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Il Santo del giorno

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Messaggio  Elio Ven Apr 13, 2012 10:55 pm

SANTO DEL 14 APRILE

S. Liduina

Un gruppo di ragazze che pattina su una distesa ghiacciata, è un quadro gioioso. Ma se una fanciulla quindicenne cade e non riesce più a rialzarsi, ecco che il mondo intero sembra oscurarsi e diventare triste. Può accadere dovunque e in ogni epoca. E accadde sul finire del milletrecento, in un villaggio olandese, alla giovane Liduina. Da quel giorno fino alla morte, per trentotto anni, non riesce più a rialzarsi dal suo pagliericcio. Ha delle lesioni interne che i medici non sanno diagnosticare, e le malattie si succedono senza tregua. È la disperazione. Ma la ragazza ha la fortuna di incontrare un sacerdote che le dice l’unica cosa sensata che si può dire ai sofferenti: il dolore può essere vissuto in compagnia di Cristo e reso in tal modo salvifico. Basta unire la propria sofferenza alla Sua; il proprio sacrificio al Suo, per il bene del mondo.

Liduina sente la bellezza di queste parole, ma chiede a Gesù un segno. Ed ecco che sul suo capo, visibile a tutti quelli che sono in casa, appare un’Ostia splendente. Poi tutto torna nella normalità, ma la vita della ragazza diventerà tutta un messaggio “eucaristico”. Il suo corpo si consumerà sempre più, ma chiunque entrerà nella sua casa troverà pace e nutrimento spirituale. Liduina sa capire, sa consigliare, sa aiutare a pregare, sa fare amare ciò che è vero e buono. Pur nell’immobilità, lei sembra aver viaggiato là dove nessuno è mai stato: può parlare del paradiso e dell’inferno, di santuari lontani e di paesaggi interiori. Ha una vita mistica che insospettisce alcuni e incanta gli altri. Al suo povero letto giungono pellegrini da ogni nazione e di ogni ceto sociale. Non cercano miracoli, perché il miracolo è proprio quella ragazza che è diventata un dono di speranza per tutti.

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Messaggio  Elio Dom Apr 15, 2012 10:21 am

Credere senza aver visto

II Domenica di Pasqua

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco (...)Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso (...).

È la domenica di Tommaso e di una beatitudine che sento mia: Beati quelli che non hanno visto eppure credono! Le altre le ho sentite difficili, cose per pochi coraggiosi, per pochi affamati di immenso. Questa è una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia. Siamo noi quelli di cui parla Gesù, noi che non abbiamo visto eppure di otto giorni in otto giorni continuiamo a radunarci nel suo nome, a distanza di millenni e a prossimità di cuore; di noi scrive Pietro: «voi lo amate pur senza averlo visto» (1Pt 1,Cool.

Otto giorni dopo venne Gesù, a porte chiuse. C'è aria di paura in quella casa, paura dei Giudei, ma soprattutto paura di se stessi, di come lo avevano abbandonato, tradito, rinnegato così in fretta. Mi conforta pensare che, se anche trova chiuso, non se ne va'. Otto giorni dopo è ancora lì: l'abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare.

Viene e sta in mezzo a loro. Non chiede di essere celebrato, adorato. Non viene per ricevere, ma per dare. È il suo stile inconfondibile. Sono due le cose che porta: la pace e lo Spirito.

Pace a voi. Non un semplice augurio o una promessa futura, ma una affermazione: la pace è a voi, vi appartiene, è già dentro di voi, è un sogno iniziato e che non si fermerà più. Io vi porto questo shalom che è pienezza di vita. Non una vita più facile, bensì più piena e appassionata, ferita e vibrante, ferita e luminosa, piagata e guaritrice. La pace adesso.

Soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito Santo. Su quel pugno di creature, chiuse e impaurite, scende il vento delle origini, il vento che soffiava sugli abissi, che scuote le porte chiuse: ecco io vi mando!

Scende lo Spirito di Gesù, il suo segreto, il suo mistero, ciò che lo fa vivere, il suo respiro stesso: vivrete di ciò di cui vivo io. Lo ha sperimentato Paolo: non son più io che vivo, è Cristo che vive in me. Lo ha comunicato a tutti: Voi siete già stati risuscitati con Cristo (Col 3,1). Già risorti adesso, per una eternità che già mette le sue prime gemme. In quel soffio Gesù trasmette la sua forza: con lo Spirito di Dio voi farete le cose di Dio. E la prima delle cose da Dio è il perdono.

Tommaso, metti qua il tuo dito nel foro dei chiodi, stendi la mano, tocca! Le ferite del Risorto, feritoie d'amore: nel corpo del crocifisso l'amore ha scritto il suo racconto con l'alfabeto delle ferite, indelebili ormai come lo è l'amore.

Gesù che non si scandalizza dei miei dubbi, ma mi tende le sue mani. A Tommaso basta questo gesto. Non è scritto che abbia toccato. Perché Colui che ti tende la mano, che non ti giudica ma ti incoraggia, è Gesù. Non ti puoi sbagliare!


