bernardo.
Aelredo fece grandi progressi nella pietà, facendosi ammirare specialmente per la carità pura e sincera verso i suoi confratelli. Come egli stesso scrisse nel suo libro De spirituali amicitia, molto gli giovò l'esempio e la conversazione del confratello Simone, morto nel 1142 in concetto di santità nello stesso monastero. Maestro dei novizi nel 1141, l'anno seguente A. fu inviato quale primo abate con dodici compagni a Revesby (Lincolnshire), monastero appena fondato dal conte William e dipendente da Rievaulx. Nel 1146 fu promosso abate di quest'ultimo monastero, che allora era già in piena prosperità contando trecento monaci. L'abate di Rievaulx era capo di tutti gli abati cistercensi in Inghilterra, carica che costrinse spesso il santo a intraprendere lunghi viaggi per visitare i monasteri dell'Ordine nell'isola. Pare che grande fosse la sua influenza anche nella vita civile di quel paese, specialmente sul re Enrico II nei primi anni del suo regno. Si dice che sia stato lui ad indurre il re ad unirsi a Luigi VII di Francia per incontrare a Toucy, nel 1162, papa Alessandro III.
Sollecitato ad accettare l'episcopato, al quale diverse volte era stato designato anche per l'interessamento del re David e di suo figlio Enrico, A. costantemente rifiutò per amore della vita religiosa. Partecipò in Francia al Capitolo generale del suo Ordine, assistette il 13 ottobre 1163 al trasferimento delle reliquie di s. Edoardo il Confessore nell'abbazia di Westminster e nel 1164 partì in missione per convertire i Pitti del Galloway, dove il 20 marzo di quell'anno a Kirkcudbright lo stesso capo di quei barbari, mosso dall'esortazione del santo, entrò in monastero. Affranto dalle malattie (gotta e calcoli), che lo avevano afflitto negli ultimi dieci anni, morì il 12 gennaio 1166 o 1167 in concetto di santità e fu sepolto a Rievaulx. Il suo culto iniziò subito dopo la morte. Fu canonizzato probabilmente da Celestino III nel 1191. Il Capitolo generale Cistercense del 1250 lo iscrisse tra i santi dell'Ordine al 12 gennaio.
Nacque a Hexham (Northumberland, Inghilterra) nel 1109 o 1110 da nobile famiglia. Trascorse la sua giovinezza come paggio alla corte del re David I di Scozia, dove divenne compagno di studi e di giochi di Enrico, figlio del sovrano, dando meraviglioso esempio di pazienza e di carità. Durante una missione (1135) compiuta a Rievaulx (Yorkshire) per incarico del re, entrò, nonostante i consigli contrari degli amici, in quel monastero cistercense, allora in pieno fiore e il secondo per importanza in Inghilterra, fondato (1131) dal nobile signore Walter Espec sotto gli auspici di s. Bernardo. Ne era allora abate Guglielmo, discepolo di s. Bernardo.
Aelredo fece grandi progressi nella pietà, facendosi ammirare specialmente per la carità pura e sincera verso i suoi confratelli. Come egli stesso scrisse nel suo libro De spirituali amicitia, molto gli giovò l'esempio e la conversazione del confratello Simone, morto nel 1142 in concetto di santità nello stesso monastero. Maestro dei novizi nel 1141, l'anno seguente A. fu inviato quale primo abate con dodici compagni a Revesby (Lincolnshire), monastero appena fondato dal conte William e dipendente da Rievaulx. Nel 1146 fu promosso abate di quest'ultimo monastero, che allora era già in piena prosperità contando trecento monaci. L'abate di Rievaulx era capo di tutti gli abati cistercensi in Inghilterra, carica che costrinse spesso il santo a intraprendere lunghi viaggi per visitare i monasteri dell'Ordine nell'isola. Pare che grande fosse la sua influenza anche nella vita civile di quel paese, specialmente sul re Enrico II nei primi anni del suo regno. Si dice che sia stato lui ad indurre il re ad unirsi a Luigi VII di Francia per incontrare a Toucy, nel 1162, papa Alessandro III.
Sollecitato ad accettare l'episcopato, al quale diverse volte era stato designato anche per l'interessamento del re David e di suo figlio Enrico, A. costantemente rifiutò per amore della vita religiosa. Partecipò in Francia al Capitolo generale del suo Ordine, assistette il 13 ottobre 1163 al trasferimento delle reliquie di s. Edoardo il Confessore nell'abbazia di Westminster e nel 1164 partì in missione per convertire i Pitti del Galloway, dove il 20 marzo di quell'anno a Kirkcudbright lo stesso capo di quei barbari, mosso dall'esortazione del santo, entrò in monastero. Affranto dalle malattie (gotta e calcoli), che lo avevano afflitto negli ultimi dieci anni, morì il 12 gennaio 1166 o 1167 in concetto di santità e fu sepolto a Rievaulx. Il suo culto iniziò subito dopo la morte. Fu canonizzato probabilmente da Celestino III nel 1191. Il Capitolo generale Cistercense del 1250 lo iscrisse tra i santi dell'Ordine al 12 gennaio.
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Re: Il Santo del giorno
Vero!!! è un validdimo collaboratore, io mi sono presa un apiccola vacanzaMody ha scritto:abbiamo capito che lux non ha più tanto tempo come prima ma vedo con piacere che in Elio ha trovato un valido collaboratore.
Grazie a tutti per il tempo che dedicate a questo forum era doveroso ringraziare.
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Re: Il Santo del giorno
E quanto è longa sa vacanza circa ma ti recoghjLux ha scritto:Vero!!! è un validdimo collaboratore, io mi sono presa un apiccola vacanzaMody ha scritto:abbiamo capito che lux non ha più tanto tempo come prima ma vedo con piacere che in Elio ha trovato un valido collaboratore.
Grazie a tutti per il tempo che dedicate a questo forum era doveroso ringraziare.
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Re: Il Santo del giorno
mo sgobbi tu, a volisti sta briggichetta? e mo pedali
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Re: Il Santo del giorno
Si ma averramu e pedalara nzemaLux ha scritto:mo sgobbi tu, a volisti sta briggichetta? e mo pedali
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Re: Il Santo del giorno
Elio ha scritto:Si ma averramu e pedalara nzemaLux ha scritto:mo sgobbi tu, a volisti sta briggichetta? e mo pedali
capa dirtu o capa penninu??
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Re: Il Santo del giorno
Comu vena vena hahahahahdirramatore ha scritto:Elio ha scritto:Si ma averramu e pedalara nzemaLux ha scritto:mo sgobbi tu, a volisti sta briggichetta? e mo pedali
capa dirtu o capa penninu??
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