Il Santo del giorno
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 04 maggio 2012
S. Ciriaco di Ancona
Il nome Ciriaco ha un’origine greca che significa “consacrato al Signore”. Ma egli l’avrebbe assunto solo al momento della conversione, che ci è stata tramandata con molti abbellimenti leggendari.
Il suo vero nome sarebbe stato Giuda, rabbino a Gerusalemme. Sarebbe stato lui a rivelare all’imperatrice Elena, madre di Costantino, il luogo dov’era stata nascosta la croce di Gesù, convertendosi poi per i prodigi che si sarebbero verificatisi in seguito a quel ritrovamento. Sembra che sia morto martire al tempo di Giuliano l’Apostata.
Il suo rapporto con Ancona e con la stupenda cattedrale a lui dedicata probabilmente è dovuto al dono delle reliquie del martire, fatto successivamente alla città per intercessione di Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio.
Un'altra tradizione sostiene invece che Ciriaco, convertito, sarebbe venuto in Italia e sarebbe divenuto davvero vescovo di Ancona, anche se in seguito avrebbe compiuto un pellegrinaggio in Palestina, nel desiderio di rivedere la Terra Santa e i propri familiari. Qui sarebbe stato torturato a lungo e martirizzato, assieme alla madre.
Il legame tra la città di Ancona e san Ciriaco, suo Patrono, è comunque antichissimo e dura da circa millecinquecento anni, tanto che l’effigie del Santo è riprodotta nelle antiche monete coniate dalla zecca anconitana.
La data della sua festa è stata fissata nel giorno successivo a quello in cui – secondo la tradizione – sarebbe stata ritrovata la Santa Croce (3 maggio dell’anno 326).
Altri Santi del giorno
S. Floriano di Lorch (IV sec.);
S. Antonina di Nicea (II-IV sec.);
Santi Martiri Certosini di Londra (1535-1537).
S. Ciriaco di Ancona
Il nome Ciriaco ha un’origine greca che significa “consacrato al Signore”. Ma egli l’avrebbe assunto solo al momento della conversione, che ci è stata tramandata con molti abbellimenti leggendari.
Il suo vero nome sarebbe stato Giuda, rabbino a Gerusalemme. Sarebbe stato lui a rivelare all’imperatrice Elena, madre di Costantino, il luogo dov’era stata nascosta la croce di Gesù, convertendosi poi per i prodigi che si sarebbero verificatisi in seguito a quel ritrovamento. Sembra che sia morto martire al tempo di Giuliano l’Apostata.
Il suo rapporto con Ancona e con la stupenda cattedrale a lui dedicata probabilmente è dovuto al dono delle reliquie del martire, fatto successivamente alla città per intercessione di Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio.
Un'altra tradizione sostiene invece che Ciriaco, convertito, sarebbe venuto in Italia e sarebbe divenuto davvero vescovo di Ancona, anche se in seguito avrebbe compiuto un pellegrinaggio in Palestina, nel desiderio di rivedere la Terra Santa e i propri familiari. Qui sarebbe stato torturato a lungo e martirizzato, assieme alla madre.
Il legame tra la città di Ancona e san Ciriaco, suo Patrono, è comunque antichissimo e dura da circa millecinquecento anni, tanto che l’effigie del Santo è riprodotta nelle antiche monete coniate dalla zecca anconitana.
La data della sua festa è stata fissata nel giorno successivo a quello in cui – secondo la tradizione – sarebbe stata ritrovata la Santa Croce (3 maggio dell’anno 326).
Altri Santi del giorno
S. Floriano di Lorch (IV sec.);
S. Antonina di Nicea (II-IV sec.);
Santi Martiri Certosini di Londra (1535-1537).
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 09 maggio 2012
S. Pacomio il Grande
A rendere grande Pacomio basterebbe la visione che raccontò ai suoi monaci, lasciandola loro come testamento. Aveva visto una caverna tenebrosa piena di gente che anelava ad uscire per ritrovare la luce del sole, e una sola schiera che avanzava sicura senza perdersi nelle tenebre: una piccola schiera di monaci in possesso di una piccola lampada, il Vangelo. E tutti coloro che non volevano perdersi potevano con sicurezza camminare sulle loro orme. Ciò non voleva dire che soltanto i monaci di Pacomio potevano salvarsi, ma che era loro compito irrinunciabile quello di tenere alta per tutti quella “piccola grande luce”. La visione era anche un racconto della storia del grande Abate: prima di lui i monaci avevano preferito esclusivamente l’esperienza eremitica, ma Pacomio s’era convertito al cristianesimo per la carità fraterna che aveva visto esercitata dai cristiani. Infatti, da giovane, era stato costretto alla vita militare e aveva trovato, in una caserma di Tebe, dei cristiani (gente per lui sconosciuta) che l’avevano accolto e aiutato fraternamente.
“Anch’io voglio fare la volontà di Dio e amare tutti gli uomini”, si era detto. Divenuto cristiano, si era recato a vivere tra gli eremiti della Tebaide, ma poi aveva cominciato ad allargare la sua dimora per accogliervi tutti coloro che venivano a lui. Divenne così l’inventore della “vita monastica comunitaria”, dando origine a un villaggio di monaci con case diverse, in base al lavoro cui i gruppi di monaci si dedicavano. A tutti Pacomio diede una Regola che contemperava le severe esigenze della vita comune con quelle dei singoli monaci, spesso bisognosi di più misericordia. E a volte c’era chi criticava il santo Abate, per la sua condiscendenza. Ma quando Pacomio morì i monaci si dissero con malinconia: “Oggi siamo diventati orfani!”.
S. Pacomio il Grande
A rendere grande Pacomio basterebbe la visione che raccontò ai suoi monaci, lasciandola loro come testamento. Aveva visto una caverna tenebrosa piena di gente che anelava ad uscire per ritrovare la luce del sole, e una sola schiera che avanzava sicura senza perdersi nelle tenebre: una piccola schiera di monaci in possesso di una piccola lampada, il Vangelo. E tutti coloro che non volevano perdersi potevano con sicurezza camminare sulle loro orme. Ciò non voleva dire che soltanto i monaci di Pacomio potevano salvarsi, ma che era loro compito irrinunciabile quello di tenere alta per tutti quella “piccola grande luce”. La visione era anche un racconto della storia del grande Abate: prima di lui i monaci avevano preferito esclusivamente l’esperienza eremitica, ma Pacomio s’era convertito al cristianesimo per la carità fraterna che aveva visto esercitata dai cristiani. Infatti, da giovane, era stato costretto alla vita militare e aveva trovato, in una caserma di Tebe, dei cristiani (gente per lui sconosciuta) che l’avevano accolto e aiutato fraternamente.
“Anch’io voglio fare la volontà di Dio e amare tutti gli uomini”, si era detto. Divenuto cristiano, si era recato a vivere tra gli eremiti della Tebaide, ma poi aveva cominciato ad allargare la sua dimora per accogliervi tutti coloro che venivano a lui. Divenne così l’inventore della “vita monastica comunitaria”, dando origine a un villaggio di monaci con case diverse, in base al lavoro cui i gruppi di monaci si dedicavano. A tutti Pacomio diede una Regola che contemperava le severe esigenze della vita comune con quelle dei singoli monaci, spesso bisognosi di più misericordia. E a volte c’era chi criticava il santo Abate, per la sua condiscendenza. Ma quando Pacomio morì i monaci si dissero con malinconia: “Oggi siamo diventati orfani!”.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 10 maggio
S. Giovanni d'Avila
Giovanni d’Avila, detto l’Apostolo dell’Andalusia, fu un grande predicatore vissuto nel 1500. Eppure la sua canonizzazione è avvenuta soltanto nel 1970, per opera di Paolo VI che lo ha proclamato anche patrono dei sacerdoti. Più recentemente ancora, durante la Giornata Mondiale della Gioventù del 2011, Benedetto XVI ha preannunciato la sua prossima proclamazione a Dottore della Chiesa.
È dunque giusto cominciare a diffondere il suo ricordo, rimasto piuttosto in ombra. Eppure, quand’era in vita, egli fu amico e consigliere dei più celebri protagonisti della storia spagnola: ricorsero a lui s. Teresa d’Avila e s. Ignazio di Loyola; s. Pietro d’Alcantara e s. Tommaso da Villanova. Giovanni Cidade (il futuro san Giovanni di Dio) si convertì ascoltando una sua predica; e lo stesso accadde a Francesco Borgia, vicerè di Catalogna che si convertì (e divenne poi santo) ascoltando la predica che Giovanni d’Avila tenne per i funerali di Isabella di Portogallo, moglie di Carlo V.
Particolarmente interessante è il volume che raccoglie le numerosissime lettere di Giovanni d’Avila, dal titolo Epistolario spirituale per tutti gli stati di vita.
Un altro suo testo, ancora più celebre, si intitola “Audi Filia”, un trattato di ascetica e vita cristiana, scritto per una giovane discepola e poi universalmente diffuso. L’efficacia del suo stile è bene evocata anche solo da questa invocazione: «O croce santa, accogli anche me…. Allargati, o corona di spine, perché vi possa trovar posto anche il mio capo. Chiodi, lasciate le mani innocenti del mio Signore e trapassate il mio cuore… Signore, quanto io Ti vedo sulla croce, tutto mi invita ad amarti: il legno, le tue sembianze, le tue ferite, e soprattutto il tuo amore, m’invitano ad amarti e a non dimenticarti mai più!».
Giovanni d’Avila morì nel 1569 e un suo celebre amico e discepolo, fra Luigi di Granada, ne scrisse la vita.
S. Giovanni d'Avila
Giovanni d’Avila, detto l’Apostolo dell’Andalusia, fu un grande predicatore vissuto nel 1500. Eppure la sua canonizzazione è avvenuta soltanto nel 1970, per opera di Paolo VI che lo ha proclamato anche patrono dei sacerdoti. Più recentemente ancora, durante la Giornata Mondiale della Gioventù del 2011, Benedetto XVI ha preannunciato la sua prossima proclamazione a Dottore della Chiesa.
È dunque giusto cominciare a diffondere il suo ricordo, rimasto piuttosto in ombra. Eppure, quand’era in vita, egli fu amico e consigliere dei più celebri protagonisti della storia spagnola: ricorsero a lui s. Teresa d’Avila e s. Ignazio di Loyola; s. Pietro d’Alcantara e s. Tommaso da Villanova. Giovanni Cidade (il futuro san Giovanni di Dio) si convertì ascoltando una sua predica; e lo stesso accadde a Francesco Borgia, vicerè di Catalogna che si convertì (e divenne poi santo) ascoltando la predica che Giovanni d’Avila tenne per i funerali di Isabella di Portogallo, moglie di Carlo V.
Particolarmente interessante è il volume che raccoglie le numerosissime lettere di Giovanni d’Avila, dal titolo Epistolario spirituale per tutti gli stati di vita.
Un altro suo testo, ancora più celebre, si intitola “Audi Filia”, un trattato di ascetica e vita cristiana, scritto per una giovane discepola e poi universalmente diffuso. L’efficacia del suo stile è bene evocata anche solo da questa invocazione: «O croce santa, accogli anche me…. Allargati, o corona di spine, perché vi possa trovar posto anche il mio capo. Chiodi, lasciate le mani innocenti del mio Signore e trapassate il mio cuore… Signore, quanto io Ti vedo sulla croce, tutto mi invita ad amarti: il legno, le tue sembianze, le tue ferite, e soprattutto il tuo amore, m’invitano ad amarti e a non dimenticarti mai più!».
Giovanni d’Avila morì nel 1569 e un suo celebre amico e discepolo, fra Luigi di Granada, ne scrisse la vita.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno Venerdì 11 Maggio 2012
S. Francesco De Geronimo
«Il missionario di Napoli», a cura di Antonio Maria Sicari
È un santo tipicamente meridionale non solo perché nato in Puglia (nel 1642), ma perché trovò a Napoli la sua “terra di missione”, senza volerla mai abbandonare.
Era già sacerdote, laureato in Diritto civile e canonico, oltre che in Teologia, quando si fece gesuita a ventotto anni, affascinato dal sogno di riprendere la missione di s. Francesco Saverio in Oriente. Ma trovò la sua terra di missione nei quartieri più poveri e degradati di Napoli, dove operò per quarant’anni. Era lui a raggiungere i fedeli nei vicoli, nei “bassi”, nei “fondaci”, nelle carceri, negli ospedali, nel porto e sulle navi. E si faceva aiutare (con molto anticipo sui tempi) da un gruppo di artigiani amici (ne ebbe fino a duecento!) che curavano l’organizzazione pratica dei suoi interventi missionari.