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Messaggio  Elio Lun Apr 16, 2012 1:52 pm

S. Benedetto Giuseppe Labre

A Roma, S. Benedetto Giuseppe Labre, che, preso fin dall’adolescenza dal desiderio di un’aspra vita di penitenza, intraprese faticosi pellegrinaggi a celebri santuari, coperto soltanto di una povera e lacera veste, nutrendosi soltanto del cibo che riceveva in elemosina e dando ovunque esempio di pietà e penitenza; fece di Roma la meta ultima dei suoi viaggi, vivendo qui in estrema povertà e in preghiera.
In questo mondo siamo tutti pellegrini nella valle di lacrime: camminiamo sempre per la via sicura della Religione, in Fede, Speranza, Carità, Umiltà, Orazione, Pazienza e Mortificazione cristiana, per giungere alla nostra patria del Paradiso". Era questa una delle massime preferite di S. Benedetto Giuseppe Labre, che ben corrisponde alla sua testimonianza di vita. Dei 35 anni che visse, almeno 13 li passò da "pellegrino" sulla strada. A giusto titolo perciò lo si definì "il vagabondo di Dio" o anche "lo zingaro di Cristo", espressioni ben più tenere che non "santo dei pidocchi", come venne pure denominato.
Benedetto Giuseppe Labre nacque ad Amettes, presso Arras, il 26 marzo 1748, primo di 15 figli di modesti agricoltori. Fece qualche studio presso la scuola del villaggio e apprese i primi rudimenti del latino presso uno zio materno. Portato più alla vita contemplativa che al sacerdozio, sollecitò invano dai genitori il permesso di farsi trappista. Solo a diciotto anni poté fare richiesta d'ingresso alla certosa di S. Aldegonda, ma il parere dei monaci fu contrario. Stessa ripulsa ricevette dai cistercensi di Montagne in Normandia, dove giunse dopo aver percorso a piedi 60 leghe in pieno inverno. Solo sei settimane durò il suo soggiorno nella certosa di Neuville, e poco di più rimase nell'abbazia cistercense di Sept-Fons, di cui però avrebbe sempre portato la tunica e lo scapolare di novizio.
A 22 anni prese la grande decisione: il suo monastero sarebbe stato la strada, e più precisamente le strade di Roma. Nel sacco di povero pellegrino portava tutti i suoi tesori: il Nuovo Testamento, l'Imitazione di Cristo e il breviario che recitava ogni giorno; sul petto portava un crocifisso, al collo una corona e tra le mani un rosario. Mangiava appena un tozzo dì pane e qualche erba; non chiedeva la carità e, se la riceveva, si affrettava a renderne partecipi gli altri poveri, anche a rischio che il donatore, scorgendovi un gesto di scontentezza, facesse seguire alla moneta una gragnuola di bastonate (come effettivamente avvenne un giorno). Di notte riposava tra le rovine del Colosseo e le sue giornate le passava nella preghiera contemplativa e nei pellegrinaggi ai vari santuari: uno dei più cari al suo cuore fu quello di Loreto.
Morì logorato dagli stenti e dall'assoluta mancanza d'igiene il 16 aprile 1783, nel retrobottega del macellaio Zaccarelli, presso la chiesa di S. Maria dei Monti, in cui venne sepolto tra grande concorso di popolo. Venne canonizzato nel 1881 da Leone XIII.
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Altri Santi del giorno

S. Contardo, pellegrino;
B. Gioacchino, religioso dall'Ordine dei Servi di Maria.

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Messaggio  Lux Gio Apr 19, 2012 10:44 am

Sant' Emma di Sassonia Vedova



m. 19 aprile 1040

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Visse in Germania. Adamo di Brema ci dice che fu sorella del vescovo di Paderbon e moglie di Liutgero di Sassonia. Rimasta vedova in giovane età, senza figli, in una condizione assai scomoda ed esposta a mille insidie, donò le sue grandi sostanze ai poveri, a cui si dedicò per tutta la vita.

Etimologia: Emma = gentile, fraterna, nutrice, dall'antico tedesco


Ricordiamo pure.....


San Leone IX Papa

Sant' Emma di Sassonia Vedova

Sant' Espedito di Melitene Martire

San Varnerio (Werner) di Oberwesel Martire

Sant' Elfego (Elfege) di Canterbury Vescovo

San Giorgio d'Antiochia Vescovo

San Mappalico Martire
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Messaggio  Mareluna Gio Apr 19, 2012 3:29 pm

Lux ha dato il cambio ad Elio vi vedo molto affiatati in questa sezione
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Messaggio  Lux Gio Apr 19, 2012 10:33 pm

Ciao Mareluna, in effetti è una cosa che prende quando la inizi e sono felice che Elio si sia proposto a continuarla nel periodo che non ho potuto ma non è una mia esclusiva chiunque se vuole può postare............
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Messaggio  Elio Gio Apr 19, 2012 11:31 pm

SANTO DEL 20.04.2012
S. Sara di Antiochia

La storia della martire Sara è stata certamente abbellita con elementi leggendari, ma il suo nucleo corrisponde bene alla psicologia di una madre cristiana, e trasmette una significativa testimonianza dei primi secoli sulla fede della Chiesa a riguardo del Battesimo.

Un antico documento liturgico che raccoglie notizie sui santi (il Sinassario Alessandrino) narra, dunque, che Sara di Antiochia, sposa di un alto ufficiale dell’imperatore Diocleziano, si era messa in viaggio verso Alessandria d’Egitto per sfuggire alla proibizione dell’imperatore che le vietava di far battezzare i suoi bambini. Il marito di Sara, per paura, aveva rinnegato la fede cristiana, ma la donna l’aveva tenacemente conservata.

Durante il viaggio per mare, la tempesta infuria e si teme il naufragio. Sara vuole ad ogni costo salvare almeno l’anima dei suoi figli: si incide, allora, sul petto una leggera ferita, e col proprio sangue segna una croce sulla fronte dei piccoli; poi li immerge tre volte nelle acque del mare invocando su di loro le tre persone della Santissima Trinità.

La tempesta si placa e Sara, giunta ad Antiochia, corre dal Vescovo che sta battezzando i catecumeni in Cattedrale. Ma far battezzare anche quei bambini risulta impossibile: ogni volta che essi si avvicinano, l’acqua del catino si rapprende in ghiaccio. Interrogata dal Vescovo, la donna racconta il rito che ha compiuto in mare e riceve da lui l’assicurazione sulla validità del battesimo da lei amministrato che, perciò, non deve essere ripetuto. Tornata in patria, Sara racconta l’accaduto al marito, sperando nella sua conversione. Il marito lo racconta all’imperatore e costui, incollerito, condanna a morte la madre e i bambini.