Ogni terza domenica del mese – da lui particolarmente indicata per le confessioni e le comunioni – la chiesa dei Gesuiti diventava la metà di circa ventimila fedeli che accorrevano da tutta Napoli. Qui trovavano decine di sacerdoti pronti ad ascoltare le confessioni. Le conversioni, operate da Francesco furono innumerevoli e molte fecero scalpore. Ma non gli mancarono anche persecuzioni e aggressioni da parte di chi vedeva danneggiati i propri traffici. Alla fine però il santo predicatore riuscì ad avere sul popolo un tale ascendente, da poter quietare gli animi anche in ore tragiche che potevano dare adito alle peggiori violenze. Fu quel che accadde all’inizio del sec. XVIII, quando l’esercito austriaco occupò la città, cacciando gli spagnoli.
Morì nel 1716 e si racconta che, nella domenica successiva
S. Francesco De Geronimo
«Il missionario di Napoli», a cura di Antonio Maria Sicari
È un santo tipicamente meridionale non solo perché nato in Puglia (nel 1642), ma perché trovò a Napoli la sua “terra di missione”, senza volerla mai abbandonare.
Era già sacerdote, laureato in Diritto civile e canonico, oltre che in Teologia, quando si fece gesuita a ventotto anni, affascinato dal sogno di riprendere la missione di s. Francesco Saverio in Oriente. Ma trovò la sua terra di missione nei quartieri più poveri e degradati di Napoli, dove operò per quarant’anni. Era lui a raggiungere i fedeli nei vicoli, nei “bassi”, nei “fondaci”, nelle carceri, negli ospedali, nel porto e sulle navi. E si faceva aiutare (con molto anticipo sui tempi) da un gruppo di artigiani amici (ne ebbe fino a duecento!) che curavano l’organizzazione pratica dei suoi interventi missionari.
Ogni terza domenica del mese – da lui particolarmente indicata per le confessioni e le comunioni – la chiesa dei Gesuiti diventava la metà di circa ventimila fedeli che accorrevano da tutta Napoli. Qui trovavano decine di sacerdoti pronti ad ascoltare le confessioni. Le conversioni, operate da Francesco furono innumerevoli e molte fecero scalpore. Ma non gli mancarono anche persecuzioni e aggressioni da parte di chi vedeva danneggiati i propri traffici. Alla fine però il santo predicatore riuscì ad avere sul popolo un tale ascendente, da poter quietare gli animi anche in ore tragiche che potevano dare adito alle peggiori violenze. Fu quel che accadde all’inizio del sec. XVIII, quando l’esercito austriaco occupò la città, cacciando gli spagnoli.
Morì nel 1716 e si racconta che, nella domenica successiva
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno Sabato 12 Maggio 2012
B. Giovanna di Portogallo
Nei tempi in cui la fede s’indebolisce, anche per molti cristiani diventa particolarmente difficile capire la vocazione di giovani donne che si dicono innamorate di Gesù, al punto da non potere né volere amare un altro Sposo. Perciò il ricordo e l’esempio di alcune splendide figure di vergini cristiane diventa ancora più prezioso. È stato così, fin dalle origini del cristianesimo, anche quando scegliere la verginità consacrata voleva dire andare incontro al martirio.
Tra queste “vergini Spose di Cristo” merita d’essere ricordata la principessa Giovanna di Portogallo (detta anche Giovanna di Aviz), nata nel 1452 a Lisbona e subito proclamata erede al trono. Non c’era allora in Europa una fanciulla più nobile, più bella e più desiderata di lei. Era figlia del re Alfonso IV e, ancora giovanissima, era già stata chiesta in sposa dal Delfino di Francia, da Massimiliano d’Austria e dal re d’Inghilterra.
Alla sua vocazione monastica si opponevano non soltanto il padre e i dignitari di corte, ma anche tutti i procuratori delle città portoghesi, che esigevano il suo matrimonio per garantire un erede al regno. Più volte Giovanna entrò nel monastero domenicano di Aveiro e più volte il padre o il fratello la costrinsero ad uscirne. Fu reggente del regno del Portogallo, mentre suo padre guerreggiava in nord-Africa per conquistare Tangeri. Solo negli ultimi anni della sua vita Giovanna ottenne d’esser lasciata in pace col suo Sposo Gesù.
Raccontano che morì mentre, accanto al suo letto, venivano recitate litanie dei santi, spirando dolcemente proprio al momento in cui s’invocavano i santi Innocenti.
B. Giovanna di Portogallo
Nei tempi in cui la fede s’indebolisce, anche per molti cristiani diventa particolarmente difficile capire la vocazione di giovani donne che si dicono innamorate di Gesù, al punto da non potere né volere amare un altro Sposo. Perciò il ricordo e l’esempio di alcune splendide figure di vergini cristiane diventa ancora più prezioso. È stato così, fin dalle origini del cristianesimo, anche quando scegliere la verginità consacrata voleva dire andare incontro al martirio.
Tra queste “vergini Spose di Cristo” merita d’essere ricordata la principessa Giovanna di Portogallo (detta anche Giovanna di Aviz), nata nel 1452 a Lisbona e subito proclamata erede al trono. Non c’era allora in Europa una fanciulla più nobile, più bella e più desiderata di lei. Era figlia del re Alfonso IV e, ancora giovanissima, era già stata chiesta in sposa dal Delfino di Francia, da Massimiliano d’Austria e dal re d’Inghilterra.
Alla sua vocazione monastica si opponevano non soltanto il padre e i dignitari di corte, ma anche tutti i procuratori delle città portoghesi, che esigevano il suo matrimonio per garantire un erede al regno. Più volte Giovanna entrò nel monastero domenicano di Aveiro e più volte il padre o il fratello la costrinsero ad uscirne. Fu reggente del regno del Portogallo, mentre suo padre guerreggiava in nord-Africa per conquistare Tangeri. Solo negli ultimi anni della sua vita Giovanna ottenne d’esser lasciata in pace col suo Sposo Gesù.
Raccontano che morì mentre, accanto al suo letto, venivano recitate litanie dei santi, spirando dolcemente proprio al momento in cui s’invocavano i santi Innocenti.
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Re: Il Santo del giorno
IL SANTO DEL 13 MAGGIO
Chiamati ad amare come Cristo
VI Domenica di Pasqua ,a cura di Ermes Ronchi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici (...)».
Una pagina di Giovanni in cui pare custodita l'essenza del cristianesimo, le cose determinanti della nostra fede. C'è un fluire, un fiume grande d'amore che scorre dal cielo, dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi. Come la linfa nella vite, come il sangue nelle vene. Il Vangelo mi dà una certezza: l'amore non è un sentimento, qualcosa prodotto da me, un mio desiderio, è una realtà. L'amore è.
Come il Padre ha amato me, io ho amato voi, rimanete in questo amore. Rimanete, dimorate, abitate, non andatevene. L'amore è reale come un luogo, un continente, una tenda, ci puoi vivere dentro. È la casa in cui già siamo, come un bimbo nel grembo della madre: non la vede, ma ha mille segni della sua presenza che lo nutre, lo scalda, lo culla: «il nostro problema è che siamo immersi in un oceano d'amore e non ce ne rendiamo conto» (P. Vannucci). L'amore è, ed è cosa da Dio: amore unilaterale, amore a prescindere, asimmetrico, incondizionato. Che io sia amato dipende da lui, non dipende da me. Il nostro compito è decidere se rimanere o no in questo amore. Ma perché farlo? Gesù risponde: perché la vostra gioia sia piena. Il Vangelo è da ascoltare con attenzione, ne va della nostra gioia. Che poi è un sintomo: ti assicura che stai camminando bene, sulla via giusta. L'amore è da prendere sul serio, ne va della nostra felicità.
Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Non semplicemente: amate. Non basta amare, potrebbe essere solo un fatto consolatorio, una forma di possesso o di potere. Ci sono anche amori violenti e disperati. Aggiunge: amatevi gli uni gli altri. In un rapporto di comunione, un faccia a faccia, una reciprocità. Non si ama l'umanità in generale, si amano le persone ad una ad una. E poi offre la parola che fa la differenza cristiana: amatevi come io vi ho amato. Lo specifico del cristiano non è amare, questo lo fanno in molte persone, in molti modi. Ma è amare come Cristo, che cinge un asciugamano e lava i piedi ai suoi; che non manda mai via nessuno; che mentre io lo ferisco, mi guarda e mi ama. Come lui si è fatto canale dell'amore del Padre, così ognuno farsi vena non ostruita, canale non intasato, perché l'amore scenda e circoli nel corpo del mondo. Se ti chiudi, in te e attorno a te qualcosa muore, come quando si chiude una vena nel corpo. E la prima cosa che muore è la gioia.
Voi siete miei amici. Non più servi, ma amici. Parola dolce, musica per il cuore dell'uomo. L'amicizia che non si impone, non si finge, non si mendica (Michele Do), dice gioia e uguaglianza.
Amicizia, umanissimo rito che è teologia, che parla di Dio, e nel farlo conforta la vita, allo stesso modo in cui ne parlava Gesù: amico è un nome di Dio.
Chiamati ad amare come Cristo
VI Domenica di Pasqua ,a cura di Ermes Ronchi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici (...)».
Una pagina di Giovanni in cui pare custodita l'essenza del cristianesimo, le cose determinanti della nostra fede. C'è un fluire, un fiume grande d'amore che scorre dal cielo, dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi. Come la linfa nella vite, come il sangue nelle vene. Il Vangelo mi dà una certezza: l'amore non è un sentimento, qualcosa prodotto da me, un mio desiderio, è una realtà. L'amore è.
Come il Padre ha amato me, io ho amato voi, rimanete in questo amore. Rimanete, dimorate, abitate, non andatevene. L'amore è reale come un luogo, un continente, una tenda, ci puoi vivere dentro. È la casa in cui già siamo, come un bimbo nel grembo della madre: non la vede, ma ha mille segni della sua presenza che lo nutre, lo scalda, lo culla: «il nostro problema è che siamo immersi in un oceano d'amore e non ce ne rendiamo conto» (P. Vannucci). L'amore è, ed è cosa da Dio: amore unilaterale, amore a prescindere, asimmetrico, incondizionato. Che io sia amato dipende da lui, non dipende da me. Il nostro compito è decidere se rimanere o no in questo amore. Ma perché farlo? Gesù risponde: perché la vostra gioia sia piena. Il Vangelo è da ascoltare con attenzione, ne va della nostra gioia. Che poi è un sintomo: ti assicura che stai camminando bene, sulla via giusta. L'amore è da prendere sul serio, ne va della nostra felicità.
Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Non semplicemente: amate. Non basta amare, potrebbe essere solo un fatto consolatorio, una forma di possesso o di potere. Ci sono anche amori violenti e disperati. Aggiunge: amatevi gli uni gli altri. In un rapporto di comunione, un faccia a faccia, una reciprocità. Non si ama l'umanità in generale, si amano le persone ad una ad una. E poi offre la parola che fa la differenza cristiana: amatevi come io vi ho amato. Lo specifico del cristiano non è amare, questo lo fanno in molte persone, in molti modi. Ma è amare come Cristo, che cinge un asciugamano e lava i piedi ai suoi; che non manda mai via nessuno; che mentre io lo ferisco, mi guarda e mi ama. Come lui si è fatto canale dell'amore del Padre, così ognuno farsi vena non ostruita, canale non intasato, perché l'amore scenda e circoli nel corpo del mondo. Se ti chiudi, in te e attorno a te qualcosa muore, come quando si chiude una vena nel corpo. E la prima cosa che muore è la gioia.
Voi siete miei amici. Non più servi, ma amici. Parola dolce, musica per il cuore dell'uomo. L'amicizia che non si impone, non si finge, non si mendica (Michele Do), dice gioia e uguaglianza.
Amicizia, umanissimo rito che è teologia, che parla di Dio, e nel farlo conforta la vita, allo stesso modo in cui ne parlava Gesù: amico è un nome di Dio.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno Martedì 15 Maggio
S. Isidoro, agricoltore
Il patrono di Madrid, città nobile e fiera, è un contadino (Isidoro, detto appunto “l’agricoltore”) vissuto al tempo in cui la Spagna cercava di liberarsi dalla dominazione araba. La sua vita non è ricca di vicende straordinarie, ma è tutta una risposta alle nostre fatiche e negligenze, quando siamo tentati di scusarci per non saper come mettere assieme lavoro e preghiera.
Isidoro passa la sua giovinezza lavorando nei campi, perseguitato dall’accusa dei compagni che, vedendolo pregare a lungo, lo accusano di non lavorare abbastanza, mettendolo in cattiva luce agli occhi dei padroni. Ma accade sempre una specie di miracolo: quando il padrone si mette di puntiglio a controllare l’opera dei contadini, scopre che Isidoro ha mietuto la stessa quantità di grano e ha arato la stessa estensione di terreno dei suoi compagni.
Qualcuno spiega le cose assicurando che, quando Isidoro si ferma a pregare, un angelo lavora al suo posto. Ciò che è certamente possibile, ma forse la narrazione popolare vuol dirci, per immagini, una semplice verità: che la preghiera fatta per amore raddoppia le energie perché dà gusto e significato al lavoro.
D’altra parte è sotto gli occhi di tutti la scarsa produttività di un lavoro fatto senza amore e senza avere nessuno a cui offrirlo. Inutile dire che quella sua particolare operosità gli rendeva anche possibile la carità verso i più poveri.
Isidoro esperimentò, inoltre, la stessa fruttuosità anche nella vita coniugale e familiare: ebbe, infatti, una moglie che imparò assieme a lui la santità. Assieme sopportarono con fede la morte prematura dell’unico figlio.
Isidoro ha avuto, infine l’onore d’essere canonizzato assieme ai più grandi santi spagnoli (Teresa d’Avila, Ignazio di Loyola) e all’italiano Filippo Neri.
S. Isidoro, agricoltore
Il patrono di Madrid, città nobile e fiera, è un contadino (Isidoro, detto appunto “l’agricoltore”) vissuto al tempo in cui la Spagna cercava di liberarsi dalla dominazione araba. La sua vita non è ricca di vicende straordinarie, ma è tutta una risposta alle nostre fatiche e negligenze, quando siamo tentati di scusarci per non saper come mettere assieme lavoro e preghiera.
Isidoro passa la sua giovinezza lavorando nei campi, perseguitato dall’accusa dei compagni che, vedendolo pregare a lungo, lo accusano di non lavorare abbastanza, mettendolo in cattiva luce agli occhi dei padroni. Ma accade sempre una specie di miracolo: quando il padrone si mette di puntiglio a controllare l’opera dei contadini, scopre che Isidoro ha mietuto la stessa quantità di grano e ha arato la stessa estensione di terreno dei suoi compagni.
Qualcuno spiega le cose assicurando che, quando Isidoro si ferma a pregare, un angelo lavora al suo posto. Ciò che è certamente possibile, ma forse la narrazione popolare vuol dirci, per immagini, una semplice verità: che la preghiera fatta per amore raddoppia le energie perché dà gusto e significato al lavoro.
D’altra parte è sotto gli occhi di tutti la scarsa produttività di un lavoro fatto senza amore e senza avere nessuno a cui offrirlo. Inutile dire che quella sua particolare operosità gli rendeva anche possibile la carità verso i più poveri.
Isidoro esperimentò, inoltre, la stessa fruttuosità anche nella vita coniugale e familiare: ebbe, infatti, una moglie che imparò assieme a lui la santità. Assieme sopportarono con fede la morte prematura dell’unico figlio.
Isidoro ha avuto, infine l’onore d’essere canonizzato assieme ai più grandi santi spagnoli (Teresa d’Avila, Ignazio di Loyola) e all’italiano Filippo Neri.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 16 maggio
S. Alipio, vescovo
Ci sono dei Santi (come s. Agostino) che hanno segnato la storia con la forza immensa della loro personalità, mettendo inevitabilmente in ombra altre figure meno incisive: eppure, senza di queste, quella grandezza non si sarebbe forse realizzata. Tale è Alipio, il santo che oggi celebriamo: è poco conosciuto, eppure s. Agostino lo chiama ripetutamente “fratello del mio cuore”.
Da lui sappiamo che Alipio, da ragazzo, era stato tra i suoi scolari, poi gli era divenuto amico e compagno per tutta la vita: negli errori di gioventù, nei viaggi, nella passione per lo studio, nella conversione.
Nelle sue Confessioni Agostino è fiero di descrivere l’indole nobile e incorruttibile di questo suo amico. Avendo egli ottenuto a Roma un’importante carica che gli permetteva di amministrare molto denaro, aveva saputo resistere con forza a un potente senatore che voleva corromperlo ad ogni costo. “Era un’anima rara” – scrive Agostino – “che non si piegava alle amicizie interessate né temeva l’inimicizia di un uomo così potente, famosissimo per gli innumerevoli mezzi che aveva di far del bene o di far del male”. Fu nel giardino di Alipio che Agostino udì la voce che lo indusse a darsi interamente a Cristo: i due furono battezzati assieme il 25 aprile del 387 da s. Ambrogio. Poi condivisero anche la vita monastica, il sacerdozio e, infine, l’episcopato: Alipio fu eletto per primo alla sede di Tagaste, e poi Agostino fu eletto a quella di Ippona. I due vescovi collaborarono per circa quarant’anni, sostenendo vigorosamente la Chiesa d’Africa, lottando contro scismi ed eresie.
Morirono ambedue nello stesso anno 430, mentre la città era assediata dai Vandali.
Altri Santi del giorno
Ubaldo (XI-XII sec.);
Brendano (V-VI sec.);
Andrea Bobola (1591-1557).
S. Alipio, vescovo
Ci sono dei Santi (come s. Agostino) che hanno segnato la storia con la forza immensa della loro personalità, mettendo inevitabilmente in ombra altre figure meno incisive: eppure, senza di queste, quella grandezza non si sarebbe forse realizzata. Tale è Alipio, il santo che oggi celebriamo: è poco conosciuto, eppure s. Agostino lo chiama ripetutamente “fratello del mio cuore”.
Da lui sappiamo che Alipio, da ragazzo, era stato tra i suoi scolari, poi gli era divenuto amico e compagno per tutta la vita: negli errori di gioventù, nei viaggi, nella passione per lo studio, nella conversione.
Nelle sue Confessioni Agostino è fiero di descrivere l’indole nobile e incorruttibile di questo suo amico. Avendo egli ottenuto a Roma un’importante carica che gli permetteva di amministrare molto denaro, aveva saputo resistere con forza a un potente senatore che voleva corromperlo ad ogni costo. “Era un’anima rara” – scrive Agostino – “che non si piegava alle amicizie interessate né temeva l’inimicizia di un uomo così potente, famosissimo per gli innumerevoli mezzi che aveva di far del bene o di far del male”. Fu nel giardino di Alipio che Agostino udì la voce che lo indusse a darsi interamente a Cristo: i due furono battezzati assieme il 25 aprile del 387 da s. Ambrogio. Poi condivisero anche la vita monastica, il sacerdozio e, infine, l’episcopato: Alipio fu eletto per primo alla sede di Tagaste, e poi Agostino fu eletto a quella di Ippona. I due vescovi collaborarono per circa quarant’anni, sostenendo vigorosamente la Chiesa d’Africa, lottando contro scismi ed eresie.
Morirono ambedue nello stesso anno 430, mentre la città era assediata dai Vandali.
Altri Santi del giorno
Ubaldo (XI-XII sec.);
Brendano (V-VI sec.);
Andrea Bobola (1591-1557).
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 17 maggio
B. Antonia Mesina
C’è stato un tempo in cui i giornali parlavano di Orgosolo (una cittadina sarda, vicino a Nuoro) solo per raccontare storie di sequestri e di violenza. Anche oggi, raccontando la storia della beata Antonia Mesina (che vi nacque nel 1919, e vi morì a sedici anni) ne parliamo, ma questa volta a interessarci non è la cronaca nera, ma la cronaca della santità. C
erto violenza e sopraffazione, rivolte verso una giovane donna, restano sempre un orribile male, ma ora lo sguardo è rivolto a questa ragazza di Azione Cattolica, figlia di una guardia campestre, che seppe difendere la sua purezza a costo della vita.
Aggredita da un coetaneo mentre raccoglieva legna nel bosco, gli resistette e fu uccisa con ferocia a colpi di pietra: quando la trovarono aveva sul corpo settantaquattro ferite. Ogni vittima merita compianto e sacro rispetto, ma la Chiesa ne riconosce il martirio e la santità, quando la vittima si oppone all’aggressione, con tutta la sua vita precedente: con tutta la sua coscienza, con tutta la sua fede, con tutta la sua dignità cristiana. Il fatto che Antonia Mesina avesse ascoltato la s. Messa e ricevuto l’Eucaristia poco prima di essere aggredita ci dice con tutta evidenza che fu aggredito in lei anche il corpo di Cristo. E che la sua fierezza e la sua resistenza furono anche un dono del suo Sposo Gesù.
Nella predica per la beatificazione di Antonia, Giovanni Paolo II disse con poetica tenerezza: «Il fascio di legna raccolto per fare il pane nel forno di casa, quel giorno di maggio del 1935, rimane sui monti accanto al suo corpo straziato da decine e decine di colpi di pietra.
Quel giorno si accende un altro fuoco e si prepara un altro pane per una famiglia molto più grande».
B. Antonia Mesina
C’è stato un tempo in cui i giornali parlavano di Orgosolo (una cittadina sarda, vicino a Nuoro) solo per raccontare storie di sequestri e di violenza. Anche oggi, raccontando la storia della beata Antonia Mesina (che vi nacque nel 1919, e vi morì a sedici anni) ne parliamo, ma questa volta a interessarci non è la cronaca nera, ma la cronaca della santità. C
erto violenza e sopraffazione, rivolte verso una giovane donna, restano sempre un orribile male, ma ora lo sguardo è rivolto a questa ragazza di Azione Cattolica, figlia di una guardia campestre, che seppe difendere la sua purezza a costo della vita.
Aggredita da un coetaneo mentre raccoglieva legna nel bosco, gli resistette e fu uccisa con ferocia a colpi di pietra: quando la trovarono aveva sul corpo settantaquattro ferite. Ogni vittima merita compianto e sacro rispetto, ma la Chiesa ne riconosce il martirio e la santità, quando la vittima si oppone all’aggressione, con tutta la sua vita precedente: con tutta la sua coscienza, con tutta la sua fede, con tutta la sua dignità cristiana. Il fatto che Antonia Mesina avesse ascoltato la s. Messa e ricevuto l’Eucaristia poco prima di essere aggredita ci dice con tutta evidenza che fu aggredito in lei anche il corpo di Cristo. E che la sua fierezza e la sua resistenza furono anche un dono del suo Sposo Gesù.
Nella predica per la beatificazione di Antonia, Giovanni Paolo II disse con poetica tenerezza: «Il fascio di legna raccolto per fare il pane nel forno di casa, quel giorno di maggio del 1935, rimane sui monti accanto al suo corpo straziato da decine e decine di colpi di pietra.
Quel giorno si accende un altro fuoco e si prepara un altro pane per una famiglia molto più grande».
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 18 maggio
S. Felice da Cantalice
Già il nome di questo frate cappuccino, nato nel 1515, evoca gioia e serenità, anche se personalmente egli conduceva una vita molto austera, spesso immerso in preghiera e nella mistica contemplazione del suo Gesù Crocifisso. Aveva l’ufficio di “frate cercatore” e ciò lo tenne, per quarant’anni, a stretto a contatto col popolo romano: percorreva le vie della città questuando pane, vino e olio per i suoi frati e i suoi poveri; e i giorni festivi li passava negli ospedali a dare conforto ai malati.
La gente lo chiamava frate «Deo gratias» perché questa è la formula con cui sempre salutava e ringraziava i suoi benefattori. Si definiva “l’asinello del Signore”. Era analfabeta e diceva di conoscere soltanto sei lettere: cinque rosse (le piaghe di Cristo) e una bianca (la Vergine Santa). E con questa particolare “cultura”, divenne consigliere spirituale di poveri e di aristocratici, oltre che di altri santi, a lui devoti. Strinse una particolare amicizia con s. Carlo Borromeo e con s. Filippo Neri.
Quando la gente vedeva Felice e Filippo discorrere assieme per strada accorreva a contemplare quello straordinario spettacolo e si dicevano l’un l’altro “Guarda un Santo che parla con un altro Santo”. Al popolo egli insegnava proverbi, preghiere e semplici ballate da lui stesso composte: «Se tu non sai la via / d’andare in paradiso, / vattene a Maria / con pietoso viso; / Lei ch'è clemente e pia / t’insegnerà la via / d’andare in paradiso». Se compiva qualche miracolo, era quasi sempre a favore di poveri fanciulli sofferenti (per questo lo chiamavano: “Il santo dei fanciulli”).
Ma compì anche il miracolo della rigenerazione di un allevamento di bachi marciti per un’infezione Per questo i bachicultori lo invocano come patrono.
Altri Santi del giorno
S. Giovanni I, papa e martire (VI sec.);
S. Erik IX di Svezia (XII sec.).
S. Felice da Cantalice
Già il nome di questo frate cappuccino, nato nel 1515, evoca gioia e serenità, anche se personalmente egli conduceva una vita molto austera, spesso immerso in preghiera e nella mistica contemplazione del suo Gesù Crocifisso. Aveva l’ufficio di “frate cercatore” e ciò lo tenne, per quarant’anni, a stretto a contatto col popolo romano: percorreva le vie della città questuando pane, vino e olio per i suoi frati e i suoi poveri; e i giorni festivi li passava negli ospedali a dare conforto ai malati.