Le mamme che si preparano con trepidazione al battesimo dei loro piccoli possono affettuosamente invocarla.
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Messaggio  Lux Ven Apr 20, 2012 9:54 am

Ricordiamo altresì:


Sant' Agnese Segni di Montepulciano Vergine

Sant' Aniceto Papa

San Teodoro Trichinas Monaco

San Donnino di Digne Vescovo

Sant' Endelienda Vergine

Sant' Eliena (Eilena, Elena) di Laurino Solitaria
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Messaggio  Zeus Ven Apr 20, 2012 2:05 pm

n potiti dira ca v'aviti scordatu ncunu onomasticu
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Messaggio  Elio Ven Apr 20, 2012 10:58 pm

SANTO DEL 2 PRILE
S. Anselmo d'Aosta


Anselmo nacque ad Aosta nel 1033, da famiglia imparentata con i Savoia. Reagendo alle pressioni del padre che voleva impegnarlo negli affari di famiglia, fuggì di casa recandosì alla abbazia di Le Bec in Normandia, una delle più fiorenti scuole di teologia di allora, guidata dall’abate Lanfranco. Qui completò gli studi fino al sacerdozio, facendosi stimare per le doti di mente e di cuore. Nel 1078 Lanfranco fu eletto alla sede episcopale di Canterbury e Anselmo, ancora piuttosto giovane, fu nominato abate. Non trascurò tuttavia gli studi filosofici e teologici e fu uno dei più fecondi autori religiosi del suo tempo.

Nel 1089 successe a Lanfranco anche nella sede arcivescovile, divenendo Primate d’Inghilterra. Ma si scontrò con le pretese del re Guglielmo il Rosso che lo costrinse ripetutamente all’esilio. Il contrasto verteva sulla libertà della Chiesa e continuò anche sotto Enrico I. Ma Anselmo seppe coniugare la bontà con la fermezza e l’audacia, e riuscì infine a conquistarsi la fiducia del Sovrano. Assieme a S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino, Anselmo è considerato uno dei tre più grandi teologi della Chiesa.

Ci ha lasciato un trattato su Dio (intitolato Monologion, cioè “Soliloquio”) e un altro (intitolato Proslogion, cioè “Colloquio”) sulla Sua esistenza: secondo Anselmo, essa è provata dal fatto che deve necessariamente esistere “l’Essere di cui non si può pensare niente di più grande”. Scrisse anche un trattato sul mistero dell’Incarnazione (intitolato Cur Deus Homo - “Perché Dio si è fatto uomo”). È di Anselmo il famoso principio: “La fede chiede il lavoro della ragione”. Ed è una bella caratteristica della sua teologia il fatto che essa si tramuti spesso in preghiera.

Morì a Canterbury il 21 aprile 1109. Nel 1720, Papa Clemente XI lo ha proclamato Dottore della Chiesa.
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Messaggio  Elio Dom Apr 22, 2012 12:35 am

Quel tocco del Risorto che trasfigura

III Domenica di Pasqua, a cura di Ermes Ronchi

(...) «Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora (...) disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Non sono un fantasma! Mi colpisce il lamento di Gesù, una tristezza nelle sue parole, ma ancor più il suo desiderio di essere toccato, stretto, abbracciato come un amico che torna: Toccatemi. E pronuncia, per sciogliere le paure e i dubbi, i verbi più semplici e più familiari: Guardate, toccate, mangiamo! Non a visioni d'angeli, non a una teofania gloriosa, gli apostoli si arrendono ad una porzione di pesce arrostito, al più familiare dei segni, al più umano dei bisogni. Gesù vuole entrare nella vita concreta dei suoi, esserne riconosciuto come parte vitale. Perché anche il Vangelo non sia un fantasma, un fumoso ragionare, un rito settimanale, ma roccia su cui costruire, sorgente alla quale bere. La bella notizia: Gesù non è un fantasma, ha carne e sangue come noi. Questo piccolo segno del pesce, gli apostoli lo daranno come prova: noi abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41). Perché mangiare è il segno della vita; mangiare insieme è il segno più eloquente di una comunione ritrovata, che lega insieme e custodisce e accresce le vite, figlio delle nostre paure o delle nostre speranze.
Il Risorto non avanza richieste, non detta ordini. La sua prima offerta è «stare in mezzo» ai suoi, riannodare la comunione di vita. Viene e condivide pane, sguardi, amicizia, parola. Non chiede, regala. Non chiede di digiunare per lui, ma di mangiare con lui. Vuole partecipare alla mia vita e che io condivida la sua. Ma in un sentimento di serenità, di distensione.
Infatti la sua prima parola è: pace a voi! Pace, che è il riassunto dei doni di Dio. È la serenità dello spirito che ci permette di capirci, di fare luce nei nostri rapporti, di vedere il sole più che le ombre, di distinguere tra un fantasma e il Signore. Solo il cuore in pace capisce. Infatti, il Vangelo annota: Aprì loro la mente per comprendere le Scritture. Perché finora avevano capito solo ciò che faceva comodo, solo ciò che li confermava nelle loro idee. C'è bisogno di pace per cogliere il senso delle cose. Quando sentiamo il cuore in tumulto è bene fermarci, fare silenzio, non parlare.
Mi consola la fatica dei discepoli a credere, il loro oscillare tra paura e gioia. È la garanzia che la risurrezione di Gesù non è una loro invenzione, ma un evento che li ha spiazzati. Lo conoscevano bene, il Maestro, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi, eppure non lo riconoscono. Gesù è lo stesso ed è diverso, è il medesimo ed è trasformato, è quello di prima ed è altro. Perché la Risurrezione non è semplicemente ritornare alla vita di prima: è andare avanti, è trasformazione, è il tocco di Dio che entra nella carne e la trasfigura.
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Messaggio  Elio Dom Apr 22, 2012 10:49 pm