La gente lo chiamava frate «Deo gratias» perché questa è la formula con cui sempre salutava e ringraziava i suoi benefattori. Si definiva “l’asinello del Signore”. Era analfabeta e diceva di conoscere soltanto sei lettere: cinque rosse (le piaghe di Cristo) e una bianca (la Vergine Santa). E con questa particolare “cultura”, divenne consigliere spirituale di poveri e di aristocratici, oltre che di altri santi, a lui devoti. Strinse una particolare amicizia con s. Carlo Borromeo e con s. Filippo Neri.
Quando la gente vedeva Felice e Filippo discorrere assieme per strada accorreva a contemplare quello straordinario spettacolo e si dicevano l’un l’altro “Guarda un Santo che parla con un altro Santo”. Al popolo egli insegnava proverbi, preghiere e semplici ballate da lui stesso composte: «Se tu non sai la via / d’andare in paradiso, / vattene a Maria / con pietoso viso; / Lei ch'è clemente e pia / t’insegnerà la via / d’andare in paradiso». Se compiva qualche miracolo, era quasi sempre a favore di poveri fanciulli sofferenti (per questo lo chiamavano: “Il santo dei fanciulli”).
Ma compì anche il miracolo della rigenerazione di un allevamento di bachi marciti per un’infezione Per questo i bachicultori lo invocano come patrono.
Altri Santi del giorno
S. Giovanni I, papa e martire (VI sec.);
S. Erik IX di Svezia (XII sec.).
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 19 maggio
S. Pietro Celestino
Il coraggio della rinuncia, a cura di Antonio Maria Sicari
Il pontificato di Celestino V durò solo due mesi e mezzo e s’interruppe con la rinuncia, caso rarissimo nella storia dei papi. Era stato eletto da un conclave ridotto all’estremo, che durava da più di ventisette mesi, senza riuscire ad accordarsi. Alla fine, dato che le ingerenze dei regnanti del tempo si facevano sempre più pericolose, i pochi cardinali rimasti avevano scelto il monaco Pietro del Morrone, che conoscevano solo per fama di santità.
Fu consacrato a L’Aquila e non si recò mai a Roma. Nelle ultime settimane si trasferì a Napoli, sperando nel sostegno del re Carlo d’Angiò. Non aveva esperienza di governo e si lasciva facilmente suggestionare da consiglieri interessati. Tutti lo ammiravano per la sua “semplicità”, ma in bocca ad alcuni questa parola aveva anche un suono derisorio. Così, quando Celestino si accorse di non poter adempiere il proprio ministero, trovò il coraggio e la forza di rinunciare al papato e di tornare umilmente al suo eremo. Il suo gesto fu mal giudicato da chi considerò una iattura la nomina del suo successore Bonifacio VIII.
Tra i denigratori pare ci sia stato anche Dante che avrebbe messo Celestino V all’Inferno, definendolo: “Colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Ma il riferimento non è certo. Egli fu, invece, ammirato da chi riconobbe la grandezza d’animo e l’umiltà dell’anziano papa che seppe riconoscere la propria impotenza. Per evitare rischi di contrapposizioni nella Chiesa, Bonifacio VIII costrinse il suo predecessore a un domicilio coatto, aggravandone le sofferenze, ma accrescendo nel popolo la fama della santità di Celestino.
Il ricordo più bello che egli ci ha lasciato è “la Perdonanza”, la grande indulgenza plenaria, legata alla sua Basilica di Santa Maria di Collemaggio, che egli volle concedere a tutti i peccatori, sei anni prima del grande giubileo del 1300.
Altri Santi del giorno
S. Urbano I (222-230);
S. Crispino da Viterbo (1668-1750).
S. Pietro Celestino
Il coraggio della rinuncia, a cura di Antonio Maria Sicari
Il pontificato di Celestino V durò solo due mesi e mezzo e s’interruppe con la rinuncia, caso rarissimo nella storia dei papi. Era stato eletto da un conclave ridotto all’estremo, che durava da più di ventisette mesi, senza riuscire ad accordarsi. Alla fine, dato che le ingerenze dei regnanti del tempo si facevano sempre più pericolose, i pochi cardinali rimasti avevano scelto il monaco Pietro del Morrone, che conoscevano solo per fama di santità.
Fu consacrato a L’Aquila e non si recò mai a Roma. Nelle ultime settimane si trasferì a Napoli, sperando nel sostegno del re Carlo d’Angiò. Non aveva esperienza di governo e si lasciva facilmente suggestionare da consiglieri interessati. Tutti lo ammiravano per la sua “semplicità”, ma in bocca ad alcuni questa parola aveva anche un suono derisorio. Così, quando Celestino si accorse di non poter adempiere il proprio ministero, trovò il coraggio e la forza di rinunciare al papato e di tornare umilmente al suo eremo. Il suo gesto fu mal giudicato da chi considerò una iattura la nomina del suo successore Bonifacio VIII.
Tra i denigratori pare ci sia stato anche Dante che avrebbe messo Celestino V all’Inferno, definendolo: “Colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Ma il riferimento non è certo. Egli fu, invece, ammirato da chi riconobbe la grandezza d’animo e l’umiltà dell’anziano papa che seppe riconoscere la propria impotenza. Per evitare rischi di contrapposizioni nella Chiesa, Bonifacio VIII costrinse il suo predecessore a un domicilio coatto, aggravandone le sofferenze, ma accrescendo nel popolo la fama della santità di Celestino.
Il ricordo più bello che egli ci ha lasciato è “la Perdonanza”, la grande indulgenza plenaria, legata alla sua Basilica di Santa Maria di Collemaggio, che egli volle concedere a tutti i peccatori, sei anni prima del grande giubileo del 1300.
Altri Santi del giorno
S. Urbano I (222-230);
S. Crispino da Viterbo (1668-1750).
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 21 maggio
Santi Martiri Messicani
Santi Cristoforo Magallanes, sacerdote, e compagni*, martiri, che in varie regioni del Messico, perseguitati in odio alla fede cristiana e alla Chiesa cattolica, per aver professato Cristo Re ottennero la corona del martirio.
* I loro nomi sono: i sacerdoti Romano Adame, Rodrigo Aguilar, Giulio Álvarez, Luigi Batis Sáinz, Agostino Caloca, Matteo Correa, Attilano Cruz, Michele de la Mora, Pietro Esqueda Ramírez, Margarito Flores, Giuseppe Isabel Flores, Davide Galván, Pietro Maldonado, Gesù Méndez, Giustino Orona, Saba Reyes, Giuseppe Maria Robles, Turibio Romo, Gennaro Sánchez Delgaldillo, Tranquillino Ubiarco e Davide Uribe; e i laici Emanuele Morales, Salvatore Lara Puente e Davide Roldán Lara.
Altri Santi del giorno
S. Timoteo, diacono e martire;
S. Ospicio, eremita.
Santi Martiri Messicani
Santi Cristoforo Magallanes, sacerdote, e compagni*, martiri, che in varie regioni del Messico, perseguitati in odio alla fede cristiana e alla Chiesa cattolica, per aver professato Cristo Re ottennero la corona del martirio.
* I loro nomi sono: i sacerdoti Romano Adame, Rodrigo Aguilar, Giulio Álvarez, Luigi Batis Sáinz, Agostino Caloca, Matteo Correa, Attilano Cruz, Michele de la Mora, Pietro Esqueda Ramírez, Margarito Flores, Giuseppe Isabel Flores, Davide Galván, Pietro Maldonado, Gesù Méndez, Giustino Orona, Saba Reyes, Giuseppe Maria Robles, Turibio Romo, Gennaro Sánchez Delgaldillo, Tranquillino Ubiarco e Davide Uribe; e i laici Emanuele Morales, Salvatore Lara Puente e Davide Roldán Lara.
Altri Santi del giorno
S. Timoteo, diacono e martire;
S. Ospicio, eremita.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 22 maggio
S. Rita da Cascia
Nacque in Umbria, a Roccaporena, nel 1381.
Giovanissima fu costretta ad accettare la volontà dei genitori che la diedero in sposa a Paolo Mancini, un giovane nobile, ma di notoria violenza. Con la sua dolcezza – non senza averne prima subito i maltrattamenti – Rita riuscì ad ammansire il focoso marito, ma ciò non impedì che gli odi accumulati tra le famiglie esplodessero e costassero a Paolo la vita.
Rita cercò in ogni modo di proteggere dalla contaminazione dell’odio i due figli adolescenti che già ardevano dal desiderio di vendicare il padre, ma, vedendo inutili i suoi sforzi, disse a Dio che preferiva che Egli se li prendesse, piuttosto che vederli cadere, con l’odio nel cuore, vittime delle proprie e delle altrui vendette.
Si dedicò quindi alla rappacificazione tra le famiglie lacerate da antichi rancori e, quando la pace fu finalmente realizzata, chiese d’essere accolta nel monastero agostiniano di Cascia. Vi portò tutta la sua dolcezza e la sua sofferenza, ma vissute come mistico abbandono a Gesù Crocifisso. E fu tale l’immedesimazione con Lui che un giorno Rita ricevette sulla fronte la grazia di una ferita lasciata da una spina. Da allora fu tutto un fiorire di miracoli che attrassero al monastero folle di devoti. E il pellegrinaggio dura da secoli, con tale abbondanza di prodigi, che ella viene universalmente invocata come «la Santa degli impossibili», di coloro, cioè, che sperano al di là dell’umanamente possibile.
Rita morì nel 1457. Si racconta che prima di morire ella abbia chiesto una rosa e, benché fuori stagione, fu trovato nel giardino un roseto in piena fioritura. A tal episodio si rifà la tradizione della benedizione delle rose, nel giorno della festa della santa. Per la compiutezza della sua vita (di fidanzata, sposa, madre, vedova, religiosa) Rita è una delle sante più amate dal popolo.
Altri Santi del giorno
S. Giulia (V sec.);
S. Giovanni di Parma (X sec.).
S. Rita da Cascia
Nacque in Umbria, a Roccaporena, nel 1381.
Giovanissima fu costretta ad accettare la volontà dei genitori che la diedero in sposa a Paolo Mancini, un giovane nobile, ma di notoria violenza. Con la sua dolcezza – non senza averne prima subito i maltrattamenti – Rita riuscì ad ammansire il focoso marito, ma ciò non impedì che gli odi accumulati tra le famiglie esplodessero e costassero a Paolo la vita.
Rita cercò in ogni modo di proteggere dalla contaminazione dell’odio i due figli adolescenti che già ardevano dal desiderio di vendicare il padre, ma, vedendo inutili i suoi sforzi, disse a Dio che preferiva che Egli se li prendesse, piuttosto che vederli cadere, con l’odio nel cuore, vittime delle proprie e delle altrui vendette.
Si dedicò quindi alla rappacificazione tra le famiglie lacerate da antichi rancori e, quando la pace fu finalmente realizzata, chiese d’essere accolta nel monastero agostiniano di Cascia. Vi portò tutta la sua dolcezza e la sua sofferenza, ma vissute come mistico abbandono a Gesù Crocifisso. E fu tale l’immedesimazione con Lui che un giorno Rita ricevette sulla fronte la grazia di una ferita lasciata da una spina. Da allora fu tutto un fiorire di miracoli che attrassero al monastero folle di devoti. E il pellegrinaggio dura da secoli, con tale abbondanza di prodigi, che ella viene universalmente invocata come «la Santa degli impossibili», di coloro, cioè, che sperano al di là dell’umanamente possibile.
Rita morì nel 1457. Si racconta che prima di morire ella abbia chiesto una rosa e, benché fuori stagione, fu trovato nel giardino un roseto in piena fioritura. A tal episodio si rifà la tradizione della benedizione delle rose, nel giorno della festa della santa. Per la compiutezza della sua vita (di fidanzata, sposa, madre, vedova, religiosa) Rita è una delle sante più amate dal popolo.
Altri Santi del giorno
S. Giulia (V sec.);
S. Giovanni di Parma (X sec.).
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 23 maggio
S. Giovanni Battista De' Rossi
Nacque nel 1698 in provincia di Genova, da una famiglia povera e afflitta da molte sventure. Rimasto orfano, fu educato a Roma da un cugino sacerdote che lo avviò agli studi ecclesiastici.
Soffriva di attacchi di epilessia che lo tormentarono per tutta la vita, ma non ne trasse mai motivo né per impigrirsi né per cercare privilegi. Fece anzi il voto di non chiedere né accettare mai cariche ecclesiastiche. Spendeva tutte le sue forze per i poveri del quartiere e per ogni sorta di emarginati: si curava degli studenti poveri, dei giovani privi d’istruzione religiosa, degli abitanti dei tuguri, della gente dei campi, priva di ogni assistenza religiosa, dei carcerati, dei malati negli ospedali. Si dedicava soprattutto a questi ultimi, dicendo che gli ospedali erano le sue Indie, dove il Signore lo inviava come missionario.
La sua caratteristica era di saper “animare” ambienti e gruppi, senza mai volerli “dirigere” o acquistar potere su di essi. Negli ultimi anni i peccatori che a lui ricorrevano erano talmente numerosi da costringerlo a trascorrere molte ore del giorno in confessionale Quando pregava o celebrava la santa Messa, la sua emozione era così evidente che i presenti si commuovevano con lui e per lui. Dal cugino, ch’era stato canonico in santa Maria in Cosmedin, ricevette una buona eredità, ma la consumò tutta per soccorrere gli innumerevoli poveri che lo assediavano, ai quali donò perfino i mobili e le sue vesti, riducendo se stesso come un mendicante.
Morì a sessantasei anni, soffrendo un vero calvario sia per l’epilessia che per la progressiva cecità, lasciando però in tutti un ricordo luminoso e commovente di fiducioso abbandono in Dio.
Altri Santi del giorno
S. Desiderio di Langres (III-IV sec.);
S. Onorato (VI sec.);
S. Spes, abate.
S. Giovanni Battista De' Rossi
Nacque nel 1698 in provincia di Genova, da una famiglia povera e afflitta da molte sventure. Rimasto orfano, fu educato a Roma da un cugino sacerdote che lo avviò agli studi ecclesiastici.
Soffriva di attacchi di epilessia che lo tormentarono per tutta la vita, ma non ne trasse mai motivo né per impigrirsi né per cercare privilegi. Fece anzi il voto di non chiedere né accettare mai cariche ecclesiastiche. Spendeva tutte le sue forze per i poveri del quartiere e per ogni sorta di emarginati: si curava degli studenti poveri, dei giovani privi d’istruzione religiosa, degli abitanti dei tuguri, della gente dei campi, priva di ogni assistenza religiosa, dei carcerati, dei malati negli ospedali. Si dedicava soprattutto a questi ultimi, dicendo che gli ospedali erano le sue Indie, dove il Signore lo inviava come missionario.
La sua caratteristica era di saper “animare” ambienti e gruppi, senza mai volerli “dirigere” o acquistar potere su di essi. Negli ultimi anni i peccatori che a lui ricorrevano erano talmente numerosi da costringerlo a trascorrere molte ore del giorno in confessionale Quando pregava o celebrava la santa Messa, la sua emozione era così evidente che i presenti si commuovevano con lui e per lui. Dal cugino, ch’era stato canonico in santa Maria in Cosmedin, ricevette una buona eredità, ma la consumò tutta per soccorrere gli innumerevoli poveri che lo assediavano, ai quali donò perfino i mobili e le sue vesti, riducendo se stesso come un mendicante.
Morì a sessantasei anni, soffrendo un vero calvario sia per l’epilessia che per la progressiva cecità, lasciando però in tutti un ricordo luminoso e commovente di fiducioso abbandono in Dio.
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S. Desiderio di Langres (III-IV sec.);
S. Onorato (VI sec.);
S. Spes, abate.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 24 maggio
S. Vincenzo di Lérins
Lérins è un'isola dell’arcipelago omonimo (situato nel Mediterraneo, davanti a Cannes), nota per un celebre monastero dove Vincenzo approdò, dopo aver trascorso una giovinezza piuttosto turbolenta, agli inizi del sec. V, dedicandosi alla preghiera e allo studio.
Non è un santo molto noto, ma tutti gli studiosi di problemi teologici conoscono il suo nome per un’opera da lui scritta nel 434, quand’era già avanti negli anni. Si tratta del Commonitorium (definito da s. Roberto Bellarmino “un libro tutto d’oro”). In esso viene trattato il problema di come debba essere trasmessa la vera fede cristiana e secondo quali regole. Vi si trovano un paio di principi divenuti celebri.
Il primo di essi dice che “bisogna soprattutto preoccuparsi perché sia conservato e trasmesso ciò che è stato creduto in ogni luogo, in ogni tempo e da tutti”. È un principio saggio, anche se serve a escludere dottrine erronee piuttosto che a precisare la vera dottrina.
Il secondo principio dice che nella fede cristiana, col passare dei secoli, ci può essere uno sviluppo o un progresso, ma a patto che ciò accada “eodem sensu ac sententia”, come avviene negli organismi viventi (ad esempio nelle piante e nel corpo umano) che crescono, pur restando se stessi. Fedeltà alla tradizione e sviluppo della Dottrina sono dunque le due condizioni necessarie “per sfuggire alle frodi e ai lacci degli eretici” e per garantire un armonico sviluppo della scienza teologica nella Chiesa.
Le norme dettate da S. Vincenzo di Lérins sono molto più conosciute di quanto lo sia la sua vita. Ma dobbiamo essergli grati perché egli ci aiuta anche oggi a orientarci e a saper distinguere i veri dai falsi maestri.
Altri Santi del giorno
S. Maria Ausiliatrice;
S. Gennadio di Astorga, vescovo (X sec.);
S. Agostino Yi Kwang e Agata Kim A-gi, martiri coreani (XIX sec.);
.
S. Vincenzo di Lérins
Lérins è un'isola dell’arcipelago omonimo (situato nel Mediterraneo, davanti a Cannes), nota per un celebre monastero dove Vincenzo approdò, dopo aver trascorso una giovinezza piuttosto turbolenta, agli inizi del sec. V, dedicandosi alla preghiera e allo studio.
Non è un santo molto noto, ma tutti gli studiosi di problemi teologici conoscono il suo nome per un’opera da lui scritta nel 434, quand’era già avanti negli anni. Si tratta del Commonitorium (definito da s. Roberto Bellarmino “un libro tutto d’oro”). In esso viene trattato il problema di come debba essere trasmessa la vera fede cristiana e secondo quali regole. Vi si trovano un paio di principi divenuti celebri.
Il primo di essi dice che “bisogna soprattutto preoccuparsi perché sia conservato e trasmesso ciò che è stato creduto in ogni luogo, in ogni tempo e da tutti”. È un principio saggio, anche se serve a escludere dottrine erronee piuttosto che a precisare la vera dottrina.
Il secondo principio dice che nella fede cristiana, col passare dei secoli, ci può essere uno sviluppo o un progresso, ma a patto che ciò accada “eodem sensu ac sententia”, come avviene negli organismi viventi (ad esempio nelle piante e nel corpo umano) che crescono, pur restando se stessi. Fedeltà alla tradizione e sviluppo della Dottrina sono dunque le due condizioni necessarie “per sfuggire alle frodi e ai lacci degli eretici” e per garantire un armonico sviluppo della scienza teologica nella Chiesa.
Le norme dettate da S. Vincenzo di Lérins sono molto più conosciute di quanto lo sia la sua vita. Ma dobbiamo essergli grati perché egli ci aiuta anche oggi a orientarci e a saper distinguere i veri dai falsi maestri.
Altri Santi del giorno
S. Maria Ausiliatrice;
S. Gennadio di Astorga, vescovo (X sec.);
S. Agostino Yi Kwang e Agata Kim A-gi, martiri coreani (XIX sec.);
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Re: Il Santo del giorno
del giorno 25 maggio
S. Gregorio VII
Nell’immaginario popolare la figura di Gregorio VII (anche per chi ne ha dimenticato il nome e l’opera) è quella del papa severo che, a Canossa, fa attendere tre giorni alla porta del castello – in pieno inverno, mentre fiocca la neve – l’imperatore Enrico IV, che egli aveva scomunicato perché pretendeva nominare i vescovi come se fossero suoi feudatari.
Non era rara perciò la compravendita delle cariche e la nomina di persone indegne. Perfino l’elezione del papa era condizionata dall’imperatore, e il danno sembrava ormai irrimediabile. La fortuna fu che si era riusciti a far nominare cardinale e abate del monastero di s. Paolo fuori le Mura il monaco benedettino Ildebrando che godeva fama di santità e di grande forza morale, il quale s’era subito schierato tra i più decisi riformatori del clero e della curia. Ed ecco che nel 1073, alla morte di papa Alessandro II, il popolo radunato nella Basilica del Laterano per i funerali, acclamò papa Ildebrando. L’elezione non era regolare, ma fu poi ratificata dai cardinali elettori che vi videro un segno di Dio. Divenuto papa col nome di Gregorio VII, egli decise di condurre fino in fondo la riforma della Chiesa, interessandosi anche della evangelizzazione dell’Europa dell’Est e del Nord.
Purtroppo nel 1084 l’imperatore tornò in Italia, riuscendo ad espugnare anche Roma, mentre il papa restava assediato a Castel Sant’Angelo. In suo soccorso vennero i normanni di Roberto il Guiscardo, ma i liberatori furono i peggiori nemici: devastarono Roma e costrinsero il papa a risiedere a Salerno. Qui il grande pontefice morì, esclamando desolato (secondo la tradizione): “Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio”.
La sua riforma, però, aveva cominciato a portare frutti di libertà e di santità nella Chiesa.
Altri Santi del giorno
S. Beda (VII-VIII sec.);
S. Maria Maddalena de' Pazzi (1566-1607).
S. Gregorio VII
Nell’immaginario popolare la figura di Gregorio VII (anche per chi ne ha dimenticato il nome e l’opera) è quella del papa severo che, a Canossa, fa attendere tre giorni alla porta del castello – in pieno inverno, mentre fiocca la neve – l’imperatore Enrico IV, che egli aveva scomunicato perché pretendeva nominare i vescovi come se fossero suoi feudatari.
Non era rara perciò la compravendita delle cariche e la nomina di persone indegne. Perfino l’elezione del papa era condizionata dall’imperatore, e il danno sembrava ormai irrimediabile. La fortuna fu che si era riusciti a far nominare cardinale e abate del monastero di s. Paolo fuori le Mura il monaco benedettino Ildebrando che godeva fama di santità e di grande forza morale, il quale s’era subito schierato tra i più decisi riformatori del clero e della curia. Ed ecco che nel 1073, alla morte di papa Alessandro II, il popolo radunato nella Basilica del Laterano per i funerali, acclamò papa Ildebrando. L’elezione non era regolare, ma fu poi ratificata dai cardinali elettori che vi videro un segno di Dio. Divenuto papa col nome di Gregorio VII, egli decise di condurre fino in fondo la riforma della Chiesa, interessandosi anche della evangelizzazione dell’Europa dell’Est e del Nord.
Purtroppo nel 1084 l’imperatore tornò in Italia, riuscendo ad espugnare anche Roma, mentre il papa restava assediato a Castel Sant’Angelo. In suo soccorso vennero i normanni di Roberto il Guiscardo, ma i liberatori furono i peggiori nemici: devastarono Roma e costrinsero il papa a risiedere a Salerno. Qui il grande pontefice morì, esclamando desolato (secondo la tradizione): “Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio”.
La sua riforma, però, aveva cominciato a portare frutti di libertà e di santità nella Chiesa.
Altri Santi del giorno
S. Beda (VII-VIII sec.);
S. Maria Maddalena de' Pazzi (1566-1607).
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 26 maggio
S. Filippo Neri
Era nato nel 1515 a Firenze, ed era un ragazzo così tranquillo e generoso che tutti lo chiamavano «Pippo bòno». Poi si trasferì a a Roma per studiare e divenne precettore in casa di un banchiere fiorentino.
Non era sacerdote, ma a volte aiutava (anche nella predicazione) un vecchio prete e spesso portava la propria testimonianza cristiana nei quartieri poveri, nelle carceri e negli ospedali. Aveva poi la passione di visitare le antiche catacombe cristiane, dove s’immergeva in preghiera. In previsione del Giubileo del 1550 fondò una confraternita per assistere i pellegrini che si sarebbero riversati a Roma. Accettò poi di farsi ordinare sacerdote, ma a patto di mantenere una certa sua libertà. Così prese dimora in una stanzetta presso la Chiesa di S. Girolamo, dove invitava amici, penitenti e soprattutto ragazzi in cerca di una buona educazione cristiana. Nacque così il primo Oratorio della storia, dove – sotto la guida di Filippo – si tenevano incontri, conferenze, attività ricreative e musicali.
Divenne particolarmente celebre e frequentato il Carnevale da lui organizzato per contrastare la licenziosità pagana allora in uso. A partire dal 1564 attorno a Filippo si radunò anche una comunità di sacerdoti che volevano vivere e operare secondo quel suo stile che coniugava così bene umanità, santità e libertà. A Roma era celebre l’umorismo di Filippo (condensato spesso in aforismi, storielle e burle) che sapeva farsi pedagogia serena e intelligente. Anche il confessionale di Filippo era molto ricercato e il santo vi dedicava lunghe ore del giorno e della notte.
Morì a ottant’anni, dopo alcuni mesi di malattia, dicendo di soffrire molto, ma solo perché «a Gesù era toccata una Croce e a lui un letto comodo e pulito».
Lo definirono «il santo della gioia cristiana».