SANTO DEL 23 APRILE
S. Adalberto (Vojtech), vescovo di Praga e martire

Boemo di origine, aveva un nome slavo: Voytèch. Poi, studente a Magdeburgo, è stato cresimato dall'arcivescovo locale Adalberto, sicché ha deciso di chiamarsi come lui. A 27 anni è già arcivescovo di Praga. È il secondo pastore della città. Ma in questa terra ancora pagana Adalberto vede fallire il suo sforzo di evangelizzazione, e nel 988 abbandona Praga per Roma, dove si fa benedettino. Ma papa Giovanni XV lo rimanda a Praga. Ma è ancora un fallimento. Nel 994 torna al suo monastero sull'Aventino. Qui viene a trovarlo Ottone III. Ma per Adalberto giunge anche una notizia terribile: in Boemia c'è stato un massacro di suoi congiunti. In più papa Gregorio V lo rimanda a Praga, dove però per volere del duca di Boemia non può entrare in città. Si dirige così al nord, missionario tra i prussiani. Il re di Polonia, Boleslao il Valoroso, lo aiuta con una scorta a penetrare in Prussia, fino a Danzica. Di là egli prosegue inerme con pochi monaci, ma il suo lavoro missionario dura appena pochi giorni: nella primavera del 997 Adalberto e i suoi compagni vengono trucidati presso la costa baltica. (Avvenire)
Etimologia: Adalberto = di illustre nobiltà, dal tedesco
Martirologio Romano: Sant’Adalberto (Vojtech), vescovo di Praga e martire, che affrontò molte difficoltà nella sua Chiesa e intaprese numerosi viaggi in nome di Cristo, adoperandosi con tutte le forze per estirpare i costumi pagani; accortosi però di trarre poco profitto, recatosi a Roma si fece monaco; giunto da ultimo in Polonia per portare alla fede i vicini Prussiani, nel villaggio di Tenkitten alle foci della Vistola fu trafitto con le lance da alcuni pagani.
Anno 999: papa Silvestro II canonizza il vescovo Adalberto in Roma, dove il giovane imperatore Ottone III di Sassonia fa restaurare gli edifici del colle Palatino. Altro che “terrori dell’anno Mille”, come si favoleggerà più tardi: ora, dopo secoli di aggressioni esterne, comincia per l’Europa un tempo di ripresa vivacissima. Nascono anche degli Stati, come la Polonia e l’Ungheria, destinati a una vita ultramillenaria.
Boemo di origine, aveva un nome slavo: Voytèch. Poi, studente a Magdeburgo, è stato cresimato dall’arcivescovo locale Adalberto, sicché ha deciso di chiamarsi come lui. A 27 anni lo troviamo già arcivescovo di Praga. E’ il secondo pastore della città, dopo il tedesco Tiethmaro, e il primo di origine slava. Purtroppo qui il cristianesimo è ancora una novità mal compresa e combattuta da molti come straniera e avversa agli antichi usi locali, che vanno dalla poligamia alla vendetta di sangue, alla durezza con gli schiavi. Adalberto vede fallire il suo sforzo, e nel 988 abbandona Praga per Roma, dove si fa benedettino. Ma per i vescovi di Germania questa è una diserzione: protestano duramente a Roma, e papa Giovanni XV rimanda Adalberto a Praga. Lui obbedisce, torna, ritenta, ed è ancora un fallimento. Non bastano la sua cultura, la sua ricca spiritualità e mitezza. Solo, poco aiutato, rinuncia un’altra volta, e nel 994 torna al suo monastero sull’Aventino. Qui viene a trovarlo Ottone III, che lo venera come un maestro e come un padre. Ma ecco dapprima una notizia orribile per Adalberto: in Boemia c’è stato un massacro di suoi congiunti. E poco dopo un’altra, allucinante: sempre per la spinta dei soliti vescovi tedeschi, papa Gregorio V gli comanda ancora una volta di tornare a Praga. Nuova obbedienza, ma ora il duca di Boemia gli proibisce di mettere piede in città, e Adalberto si trova espulso ma libero.
Non torna a Roma. Sarà missionario al Nord, tra i prussiani, che ignorano ancora del tutto il Vangelo. Il re di Polonia, Boleslao il Valoroso, lo aiuta con una scorta a penetrare in Prussia, fino a Danzica. Di là egli prosegue inerme con pochi monaci, ma il suo lavoro missionario dura appena pochi giorni: nella primavera del 997 Adalberto e i suoi compagni vengono trucidati presso la costa baltica. Il duca di Polonia riscatta la salma e la farà poi collocare a Gniezno (prima sede episcopale polacca) nel duomo costruito nell’anno 1000. Intanto nel 999 Papa Silvestro II l’ha già proclamato santo, e nello stesso anno è giunto a Gniezno in pellegrinaggio l’imperatore Ottone III. Nel 1039, poi, è Praga che accoglie per sempre nella cattedrale i resti di Adalberto, il suo primo vescovo slavo. Davanti a quei resti, dopo quasi mille anni, verrà a pregare Giovanni Paolo II, Wojtyla, il primo pontefice slavo della storia cristiana.
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Altri Santi del giorno

S. Giorgio, martire;
S. Marolo, vescovo;
B, Egidio da Assisi, religioso dell'Ordine dei Minori.

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Messaggio  Elio Lun Apr 23, 2012 11:23 pm