Altri Santi del giorno
S. Lamberto (XII sec.);
S. Maria Anna de Paredes Flores (1618-1645).
S. Filippo Neri
Era nato nel 1515 a Firenze, ed era un ragazzo così tranquillo e generoso che tutti lo chiamavano «Pippo bòno». Poi si trasferì a a Roma per studiare e divenne precettore in casa di un banchiere fiorentino.
Non era sacerdote, ma a volte aiutava (anche nella predicazione) un vecchio prete e spesso portava la propria testimonianza cristiana nei quartieri poveri, nelle carceri e negli ospedali. Aveva poi la passione di visitare le antiche catacombe cristiane, dove s’immergeva in preghiera. In previsione del Giubileo del 1550 fondò una confraternita per assistere i pellegrini che si sarebbero riversati a Roma. Accettò poi di farsi ordinare sacerdote, ma a patto di mantenere una certa sua libertà. Così prese dimora in una stanzetta presso la Chiesa di S. Girolamo, dove invitava amici, penitenti e soprattutto ragazzi in cerca di una buona educazione cristiana. Nacque così il primo Oratorio della storia, dove – sotto la guida di Filippo – si tenevano incontri, conferenze, attività ricreative e musicali.
Divenne particolarmente celebre e frequentato il Carnevale da lui organizzato per contrastare la licenziosità pagana allora in uso. A partire dal 1564 attorno a Filippo si radunò anche una comunità di sacerdoti che volevano vivere e operare secondo quel suo stile che coniugava così bene umanità, santità e libertà. A Roma era celebre l’umorismo di Filippo (condensato spesso in aforismi, storielle e burle) che sapeva farsi pedagogia serena e intelligente. Anche il confessionale di Filippo era molto ricercato e il santo vi dedicava lunghe ore del giorno e della notte.
Morì a ottant’anni, dopo alcuni mesi di malattia, dicendo di soffrire molto, ma solo perché «a Gesù era toccata una Croce e a lui un letto comodo e pulito».
Lo definirono «il santo della gioia cristiana».
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S. Maria Anna de Paredes Flores (1618-1645).
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 27 maggio
Lo Spirito che dà vita alla Parola
Domenica di Pentecoste
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio (...). Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Cinquanta giorni dopo Pasqua, la discesa dello Spirito santo, raccontata dagli Atti degli Apostoli con la mediazione dei simboli. La casa, prima di tutto. Un gruppo di uomini e donne nella stanza al piano superiore (Atti 1, 13), dentro una casa, simbolo di interiorità e di accoglienza; nella stanza al piano alto, da dove lo sguardo può spaziare più lontano e più in alto; in una casa qualunque, affermazione della libertà dello Spirito, che non ha luoghi autorizzati o riservati, e ogni casa è suo tempio.
Il vento, poi: all'improvviso un vento impetuoso riempì tutta la casa (Atti 2, 2), che conduce pollini di primavera e disperde la polvere, che porta fecondità e smuove le cose immobili. Che non sai da dove viene e dove va, folate di dinamismo e di futuro. «Lo Spirito è il vento che fa nascere i cercatori d'oro» (Vannucci), che apre respiri e orizzonti e ti fa pensare in grande. Mentre tu sei impegnato a tracciare i confini di casa tua, lui spalanca finestre, dilata lo sguardo. Ti fa comprendere che dove tu finisci inizia il mondo, che la fine dell'isola corrisponde all'inizio dell'oceano, che dove questa tua vita termina comincia la vita infinita. Tu confini con Dio.
Poi il simbolo del fuoco. Lo Spirito tiene acceso qualcosa in noi anche nei giorni spenti, accende fiammelle d'amore, sorrisi, capacità di perdonare; e la cosa più semplice: la voglia da amare la vita, la voglia di vivere. Noi nasciamo accesi, i bambini sono accesi, poi i colpi duri della vita possono spegnerci. Ma noi possiamo attingere ad un fuoco che non viene mai meno, allo Spirito, accensione del cuore lungo la strada e sua giovinezza.
Giorno di Pentecoste e ci domandiamo: come agisce lo Spirito santo, che cosa fa in noi e per noi? Dice l'angelo a Maria: Verrà lo Spirito e porterà dentro di te il Verbo (Luca 1, 35). Dice Gesù ai discepoli: Verrà lo Spirito e vi riporterà al cuore tutte le mie parole. Da duemila anni lo Spirito ripete incessantemente nei cristiani la stessa azione che ha compiuto in santa Maria: incarnare il Verbo, dare vita alla Parola. Lo fa ad esempio quando leggo il Vangelo: per anni mi accade che le parole scivolino via, come cose che so da sempre, senza presa sul cuore. Poi un giorno succede che una di queste parole all'improvviso si accende, mi pare di sentirla per la prima volta, la pagina del Vangelo palpita, come una lettera indirizzata a me, scritta per me, contemporanea ai miei sogni, alle mie pene, ai miei dubbi. È lo Spirito che mi ri-corda (letteralmente: mi riporta al cuore) le parole di Gesù. Al cuore, non alla mente. Le fa germe vitale, non elaborato mentale: e ti tocca quel Dio «sensibile al cuore» sognato da Pascal.
(Letture: Atti 2, 1-11; Salmo 103; Galati 5, 16-25; Giovanni 15,26-27; 16,12-15)
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Re: Il Santo del giorno
S. Germano, vescovo
La vita di s. Germano è nota soprattutto attraverso la biografia scritta dal suo amico Fortunato di Poitiers impostata, peraltro, con un troppo evidente gusto per il meraviglioso. I documenti piú seri, relativi soprattutto alla fondazione dell'abbazia di S. Germano e ai primi tempi della sua storia, sono scomparsi al tempo delle invasioni normanne, alla fine del IX sec., e non è quindi possibile effettuare su di essi un controllo severo. Altri documenti sono falsi, redatti molto tempo dopo.
Germano, nato ad Autun verso la fine del V sec., sarebbe stato vittima di due tentativi di assassinio, a cui sfuggí miracolosamente: il primo per una minaccia di aborto mentre la madre lo attendeva ed il secondo poco dopo per avvelenamento. Doveva essere di famiglia relativamente agiata dato che proseguí negli studi ad Avállon. Per quindici anni abitò presso un parente, Scopillone, in una località di incerta identificazione: Laizy (Saoneet-Loire), o Lucey (Cote-d'Or). Già in quest'epoca, senza dubbio, doveva condurre vita eremitica o di reduso, usanza assai frequente nella Francia del V e VI sec. Richiamato da Agrippino, vescovo di Autun, è ordinato diacono e poi, tre anni dopo, prete. Il successore di Agrippino, Nettario, gli affida la direzione del monastero di S. Sinforiano che egli risolleva, non senza difficoltà, dalla decadenza e nel quale egli cercherà i primi elementi per la sua fondazione parigina.
Verso il 556, mentre si trova a Parigi presso il re Chilperico, questi, che apprezza i suoi consigli, lo chiama a succedere al vescovo Libano. D'ora in avanti egli dedicherà parte del suo zelo al compito di moderatore presso il principe ed i suoi successori Clotario e Cariberto; moderatore, tuttavia, piú o meno ascoltato, soprattutto in occasione delle crudeli lotte che segnarono la successione di Clotario e che resero famosi i sinistri nomi delle regine Brunechilde e Fredegonda. Fortunatamente conobbe anche la sposa di Clotario, s. Redegonda, e nel 561, a Poitiers, vide anche benedire la prima badessa di Santa Croce, stabilendo nella stessa epoca legami di amicizia con il poeta Fortunato, suo futuro biografo.
Il nome di Germano è soprattutto legato alla fondazione, da parte di Chilperico, dopo il 543, di un monastero destinato ad ospitare i trofei riportati dalla Spagna: ciò spiega il primitivo patronato della Santa Croce e di S. Vincenzo di Saragozza. Qui Germano chiamò alcuni monaci da S. Sinforiano, sotto la direzione di Drottoveo, e ne consacrò la chiesa un 23 dicembre, probabilmente del 558.
Infine Germano partecipò ad alcuni grandi avvenimenti della Chiesa di Francia: il concilio di Tours del 567, i concili di Parigi, tra cui quello del 573, e la consacrazione del vescovo Felice di Bourges nel 570. Fino a data recente gli si attribuivano anche due lettere, molto interessanti per la conoscenza della liturgia gallicana, che, tuttavia, il Wilmart ha dimostrato essere a lui posteriori.
Germano morì ottuagenario il 28 maggio 576 e fu inumato nella cappella di S. Sinforiano attigua alla chiesa abbaziale, in una tomba decorata, verso il 635, da s. Eligio, consigliere di re Dagoberto. Nel 54, per ordine di Pipino il Breve, fu effettuata una solenne traslazione alla presenza del giovane Carlo Magno e di numeroso clero; tale traslazionè portò al cambiamento della dedicazione della chiesa, mentre avvenivano i miracoli narrati abbondantemente dal monaco Aimone.
Da questo momento il monastero e la sua chiesa (distinta dalla antica chiesa di St.-Germainle-Vieux, demolita nel 1802) onorano il quartiere di St.-Germain-des-Prés, importante centro di vita benedettina dei secc. XVII-XVIII ed uno dei piú pittoreschi della Parigi moderna.
Altri Santi del giorno
S. Giusto, vescovo;
Sant'Ubaldesca, vergine;
B. Ercolano da Piegaro, dell'Ordine dei Minori.
La vita di s. Germano è nota soprattutto attraverso la biografia scritta dal suo amico Fortunato di Poitiers impostata, peraltro, con un troppo evidente gusto per il meraviglioso. I documenti piú seri, relativi soprattutto alla fondazione dell'abbazia di S. Germano e ai primi tempi della sua storia, sono scomparsi al tempo delle invasioni normanne, alla fine del IX sec., e non è quindi possibile effettuare su di essi un controllo severo. Altri documenti sono falsi, redatti molto tempo dopo.
Germano, nato ad Autun verso la fine del V sec., sarebbe stato vittima di due tentativi di assassinio, a cui sfuggí miracolosamente: il primo per una minaccia di aborto mentre la madre lo attendeva ed il secondo poco dopo per avvelenamento. Doveva essere di famiglia relativamente agiata dato che proseguí negli studi ad Avállon. Per quindici anni abitò presso un parente, Scopillone, in una località di incerta identificazione: Laizy (Saoneet-Loire), o Lucey (Cote-d'Or). Già in quest'epoca, senza dubbio, doveva condurre vita eremitica o di reduso, usanza assai frequente nella Francia del V e VI sec. Richiamato da Agrippino, vescovo di Autun, è ordinato diacono e poi, tre anni dopo, prete. Il successore di Agrippino, Nettario, gli affida la direzione del monastero di S. Sinforiano che egli risolleva, non senza difficoltà, dalla decadenza e nel quale egli cercherà i primi elementi per la sua fondazione parigina.
Verso il 556, mentre si trova a Parigi presso il re Chilperico, questi, che apprezza i suoi consigli, lo chiama a succedere al vescovo Libano. D'ora in avanti egli dedicherà parte del suo zelo al compito di moderatore presso il principe ed i suoi successori Clotario e Cariberto; moderatore, tuttavia, piú o meno ascoltato, soprattutto in occasione delle crudeli lotte che segnarono la successione di Clotario e che resero famosi i sinistri nomi delle regine Brunechilde e Fredegonda. Fortunatamente conobbe anche la sposa di Clotario, s. Redegonda, e nel 561, a Poitiers, vide anche benedire la prima badessa di Santa Croce, stabilendo nella stessa epoca legami di amicizia con il poeta Fortunato, suo futuro biografo.
Il nome di Germano è soprattutto legato alla fondazione, da parte di Chilperico, dopo il 543, di un monastero destinato ad ospitare i trofei riportati dalla Spagna: ciò spiega il primitivo patronato della Santa Croce e di S. Vincenzo di Saragozza. Qui Germano chiamò alcuni monaci da S. Sinforiano, sotto la direzione di Drottoveo, e ne consacrò la chiesa un 23 dicembre, probabilmente del 558.
Infine Germano partecipò ad alcuni grandi avvenimenti della Chiesa di Francia: il concilio di Tours del 567, i concili di Parigi, tra cui quello del 573, e la consacrazione del vescovo Felice di Bourges nel 570. Fino a data recente gli si attribuivano anche due lettere, molto interessanti per la conoscenza della liturgia gallicana, che, tuttavia, il Wilmart ha dimostrato essere a lui posteriori.
Germano morì ottuagenario il 28 maggio 576 e fu inumato nella cappella di S. Sinforiano attigua alla chiesa abbaziale, in una tomba decorata, verso il 635, da s. Eligio, consigliere di re Dagoberto. Nel 54, per ordine di Pipino il Breve, fu effettuata una solenne traslazione alla presenza del giovane Carlo Magno e di numeroso clero; tale traslazionè portò al cambiamento della dedicazione della chiesa, mentre avvenivano i miracoli narrati abbondantemente dal monaco Aimone.
Da questo momento il monastero e la sua chiesa (distinta dalla antica chiesa di St.-Germainle-Vieux, demolita nel 1802) onorano il quartiere di St.-Germain-des-Prés, importante centro di vita benedettina dei secc. XVII-XVIII ed uno dei piú pittoreschi della Parigi moderna.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 29 maggio
S. Orsola Ledókowska
Giulia Maria Ledóchowska apparteneva a una famiglia ricca di relazioni e di doni: il papà (originario di Cracovia) era un alto ufficiale austriaco, la mamma apparteneva alla nobiltà svizzera, uno zio era arcivescovo e cardinale, un fratello era destinato a diventare superiore generale dei Gesuiti, una sorella sarebbe diventata fondatrice di un nuovo istituto religioso.
La sua educazione fu particolarmente accurata e serena, tanto che, a ventun’anni, ella disse semplicemente ai genitori che era suo dovere “cominciare a restituire al Signore tutto il bene che essi le avevano dato fin da bambina”: “doveva perciò farsi Santa”. Scelse di entrare tra le suore Orsoline (prendendo il nome di Urszula) per dedicarsi all’educazione delle fanciulle. E poiché, proprio in quegli anni, le ragazze avevano ottenuto il diritto di frequentare l’università, si dedicò ad aiutare quelle meno abbienti: per loro aprì un pensionato a Cracovia. Poi fece lo stesso a s. Pietroburgo, sfidando la polizia segreta russa. Ne aprì ancora uno in Finlandia, poi in Svezia, dove fondò anche il primo quotidiano cattolico.
Tre anni dopo si recò in Danimarca ad assistere i profughi polacchi. Nel 1920 decise di fondare lei stessa un nuovo ramo di Orsoline più orientato verso il mondo delle ragazze emarginate e dei bambini più poveri. Alla sua morte l’Istituto conterà già trentacinque case e più di mille religiose. A esse proponeva “un nuovo tipo di apostolato”: “quello del sorriso che dissipa sempre le nuvole che s’addensano nell’animo, e ci ricorda che abbiamo in cielo un Padre sempre pronto a venire in nostro aiuto”. Ne dava lei stessa testimonianza, dicendo: “In cinquanta anni di vita religiosa non ho avuto un momento in cui mi sia sentita infelice”.
È stata canonizzata nel 2003 da papa Giovanni Paolo II.
Altri Santi del giorno
S. Massimino (IV sec.);
Ss. Martiri della Val di Non (IV sec.).
S. Orsola Ledókowska
Giulia Maria Ledóchowska apparteneva a una famiglia ricca di relazioni e di doni: il papà (originario di Cracovia) era un alto ufficiale austriaco, la mamma apparteneva alla nobiltà svizzera, uno zio era arcivescovo e cardinale, un fratello era destinato a diventare superiore generale dei Gesuiti, una sorella sarebbe diventata fondatrice di un nuovo istituto religioso.
La sua educazione fu particolarmente accurata e serena, tanto che, a ventun’anni, ella disse semplicemente ai genitori che era suo dovere “cominciare a restituire al Signore tutto il bene che essi le avevano dato fin da bambina”: “doveva perciò farsi Santa”. Scelse di entrare tra le suore Orsoline (prendendo il nome di Urszula) per dedicarsi all’educazione delle fanciulle. E poiché, proprio in quegli anni, le ragazze avevano ottenuto il diritto di frequentare l’università, si dedicò ad aiutare quelle meno abbienti: per loro aprì un pensionato a Cracovia. Poi fece lo stesso a s. Pietroburgo, sfidando la polizia segreta russa. Ne aprì ancora uno in Finlandia, poi in Svezia, dove fondò anche il primo quotidiano cattolico.
Tre anni dopo si recò in Danimarca ad assistere i profughi polacchi. Nel 1920 decise di fondare lei stessa un nuovo ramo di Orsoline più orientato verso il mondo delle ragazze emarginate e dei bambini più poveri. Alla sua morte l’Istituto conterà già trentacinque case e più di mille religiose. A esse proponeva “un nuovo tipo di apostolato”: “quello del sorriso che dissipa sempre le nuvole che s’addensano nell’animo, e ci ricorda che abbiamo in cielo un Padre sempre pronto a venire in nostro aiuto”. Ne dava lei stessa testimonianza, dicendo: “In cinquanta anni di vita religiosa non ho avuto un momento in cui mi sia sentita infelice”.
È stata canonizzata nel 2003 da papa Giovanni Paolo II.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 30 maggio
S. Giovanna D'Arco
La vicenda storica e teologica di Giovanna d’Arco non è di facile comprensione, ma ella resta comunque una delle sante più conosciute e amate.
La storia della contadinella di Domremy mandata da Dio a liberare la Francia è certamente straordinaria e oggi molti riconoscono che, senza il suo intervento, la storia dell’Europa non sarebbe stata la stessa e la sua identità cristiana sarebbe stata a rischio.
La liberazione di Orléans realizzata da un esercito guidato dalla “Pulzella” (cioè da una ragazza diciassettenne, vergine) provocò la meraviglia e l’entusiasmo di tutto il popolo francese e l’incoronazione di Carlo VIII nella Cattedrale di Reims sembrò l’avverarsi di un sogno, umanamente impossibile.
Alcuni si chiedono quale santità ci fosse nel guidare un’armata e nell’affrontare sanguinosi combattimenti, ma Giovanna partecipava al combattimento solo innalzando uno stendardo e infondendo coraggio con la sua certezza di fede che la liberazione della Francia era voluta da Dio.
Anche ai soldati Giovanna imponeva comportamenti di giustizia e di lealtà, allora non usuali. In seguito ella avrà modo di dimostrare la sua durante il processo che dovette subire quando cadde prigioniera degli inglesi. Seppe custodire la sua purezza e la sua assoluta fedeltà alla Chiesa nonostante che a giudicarla e a condannarla ingiustamente fossero degli ecclesiastici.
Aveva solo diciannove anni, quando fu arsa viva sulla piazza del vecchio mercato di Rouen e un testimone ha raccontato: «Avvolta ormai dal fuoco, Giovanna gridò più di sei volte: “Gesù!”, e soprattutto col suo ultimo respiro gridò con voce forte “Gesù!”, al punto che tutti i presenti poterono udirla. E quasi tutti piangevano di pietà».
In seguito fu lo stesso papa a riabilitarla, definendola “figlia prediletta della Chiesa”.
Nel 1920 è stata canonizzata e proclamata patrona di Francia.
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S. Giuseppe Marello (XIX sec.);
S. Uberto (VII sec.);
S. Gavino, martire.
S. Giovanna D'Arco
La vicenda storica e teologica di Giovanna d’Arco non è di facile comprensione, ma ella resta comunque una delle sante più conosciute e amate.
La storia della contadinella di Domremy mandata da Dio a liberare la Francia è certamente straordinaria e oggi molti riconoscono che, senza il suo intervento, la storia dell’Europa non sarebbe stata la stessa e la sua identità cristiana sarebbe stata a rischio.
La liberazione di Orléans realizzata da un esercito guidato dalla “Pulzella” (cioè da una ragazza diciassettenne, vergine) provocò la meraviglia e l’entusiasmo di tutto il popolo francese e l’incoronazione di Carlo VIII nella Cattedrale di Reims sembrò l’avverarsi di un sogno, umanamente impossibile.
Alcuni si chiedono quale santità ci fosse nel guidare un’armata e nell’affrontare sanguinosi combattimenti, ma Giovanna partecipava al combattimento solo innalzando uno stendardo e infondendo coraggio con la sua certezza di fede che la liberazione della Francia era voluta da Dio.
Anche ai soldati Giovanna imponeva comportamenti di giustizia e di lealtà, allora non usuali. In seguito ella avrà modo di dimostrare la sua durante il processo che dovette subire quando cadde prigioniera degli inglesi. Seppe custodire la sua purezza e la sua assoluta fedeltà alla Chiesa nonostante che a giudicarla e a condannarla ingiustamente fossero degli ecclesiastici.
Aveva solo diciannove anni, quando fu arsa viva sulla piazza del vecchio mercato di Rouen e un testimone ha raccontato: «Avvolta ormai dal fuoco, Giovanna gridò più di sei volte: “Gesù!”, e soprattutto col suo ultimo respiro gridò con voce forte “Gesù!”, al punto che tutti i presenti poterono udirla. E quasi tutti piangevano di pietà».
In seguito fu lo stesso papa a riabilitarla, definendola “figlia prediletta della Chiesa”.
Nel 1920 è stata canonizzata e proclamata patrona di Francia.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 31 maggio
Santa Maria della Visitazione
Subito dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, la Vergine Santa si mette in viaggio per assistere la cugina Elisabetta nella sua inattesa e avanzata gravidanza, in tarda età. Ed è bello chiudere il mese a lei dedicato, contemplando l’icona di Maria che “porta in visita” il suo Gesù: “La Madre incontra la madre e il Bambino incontra il bambino”, dice la liturgia.
Un incontro tutto pervaso da fremiti e sussulti di gioia. È bello anche chiudere il mese mariano ripetendo assieme alla Vergine Santa il canto del Magnificat sottolineando la bellezza delle parole da lei scelte: tutte espressioni e immagini tratte dalla Scrittura, che però acquistano una particolare “densità” per il fatto che le stesse parole stanno “prendendo carne” nel suo grembo.
Per dire, ad esempio: “Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”, Maria si serve della formula di un antico profeta, ma essa esprime anche l’esatto suono e significato del nome “Gesù”. E se ella dice: “Grandi cose ha fatto in me Colui che è potente”, l’espressione (che è tradizionale) non si riferisce più soltanto agli interventi salvifici di Dio nel grembo della storia, ma alla Sua presenza fisica nel grembo della mamma. Anche quando Elisabetta saluta Maria avviene un notevole cambiamento.
La vecchia cugina, infatti, le dice: “Benedetta te perché hai creduto”, e dovrebbe subito completare la formula aggiungendo, secondo l’uso: “E Benedetto il tuo Dio”. Invece dice con inattesa tenerezza: “E benedetto il Frutto del tuo grembo”. Insomma, la festa della Visitazione annuncia e celebra l’esistenza di un mondo dove anche le parole e le preghiere diventano nuove in forza della presenza umana del Figlio di Dio.
Altri Santi del giorno
S. Petronilla martire romana (I sec.);
S. Vitale di Assisi, eremita (1295-1370).
Santa Maria della Visitazione
Subito dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, la Vergine Santa si mette in viaggio per assistere la cugina Elisabetta nella sua inattesa e avanzata gravidanza, in tarda età. Ed è bello chiudere il mese a lei dedicato, contemplando l’icona di Maria che “porta in visita” il suo Gesù: “La Madre incontra la madre e il Bambino incontra il bambino”, dice la liturgia.
Un incontro tutto pervaso da fremiti e sussulti di gioia. È bello anche chiudere il mese mariano ripetendo assieme alla Vergine Santa il canto del Magnificat sottolineando la bellezza delle parole da lei scelte: tutte espressioni e immagini tratte dalla Scrittura, che però acquistano una particolare “densità” per il fatto che le stesse parole stanno “prendendo carne” nel suo grembo.
Per dire, ad esempio: “Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”, Maria si serve della formula di un antico profeta, ma essa esprime anche l’esatto suono e significato del nome “Gesù”. E se ella dice: “Grandi cose ha fatto in me Colui che è potente”, l’espressione (che è tradizionale) non si riferisce più soltanto agli interventi salvifici di Dio nel grembo della storia, ma alla Sua presenza fisica nel grembo della mamma. Anche quando Elisabetta saluta Maria avviene un notevole cambiamento.
La vecchia cugina, infatti, le dice: “Benedetta te perché hai creduto”, e dovrebbe subito completare la formula aggiungendo, secondo l’uso: “E Benedetto il tuo Dio”. Invece dice con inattesa tenerezza: “E benedetto il Frutto del tuo grembo”. Insomma, la festa della Visitazione annuncia e celebra l’esistenza di un mondo dove anche le parole e le preghiere diventano nuove in forza della presenza umana del Figlio di Dio.
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno 01 giugno
S. Giustino
Nacque in Palestina, all’inizio del secondo secolo, da famiglia di origini latine.
Da giovane s’era appassionato allo studio della filosofia greca, ma s’era interessato anche ai profeti ebraici. Il duplice incontro lo condusse a Cristo, compimento di ogni ricerca e incarnazione piena della Verità. Ricevette il battesimo nel 130 e subito decise di recarsi a Roma e di farsi “missionario” tra i filosofi e gli intellettuali. A tale scopo fondò una sua scuola di filosofia e scrisse un’Apologia in difesa dei cristiani che venivano accusati di ateismo e condannati a morte come sovvertitori dello Stato romano e del suo culto.