SANTO DEL 24 APRILE
S. Fedele da Sigmaringa


Marco Roy, nato nel 1578 a Sigmaringen (una cittadina tenacemente cattolica, sulle rive del Danubio) s’era laureato in Filosofia nel collegio dei gesuiti a Friburgo. Era stato subito scelto come precettore da alcune famiglie nobiliari, ed esercitò tale compito viaggiando per sei anni con i suoi allievi nelle diverse nazioni europee e acquistandosi fama di “filosofo cristiano” (cioè, di ottimo educatore). Era anche un brillante musicista. Tornato in Svizzera, terminò gli studi di Diritto e cominciò a esercitare la professione forense, meritandosi il titolo di “avvocato dei poveri”, perché accettava di difendere gratuitamente coloro che non potevano permettersi di pagargli un onorario.
A trentaquattro anni, disgustato dalla corruzione che allignava tra i suoi colleghi avvocati, decise di farsi cappuccino, destinando i suoi beni alla formazione di studenti poveri, che dotò di borse di studio. Prese il nome di fra Fedele da Sigmaringen e divenne sacerdote. Era un buon predicatore e si trovò subito coinvolto nelle polemiche tra cattolici e protestanti calvinisti. Gli animi erano particolarmente accesi e nemmeno la vita era al sicuro. Nel 1622 la Congregazione di Propaganda Fide, appena istituita a Roma, lo nominò Superiore delle missioni Cattoliche nei Grigioni. Durante la quaresima di quello stesso anno, al termine di una predica (durante la quale era già risuonato un colpo d’arma da fuoco) Fra Fedele, fu attorniato da un gruppo di soldati che gli intimarono di ritrattare tutto ciò che aveva detto dal pulpito: “Non posso – rispose il frate – perché è la fede dei vostri antenati. E io darei volentieri la vita per farvi tornare a questa fede!”.
Fu colpito al capo e trafitto dalle spade. Morì a quarantaquattro anni ed è onorato come “primo martire” nella Congregazione di Propaganda Fide.
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Messaggio  Elio Mar Apr 24, 2012 10:47 pm

SANTO DEL 25 APRILE
B. Giovanni Piamarta


Nonostante il giorno sia dedicato a S. Marco, quest’anno è giusto ricordare anche Giovanni Piamarta, perché la Chiesa si prepara alla sua canonizzazione, per il prossimo 21 ottobre.
Nacque a Brescia nel 1841 e divenne prete a ventiquattro anni. Si interessò subito dei ragazzi di strada perché quello era “il suo mondo”, il mondo che aveva conosciuto, rimasto orfano a 9 anni, in una città stremata, tra il colera del 1836 e la violenza delle Dieci Giornate del 1848. Così cominciò a raccogliere i ragazzi per “educarli al lavoro e attraverso il lavoro”. Ma questo voleva dire, allora, affrontare il problema da tutti i punti di vista, costruendo delle vere e proprie “cittadelle”: alzando edifici e attrezzando laboratori, provvedendo macchinari e istruttori. Lo stesso fece – collaborando con altri geniali sacerdoti – per contrastare la fuga dalle campagne, creando delle colonie in cui esperimentare una nuova agricoltura.
Realizzò anche una tipografia-editrice (l’attuale Queriniana) e fondò la “Congregazione della Sacra Famiglia di Nazaret” e collaborò a fondare la congregazione femminile delle “Umili Serve del Signore”. Così la sua vita si riempì di “opere e opere”, tanto che i suoi collaboratori non sapevano dove trovasse il tempo per tutto. E poi scoprivano che egli, in più, passava ore e ore, all’alba, a pregare davanti al Crocifisso. Ma era dal giorno della sua Prima Messa che Piamarta aveva chiesto a Gesù: “Signore, fa’ che io non sia un servo pigro e inutile!” e perciò continuava a lavorare e a pregare convinto che “a Dio si va per addizione, non per sottrazione”, cioè aumentando le fatiche per lui e non diminuendole. Diceva che “i dolori e le traversie sono un pane avanzato alla tavola di Gesù Cristo”. E perciò non si lamentava se, a volte, quel pane buono era un po’ duro.
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Messaggio  Elio Mer Apr 25, 2012 11:19 pm

SANTO DEL 26 APRILE
S. Pascasio Radberto


Alla nascita – sul finire del sec. VIII – era stato abbandonato sui gradini della chiesa di Notre Dame di Soisson. Le monache lo chiamarono Radberto e lo fecero educare a loro spese. Ebbe una gioventù turbolenta, ma a ventidue anni si decise per la vita monastica nell’abbazia francese di Corbie, vicino ad Amiens. Per umiltà non volle mai diventare sacerdote, ma la sua bontà e la sua saggezza erano tali che i monaci lo scelsero ugualmente come Abate. Ma erano tempi di controversie dottrinale e politiche e Radberto, che anelava solo alla pace e alla tranquillità dei suoi studi teologici, si vide costretto ad abbandonare il monastero. Tornò soltanto dietro assicurazione che non gli avrebbero più imposto nessuna carica.

Si dedicò così a scrivere la sua opera più bella: un trattato su “Il corpo e il sangue del Signore” dove difende la presenza reale del corpo di Gesù (proprio quello nato da Maria, veramente immolato sulla croce e veramente risorto) nell’Eucaristia. Gli chiesero anche di scrivere la vita di qualche santo e lo fece volentieri, perché diceva che “la vita dei santi non deve essere meno preziosa delle loro reliquie, e che – se si ha grande cura di avvolgere in ricche stoffe le loro sacre ossa – si devono pure narrare le loro azioni in uno stile nobile, ugualmente lontano dalla ricercatezza e dalla volgarità". Sentendosi vicino alla morte (forse ricordando l’umiltà della sua nascita, ma più ancora l’umiltà di ogni umana condizione) chiese ai suoi confratelli di non pensare a celebrazioni e a panegirici sulla sua vita: "Non merito di essere ricordato, dimenticatemi". E volle essere seppellito nel reparto dei poveri e dei servitori del monastero.

Viene significativamente raffigurato in adorazione di un ostensorio sorretto dagli Angeli.
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Messaggio  Elio Mer Apr 25, 2012 11:19 pm

SANTO DEL 26 APRILE
S. Pascasio Radberto


Alla nascita – sul finire del sec. VIII – era stato abbandonato sui gradini della chiesa di Notre Dame di Soisson. Le monache lo chiamarono Radberto e lo fecero educare a loro spese. Ebbe una gioventù turbolenta, ma a ventidue anni si decise per la vita monastica nell’abbazia francese di Corbie, vicino ad Amiens. Per umiltà non volle mai diventare sacerdote, ma la sua bontà e la sua saggezza erano tali che i monaci lo scelsero ugualmente come Abate. Ma erano tempi di controversie dottrinale e politiche e Radberto, che anelava solo alla pace e alla tranquillità dei suoi studi teologici, si vide costretto ad abbandonare il monastero. Tornò soltanto dietro assicurazione che non gli avrebbero più imposto nessuna carica.

Si dedicò così a scrivere la sua opera più bella: un trattato su “Il corpo e il sangue del Signore” dove difende la presenza reale del corpo di Gesù (proprio quello nato da Maria, veramente immolato sulla croce e veramente risorto) nell’Eucaristia. Gli chiesero anche di scrivere la vita di qualche santo e lo fece volentieri, perché diceva che “la vita dei santi non deve essere meno preziosa delle loro reliquie, e che – se si ha grande cura di avvolgere in ricche stoffe le loro sacre ossa – si devono pure narrare le loro azioni in uno stile nobile, ugualmente lontano dalla ricercatezza e dalla volgarità". Sentendosi vicino alla morte (forse ricordando l’umiltà della sua nascita, ma più ancora l’umiltà di ogni umana condizione) chiese ai suoi confratelli di non pensare a celebrazioni e a panegirici sulla sua vita: "Non merito di essere ricordato, dimenticatemi". E volle essere seppellito nel reparto dei poveri e dei servitori del monastero.

Viene significativamente raffigurato in adorazione di un ostensorio sorretto dagli Angeli.
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Messaggio  Elio Gio Apr 26, 2012 10:26 pm

SANTO DEL 27 APRILE
S. Zita


È una Santa oggi quasi dimenticata, ma un tempo molto cara al popolo cristiano per le sue umili vicende in cui molte ragazze si riconoscevano. Era, infatti, venerata come patrona delle “donne di servizio”.
La sua storia risale agli inizi del sec. XIII e non racconta altro che questo: la sua nascita in povero paesino di campagna e l’essere stata messa a servizio, a dodici anni, presso una famiglia nobiliare di Lucca. Non le mancavano i soliti maltrattamenti, né un ingiusto sovraccarico di lavoro. Al che si aggiungevano – come spesso accade – le sopraffazioni maligne che le infliggevano gli altri servi.
La ragazza, da parte sua, si esponeva ai rimbrotti per la troppa generosità con cui accoglieva i poverelli alla porta del palazzo, ricorrendo anche a qualche sotterfugio. Ma col tempo tutto cambiò, anche a causa dei simpatici miracoli con cui Dio rimediava ai suoi piccoli espedienti di carità, in modo che non la rimproverassero (quello del pane nascosto nel grembiule che si tramuta in un mazzo di fiori, è un prodigio ricorrente nella storia della carità cristiana). Così i padroni finirono per affezionarsi e per affidarle la gestione dei servizi domestici, a vantaggio di tutta la famiglia, anche di quegli altri servi che prima la osteggiavano.
Zita morì nel 1278, dopo cinquant’anni di servizio, amata da tutti e subito venerata come santa, al punto che la città di Lucca se la scelse come patrona.
E proprio lei, un'umile servetta, ha avuto l’onore di essere nominata, nella Divina Commedia, da Dante, che parlando di un magistrato di Lucca, lo chiama “un anzian di Santa Zita”. Nonostante si tratti di un magistrato messo all’Inferno (nelle “malebolge”), è significativo il fatto che la città d’origine venga addirittura identificata con la sua protettrice.
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Messaggio  Lux Ven Apr 27, 2012 8:06 am

Ricordiamo inoltre..........

San Simeone di Gerusalemme Vescovo e martire

San Liberale

San Pietro Armengol Mercedario

San Pollione di Cibali Martire

San Teodoro Abate

San Mawgan (o Magaldo) Vescovo
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Messaggio  Elio Ven Apr 27, 2012 10:42 pm

SANTO DEL 28 APRILE
S. Gianna Beretta Molla


Nasce nel 1922 a Magenta in una famiglia con solide radici cristiane. Sceglie gli studi di medicina, specializzandosi in pediatria, anche perché sogna di raggiungere un suo fratello medico che s’è fatto missionario cappuccino in Brasile. Decisivo è invece l’incontro con l’ingegner Pietro Molla al quale si lega in matrimonio, desiderosa di viverlo come incarnazione dell’infinito amore di Dio per le sue creature. Un amore che si dilata poi con la decisione di «diventare collaboratori di Dio nella creazione, dandoGli dei figli che Lo amino e Lo servano».
La casa viene allietata da tre bambini. Nell’estate del 1961 si annuncia una nuova maternità che Gianna accoglie subito con gioia, anche se non mancano le preoccupazioni per un fibroma che le cresce a fianco dell’utero. Consigliata ripetutamente di ricorrere all’aborto, Gianna rifiuta in maniera assoluta, accordandosi col marito sulla decisione di “salvare anzitutto il bambino”.
La bambina nasce bella e sana nel sabato santo del 1962, ma Gianna muore dopo pochi giorni, lieta del suo sacrificio e della sua obbedienza a Dio.
La spiegazione più profonda della drammatica scelta di Gianna l’ha data il marito stesso: «Non si può dimenticare la fiducia che lei aveva nella Provvidenza. Era persuasa, infatti, come moglie e come madre, d’essere utilissima a me e ai nostri figli, ma di essere soprattutto, in quel preciso momento, indispensabile per la piccola creatura che stava crescendo in lei». Gianna Beretta Molla si appoggiò dunque su questa evidenza di fede: offrì la vita, consapevole che, senza di lei, Dio poteva “provvedere” agli altri bambini, ma che neppure Dio avrebbe potuto “provvedere” alla creatura che aveva in grembo, se lei la rifiutava. Era una madre cristiana sapeva di dovere incarnare la Provvidenza, nel suo stesso grembo.
È stata canonizzata nel 2004.
Il Santo del giorno - Pagina 8 Santa_14