I cristiani – diceva Giustino – erano condannati senza essere conosciuti, soltanto in base a pregiudizi e dicerie. Citando molti autori classici e ricorrendo anche ai miti omerici, cerca di accostarli a testi della Sacra Scrittura per mostrare che la sapienza degli antichi viene non solo accolta e onorata nel cristianesimo, ma viene anche compiuta e realizzata. Scrisse anche un Dialogo, indirizzato agli ebrei per mostrare in Cristo l’adempimento delle attese messianiche. In ambedue i testi l’itinerario intellettuale di Giustino era simile: mostrare “la preparazione di Cristo” contenuta nelle relative “scritture” (dei filosofi per i pagani e dei profeti per i giudei).
Fu così l’iniziatore della “filosofia cristiana”, quella che sa riconoscere alla ragione tutto il suo valore e la sua funzione, ma sa anche aprirsi alla luce della Rivelazione.
Dalle sue opere abbiamo molte e interessanti notizie circa la vita delle prime comunità cristiane e le loro celebrazioni liturgiche.
Morì martire nell’anno 165, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio, e la sua “passione” è raccontata in un testo di rara bellezza e intensità.
Altri Santi del giorno
S. Giovanni Battista Scalabrini (1830-1905);
S. Annibale di Francia (1851-1927).
S. Giustino
Nacque in Palestina, all’inizio del secondo secolo, da famiglia di origini latine.
Da giovane s’era appassionato allo studio della filosofia greca, ma s’era interessato anche ai profeti ebraici. Il duplice incontro lo condusse a Cristo, compimento di ogni ricerca e incarnazione piena della Verità. Ricevette il battesimo nel 130 e subito decise di recarsi a Roma e di farsi “missionario” tra i filosofi e gli intellettuali. A tale scopo fondò una sua scuola di filosofia e scrisse un’Apologia in difesa dei cristiani che venivano accusati di ateismo e condannati a morte come sovvertitori dello Stato romano e del suo culto.
I cristiani – diceva Giustino – erano condannati senza essere conosciuti, soltanto in base a pregiudizi e dicerie. Citando molti autori classici e ricorrendo anche ai miti omerici, cerca di accostarli a testi della Sacra Scrittura per mostrare che la sapienza degli antichi viene non solo accolta e onorata nel cristianesimo, ma viene anche compiuta e realizzata. Scrisse anche un Dialogo, indirizzato agli ebrei per mostrare in Cristo l’adempimento delle attese messianiche. In ambedue i testi l’itinerario intellettuale di Giustino era simile: mostrare “la preparazione di Cristo” contenuta nelle relative “scritture” (dei filosofi per i pagani e dei profeti per i giudei).
Fu così l’iniziatore della “filosofia cristiana”, quella che sa riconoscere alla ragione tutto il suo valore e la sua funzione, ma sa anche aprirsi alla luce della Rivelazione.
Dalle sue opere abbiamo molte e interessanti notizie circa la vita delle prime comunità cristiane e le loro celebrazioni liturgiche.
Morì martire nell’anno 165, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio, e la sua “passione” è raccontata in un testo di rara bellezza e intensità.
Altri Santi del giorno
S. Giovanni Battista Scalabrini (1830-1905);
S. Annibale di Francia (1851-1927).
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Età : 64
Re: Il Santo del giorno
S. Blandina
Appartiene al gruppo dei cristiani martirizzati a Lione nel II secolo. Tra tutti, la giovane Blandina è la figura che maggiormente commuove per il suo coraggio.
La vicenda è documentata da una Lettera scritta da testimoni oculari e inviata ai cristiani dell’Asia; lettera che Eusebio di Cesarea inserì integralmente nella sua Historia Ecclesiastica e che Ernesto Renan definì: “Uno dei documenti più straordinari di qualsiasi letteratura”.
Blandina era una povera schiava, tanto che molti dubitavano della sua perseveranza. Stupì invece tutti con la sua fierezza, tanto che su di lei i persecutori si accanirono con ripetuta ferocia. Non essendo cittadina romana, venne subito data in pasto alle fiere, nel circo, davanti a migliaia di spettatori eccitati.
Fu appesa a un palo a forma di croce, ma le bestie non le si avvicinarono; poi fu stesa su una graticola ardente. Ma sembrava che niente riuscisse a distruggere quella giovane vita. Rimasta sola nell’arena, l’avvolsero in una rete e la esposero alla furia di un toro inferocito. S’era fatto un grande silenzio, e gli stessi pagani si dicevano stupiti di non aver mai visto una donna patire tanto e con tanto coraggio. Alla fine dovettero finirla con la spada. Di lei nella Lettera si dice: «Per mezzo di Blandina Cristo ci ha mostrato che quello che sembra, presso gli uomini, di poco prezzo e senza bellezza, merita, presso Dio, una grande gloria, a causa di un amore per lui, che si mostra nella forza e non si glorifica nell'apparenza… Blandina fu ripiena di una tale forza che stancò i carnefici che si succedettero presso di lei dal mattino alla sera… Tutto il suo corpo era lacerato e tormentato… Ma la martire ritrovava sempre le forze per confessare la sua fede.
Era per lei un conforto, un riposo e un ristoro il dire: "Io sono cristiana, e presso di noi non c'è niente di male"».
Altri Santi del giorno
S. Marcellino e Pietro (III sec.);
S. Eugenio I (VII sec.).
Appartiene al gruppo dei cristiani martirizzati a Lione nel II secolo. Tra tutti, la giovane Blandina è la figura che maggiormente commuove per il suo coraggio.
La vicenda è documentata da una Lettera scritta da testimoni oculari e inviata ai cristiani dell’Asia; lettera che Eusebio di Cesarea inserì integralmente nella sua Historia Ecclesiastica e che Ernesto Renan definì: “Uno dei documenti più straordinari di qualsiasi letteratura”.
Blandina era una povera schiava, tanto che molti dubitavano della sua perseveranza. Stupì invece tutti con la sua fierezza, tanto che su di lei i persecutori si accanirono con ripetuta ferocia. Non essendo cittadina romana, venne subito data in pasto alle fiere, nel circo, davanti a migliaia di spettatori eccitati.
Fu appesa a un palo a forma di croce, ma le bestie non le si avvicinarono; poi fu stesa su una graticola ardente. Ma sembrava che niente riuscisse a distruggere quella giovane vita. Rimasta sola nell’arena, l’avvolsero in una rete e la esposero alla furia di un toro inferocito. S’era fatto un grande silenzio, e gli stessi pagani si dicevano stupiti di non aver mai visto una donna patire tanto e con tanto coraggio. Alla fine dovettero finirla con la spada. Di lei nella Lettera si dice: «Per mezzo di Blandina Cristo ci ha mostrato che quello che sembra, presso gli uomini, di poco prezzo e senza bellezza, merita, presso Dio, una grande gloria, a causa di un amore per lui, che si mostra nella forza e non si glorifica nell'apparenza… Blandina fu ripiena di una tale forza che stancò i carnefici che si succedettero presso di lei dal mattino alla sera… Tutto il suo corpo era lacerato e tormentato… Ma la martire ritrovava sempre le forze per confessare la sua fede.
Era per lei un conforto, un riposo e un ristoro il dire: "Io sono cristiana, e presso di noi non c'è niente di male"».
Altri Santi del giorno
S. Marcellino e Pietro (III sec.);
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Re: Il Santo del giorno
Santo del giorno Domenica 03 giugno
All'origine c'è un legame d'amore
Santissima Trinità, a cura di Ermes Ronchi
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Sulla teologia della Trinità il Vangelo non offre formule o teorie, ma il racconto del monte anonimo di Galilea e dell'ultima missione affidata da Gesù agli apostoli.
Tra i quali però alcuni ancora dubitavano. E la reazione di Gesù alla difficoltà, alla fatica dei suoi è bellissima: non li rimprovera, non li riprende, ma, letteralmente, si fa vicino. Dice Matteo: «Gesù avvicinatosi a loro…». Ancora non è stanco di avvicinarsi, di farsi incontro. Eternamente incamminato verso di me, bussa ancora alla mia porta. E affida anche a me, nonostante le mie incertezze, il Vangelo.
Battezzate ogni creatura nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito. I nomi che Gesù sceglie per mostrare il volto di Dio, sono nomi che vibrano d'affetto, di famiglia, di legami. Padre e Figlio, sono nomi che l'uno senza l'altro non esistono: figlio non c'è senza padre, né il padre è tale se non ha figli. Per dire Dio, Gesù scegli nomi che abbracciano, che si abbracciano, che vivono l'uno dell'altro.
Il terzo nome, Spirito Santo, significa alito, respiro, anima. Dice che la vita, ogni vita, respira pienamente quando si sa accolta, presa in carico, abbracciata.
Padre, Figlio, Respiro santo: Dio non è in se stesso solitudine, l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore. Alla sorgente di tutto, è posta la relazione. In principio a tutto, il legame. E qui scopro la sapienza del vivere, intuisco come il dogma della Trinità mi riguardi, sia parte di me, elemento costitutivo di Adamo, creato da principio «a sua immagine e somiglianza». In questa frase, decisiva per ogni antropologia cristiana, mi è rivelato che Adamo non è creato semplicemente ad immagine di Dio, Creatore o Verbo o Spirito, ma più esattamente, e più profondamente, a somiglianza della Trinità. A immagine di un Padre che è la fonte della vita, a immagine di un Figlio che mi innamora ancora, di uno Spirito che accende di comunione tutte le nostre solitudini.
La natura ultima dell'uomo è di essere legame d'amore. Io sono uomo quanto più sono simile all'amore.
Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli... Il termine battezzare nella sua radice significa immergere. Immergete, dice Gesù, ogni creatura dentro l'oceano dell'amore di Dio, rendetela consapevole che in esso siamo, ci muoviamo, respiriamo.
Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Non dimentichiamo mai questa frase, non lasciamola dissolversi, impolverarsi. Sono con voi, senza condizioni, dentro le vostre solitudini, dentro gli abbandoni e le cadute, dentro la morte. Nei giorni in cui credi e in quelli in cui dubiti; quando ti sfiora la morte, quando ti pare di volare. Nulla, mai, ti separerà dall'amore.
All'origine c'è un legame d'amore
Santissima Trinità, a cura di Ermes Ronchi
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Sulla teologia della Trinità il Vangelo non offre formule o teorie, ma il racconto del monte anonimo di Galilea e dell'ultima missione affidata da Gesù agli apostoli.
Tra i quali però alcuni ancora dubitavano. E la reazione di Gesù alla difficoltà, alla fatica dei suoi è bellissima: non li rimprovera, non li riprende, ma, letteralmente, si fa vicino. Dice Matteo: «Gesù avvicinatosi a loro…». Ancora non è stanco di avvicinarsi, di farsi incontro. Eternamente incamminato verso di me, bussa ancora alla mia porta. E affida anche a me, nonostante le mie incertezze, il Vangelo.
Battezzate ogni creatura nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito. I nomi che Gesù sceglie per mostrare il volto di Dio, sono nomi che vibrano d'affetto, di famiglia, di legami. Padre e Figlio, sono nomi che l'uno senza l'altro non esistono: figlio non c'è senza padre, né il padre è tale se non ha figli. Per dire Dio, Gesù scegli nomi che abbracciano, che si abbracciano, che vivono l'uno dell'altro.
Il terzo nome, Spirito Santo, significa alito, respiro, anima. Dice che la vita, ogni vita, respira pienamente quando si sa accolta, presa in carico, abbracciata.
Padre, Figlio, Respiro santo: Dio non è in se stesso solitudine, l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore. Alla sorgente di tutto, è posta la relazione. In principio a tutto, il legame. E qui scopro la sapienza del vivere, intuisco come il dogma della Trinità mi riguardi, sia parte di me, elemento costitutivo di Adamo, creato da principio «a sua immagine e somiglianza». In questa frase, decisiva per ogni antropologia cristiana, mi è rivelato che Adamo non è creato semplicemente ad immagine di Dio, Creatore o Verbo o Spirito, ma più esattamente, e più profondamente, a somiglianza della Trinità. A immagine di un Padre che è la fonte della vita, a immagine di un Figlio che mi innamora ancora, di uno Spirito che accende di comunione tutte le nostre solitudini.
La natura ultima dell'uomo è di essere legame d'amore. Io sono uomo quanto più sono simile all'amore.
Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli... Il termine battezzare nella sua radice significa immergere. Immergete, dice Gesù, ogni creatura dentro l'oceano dell'amore di Dio, rendetela consapevole che in esso siamo, ci muoviamo, respiriamo.
Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Non dimentichiamo mai questa frase, non lasciamola dissolversi, impolverarsi. Sono con voi, senza condizioni, dentro le vostre solitudini, dentro gli abbandoni e le cadute, dentro la morte. Nei giorni in cui credi e in quelli in cui dubiti; quando ti sfiora la morte, quando ti pare di volare. Nulla, mai, ti separerà dall'amore.
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