Altri Santi del giorno

S. Vitale (III sec.);
S. Pietro Chanel (1803-1841) S. Luigi Maria Grignion de Montfort.

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Messaggio  Elio Sab Apr 28, 2012 10:38 pm

Santa Caterina da Siena

Santo del giorno di oggi 29 aprile 2011 -

La santa che viene ricordata oggi è santa Caterina da Siena, patrona d’Europa. Non è un caso che il matrimonio di William e Kate, le nozze inglesi, grande evento storico e mediatico di oggi, si siano svolte proprio in questo giorno: la neo sposa porta proprio il nome della Santa. Santa Caterina nasce a Siena il 25 marzo 1347, dal tintore Jacopo Benincasa e da Lapa di Puccio de’ Piacenti. È la 24esima figlia, di 25, è gemella. La sua prima visione avviene alla tenera età di sei anni: vede Cristo Pontefice, accompagnato dagli apostoli Pietro e Paolo e dall’evangelista Giovanni. Questa esperienza sarà importantissima per tutta la sua vita, perché comprende che il senso di essa è rivolgersi tutta a Dio. A sette anni fa voto di verginità, ma la sua famiglia non condivide la scelta perché vorrebbe sistemarla in sposa e fa di tutto per ostacolarla. Un giorno il padre la sorprende in preghiera con una colomba aleggiante sul capo. Decide allora di lasciare libera la figlia perché percorra la propria strada vocazionale. Fa anni di preghiere e penitenze, finchè nel 1363 riceve l’abito domenicano del Terz’ordine (Mantellate, laiche). Continua quindi nella propria cameretta una vita di grandi penitenze. A venti anni impara a leggere, riceve l’anello delle mistiche nozze con Gesù. Inizia anche a dettare le prime lettere, e si prende cura di poveri, malati, carcerati. Intorno a lei iniziano a raccogliersi i primi discepoli, chiamati per scherno “caterinati”.
Caterina scrive lettere a personaggi politici, per il ritorno del papa a Roma. In questo periodo la segue come direttore spirituale fra Raimondo da Capua (che sarà poi suo biografo). Nell’estate a Siena si prende cura dei malati di peste. Poco dopo riceve le stimmate invisibili. Nel 1376 va ad Avignone dove incontra Gregorio XI, che si decide a partire per l’Italia il 13 settembre, passando da Genova, dove Caterina lo convince di nuovo a proseguire il viaggio per Roma.

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Messaggio  Lux Lun Apr 30, 2012 10:21 am

Santa Sofia di Fermo Vergine e martire

Il Santo del giorno - Pagina 8 90529a10


30 aprile

Fermo (Ascoli Piceno), † 250 ca.

Etimologia: Sofia = sapienza, saggezza, dal greco

Emblema: Palma

Martirologio Romano:
A Fermo nelle Marche, santa Sofia, vergine e martire.

Una cosa è certa, la Chiesa tramite il suo testo ufficiale, il ‘Martirologio Romano’ celebra al 12 aprile le sante Vissia e Sofia vergini e martiri di Fermo nel Piceno Italia; detto questo, di certo non si sa altro, né della loro vita né del perché sono celebrate insieme.
Per il resto abbiamo qualche notizia sparsa, lo storico Ughelli nella sua “Italia Sacra” vol. II, parlando della diocesi di Fermo (Ascoli Piceno), attesta che il corpo di santa Vissia riposa nella cattedrale e in effetti nella chiesa metropolitana della città, esistono parecchi reliquiari, fra i quali in un’urna distinta in ebano con ornamenti in metallo dorato di stile barocco, è conservato il capo di santa Vissia martire, stranamente in un’altra urna è pure conservato il capo di santa Sofia martire.
Questa coincidenza dei due crani, fa supporre che esse furono martirizzate nello stesso tempo, se non insieme e probabilmente decapitate.
Secondo tradizioni locali Sofia e Vissia subirono il martirio verso il 250, sotto l’impero di Decio (249-251) durante la settima persecuzione da lui indetta. Esiste nella cattedrale una lapide che descrive santa Vissia che nobilita la città natale con il suo martirio; i loro nomi facevano parte di una lista di santi venerati a Fermo, trasmessa il 5 agosto 1581 da un prelato locale, ad un sacerdote oratoriano e amico di Cesare Baronio, il quale come è risaputo compilò il primo “Martirologio Romano”, e inserì le due sante vergini e martiri insieme allo stesso giorno del 12 aprile.
Secondo alcuni documenti locali s. Sofia è stata celebrata anche il 30 aprile; a tutto ciò bisogna aggiungere che alcuni studiosi ritengono s. Sofia di Fermo, come del resto altre Sofie, come la vedova Sapienza (Sofia) martire, che in Occidente è venerata al 30 settembre insieme alle figlie Fede, Speranza, Carità e il cui culto è diffuso anche in Oriente con i nomi di Sofia, Pistis, Elpis, Agape e ricordate nel culto greco il 1° agosto.
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Messaggio  Elio Lun Apr 30, 2012 11:59 am

Lux menu mala ca ce sidi tuni Very Happy
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Messaggio  Elio Lun Apr 30, 2012 10:24 pm

SANTO DEL 01 MAGGIO
S. Giuseppe, operaio


Il 19 marzo non abbiamo potuto dedicare un “ritratto” a S. Giuseppe. Ma la festa di oggi ci permette ugualmente di ricordarlo come merita.
Il Vangelo chiama Giuseppe “l’uomo di Maria”¸ e la sua grandezza sta, anzitutto, nell’amore veramente sponsale che egli ha avuto per la Vergine Santa e che lei gli ha ricambiato: il loro è stato, infatti, un vero matrimonio. Si usa, poi, dire che Giuseppe era solo il “padre putativo” (cioè reputato tale) di Gesù, ma ciò non significa che la sua paternità sia stata fittizia. Accettato il fatto che le relazioni affettive nella Santa Famiglia siano rimaste “verginali” (tali cioè da non oscurare in alcun modo l’unica e totale paternità di Dio-Padre sul Bambino Gesù), bisogna poi ammettere che le stesse relazioni siano state “vere”.
È per mezzo di Giuseppe che il Figlio di Dio fatto uomo ha potuto gustare in terra “la paternità”: quella che custodisce, che nutre, che educa, che protegge, che fa crescere. Lo stesso nome intimo con cui Gesù si rivolgerà al Padre celeste (chiamandolo “Abbà”, cioè caro papà), l’ha appreso nell’infanzia chiamando così Giuseppe. E se è vero che ogni paternità terrena deve indicare la Paternità di Dio e deve ad essa condurre, si può affermare che nessuno è stato mai così Padre come lo è stato Giuseppe di Nazareth.
Nell’arte cristiana sono molte le raffigurazioni di Giuseppe intento al lavoro nella sua bottega di falegname, mentre Gesù Bambino lo osserva o lo imita (magari giocando a sovrapporre dei legnetti in forma di croce…). La verità di queste raffigurazioni è tutta nel fatto che Gesù – osservando il suo custode terreno – ha davvero imparato la realtà del lavoro umano: le sue leggi, le sue soddisfazioni, le sue preoccupazioni e anche la sua bellezza, quando l’opera dell’uomo si avvicina, anche di poco, all’opera del Creatore.
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Altri Santi del giorno
Geremia Profeta;
Riccardo Pampuri (1897-1930).
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Messaggio  Elio Mar Mag 01, 2012 10:27 pm

SANTO DEL 02 MAGGIO
S. Antonino da Firenze


Nato nel 1389, Antonino Pierozzi – di statura minuta, dalla voce un po’ sgraziata, ma di straordinaria intelligenza – era priore del convento domenicano di San Marco a Firenze, al tempo in cui il Beato Angelico lo abbelliva col suo ciclo di affreschi e l’umanista Niccolò Niccoli lo dotava della prima biblioteca pubblica d’Europa. Il Priore, da parte sua, si dedicava alla preghiera e allo studio, componendo opere di grande valore (la Somma Morale, la Somma storica, lo Specchio di Coscienza) nelle quali armonizzava assieme la teologia, il diritto, la morale, e la spiritualità, offrendo così degli ottimi manuali (vere e proprie enciclopedie) ai predicatori e ai confessori. Era anche ricercatissimo da chi aveva bisogno di un parere sicuro su questioni intricate, al punto che lo avevano soprannominato “Antonino dei consigli”.

A lui ricorrevano in particolare, da ogni parte d'Italia, commercianti e banchieri cristiani che gli chiedevano di esaminare la correttezza giuridica e morale di scritture legali e contratti. Nel 1446 papa Eugenio IV lo nominò arcivescovo della città, costringendolo ad accettare. Non volle onori (nemmeno il solito stemma) e continuò a portare il suo povero saio, recandosi in visita alle parrocchie della diocesi su un misero ronzino e senza alcun preavviso, per evitare inutili spese. Si dedicò tenacemente a un’attenta riforma delle parrocchie e del clero; curò in modo particolare l’istruzione del popolo e diede impulso ad alcune “compagnie di laici” dediti alle più urgenti opere di carità.

Difese la libertà di Firenze contro l’assolutismo di Cosimo dei Medici. Combatté strenuamente l’usura e si fece difensore del diritto degli operai al giusto salario. Sul letto dell’agonia, ancora umile e lieto, esclamò: “Servire Dio è regnare”. Firenze lo ha scelto come suo patrono.
Il Santo del giorno - Pagina 8 2413


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Atanasio il Grande (295-373);
Felice (IV sec.).
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Messaggio  Elio Mer Mag 02, 2012 10:58 pm

Santo del giorno 03 maggio

Santi Filippo e Giacomo


Gli apostoli sono spesso definiti “colonne e fondamento della fede cristiana”, anche se di alcuni non sappiamo quasi a, se non il fatto che hanno risposto alla chiamata di Gesù e hanno costituito la prima Chiesa. Perciò le poche notizie riportate su di loro nella Bibbia hanno una particolare preziosità. A volte, sono così incisive che bastano a delineare “un volto”. Di Filippo, ad esempio, sappiamo solo che ha condotto a Gesù l’amico Natanaele, vincendo le sue resistenze con quella semplice e bella espressione che è diventata patrimonio e metodo di tutti i missionari: “Vieni e vedi!” (Gv 1,46). E il verbo “vedere” sembra che abbia caratterizzato intimamente la sua maturazione spirituale. Durante l’ultima cena, sarà Filippo a dire a Gesù: “Signore, facci vedere il Padre e ci basta!”, ricevendo questa risposta che gli avrà certamente colmato la mente e il cuore per tutta la vita: «Da tanto tempo sono con voi, Filippo, e tu non mi conosci ancora? Chi ha visto me ha visto il Padre! Come puoi dire: “Facci vedere il Padre!”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre e in me?» (Gv 14,8-9). Anche di Giacomo (detto “il minore”, cugino di Gesù), abbiamo poche notizie, ma essenziali: sappiamo che, tra tutti i discepoli, fu quello più attaccato alla tradizione giudaica (e per questo è ancora un punto di riferimento essenziale per tutti gli ebrei che vogliono orientarsi a Cristo) e che fu martirizzato mentre era Vescovo di Gerusalemme. Inoltre gli viene attribuita la Lettera cattolica che porta il suo nome: uno scritto particolarmente intenso e severo, che riprende volentieri i temi delle Beatitudini evangeliche. Ed è utile, inoltre, ricordare che, in essa, trova fondamento il sacramento dell’Unzione degli Infermi.
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Altri Santi del giorno

S. Alessandro I, Papa e martire (II sec.);
beato Edoardo Giuseppe Rosaz (1830-1903).


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