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Il Santo del giorno

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Messaggio  Mody Lun Gen 23, 2012 4:38 pm

ha una costanza questo giovane da fare invidia
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Messaggio  dirramatore Sab Feb 11, 2012 7:25 pm

Beata Vergine Maria di Lourdes

11 febbraio




Il Santo del giorno - Pagina 6 Lourde10




apparizioni 1858

Questa memoria si collega alla vita e all’esperienza mistica di Maria Bernarda Soubirous (santa Bernadetta), conversa delle suore di Nevers, favorita dalle apparizioni della Vergine Maria (11 febbraio – 16 luglio 1858) alla grotta di Massabielle. Da allora Lourdes è diventata mèta di intenso pellegrinaggio. Il messaggio di Lourdes consiste nel richiamo alla conversione, alla preghiera, alla carità.

Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

Martirologio Romano: Beata Maria Vergine di Lourdes, che, a quattro anni dalla proclamazione dell’Immacolata Concezione della beata Vergine, l’umile fanciulla santa Maria Bernardetta Soubirous più volte aveva visto nella grotta di Massabielle tra i monti Pirenei sulla riva del Gave presso la cittadina di Lourdes, dove innumerevoli folle di fedeli accorrono con devozione.


Ai piedi dei Pirenei, Lourdes accoglie ogni anno 5 milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Qui un giorno Maria è apparsa all’umile veggente Bernadette Soubirous, incaricandola di un grande messaggio di speranza per l’umanità, sofferente nel corpo e nello spirito, che è l’eco della parola di Dio affidata alla Chiesa. Quella mattina era un giovedì grasso e a Lourdes faceva tanto freddo. In casa Soubirous non c’era più legna da ardere. Bernadette, che allora aveva 14 anni, era andata con la sorella Toinette e una compagna a cercar dei rami secchi nei dintorni del paese. Verso mezzogiorno le tre bambine giunsero vicino alla rupe di Massabielle, che formava, lungo il fiume Gave, una piccola grotta. Qui c’era “la tute aux cochons”, il riparo per i maiali, un angolo sotto la roccia dove l’acqua depositava sempre legna e detriti. Per poterli andare a raccogliere, bisognava però attraversare un canale d’acqua, che veniva da un mulino e si gettava nel fiume.
Toinette e l’amica calzavano gli zoccoli, senza calze. Se li tolsero, per entrare nell'acqua fredda. Bernadette invece, essendo molto delicata e soffrendo d'asma, portava le calze. Pregò l’amica di prenderla sulle spalle, ma quella si rifiutò, scendendo con Toinette verso il fiume. Rimasta sola, Bernadette pensò di togliersi anche lei gli zoccoli e le calze, ma mentre si accingeva a far questo udì un gran rumore: alzò gli occhi e vide che la quercia abbarbicata al masso di pietra si agitava violentemente, per quanto non ci fosse nell’aria neanche un alito di vento. Poi la grotta fu piena di una nube d’oro, e una splendida Signora apparve sulla roccia.
La Signora aveva l’aspetto di una giovane di sedici o diciassette anni. Vestita di bianco, con una fascia azzurra che scendeva lungo l’abito, portava sulla testa un velo bianco che lasciava intravedere appena i capelli ricadendo all’indietro fino all’altezza della fascia. Dal braccio le pendeva un grande rosario dai grani bianchi, legati da una catenella d’oro, mentre sui piedi nudi brillavano due rose, anch’esse di un oro lucente. Istintivamente, Bernadette s'inginocchiò, tirando fuori la coroncina del Rosario. La Signora la lasciò fare, unendosi alla sua preghiera con lo scorrere silenzioso fra le sue dita dei grani del Rosario. Alla fine di ogni posta, recitava ad alta voce insieme a Bernadette il Gloria Patri. Quando la piccola veggente ebbe terminato il Rosario, la bella Signora scomparve all’improvviso, ritirandosi nella nicchia, così come era venuta. Tre giorni dopo, il 14 Febbraio, Bernadette - che ha subito raccontato alla sorella e all’amica quanto le è accaduto, riferendo della cosa anche in casa – si sente chiamata interiormente verso la grotta di Massabielle, munita questa volta di una bottiglietta di acqua benedetta che getta prontamente sulla S. Vergine durante la nuova apparizione, perché, così le è stato detto, su queste cose non si sa mai e potrebbe anche essere il diavolo a farle un tiro mancino…
La Vergine sorride al gesto di Bernadette e non dice nulla. Il 18 febbraio, finalmente, la Signora parla. “Non vi prometto di farvi felice in questo mondo – le dice - , ma nell’altro. Volete farmi la cortesia di venire qui per quindici giorni?”. La Signora, quindi, confida a Bernadette tre segreti che la giovane deve tenere per sé e non rivelare mai a nessuno. Intanto la notizia delle apparizioni si diffonde in un baleno in tutta Lourdes e molti curiosi si recano con Bernadette in quella grotta dove lei dice di vedere “Aquéro” (quella là, nel dialetto di Lourdes). Bernadette, infatti, non conosce il francese, ma sa parlare solo il patois, il dialetto locale. E nel patois la bella Signora che le appare a Massabielle è “Aquéro”. E intanto l’afflusso della gente alla grotta aumenta. Nell’apparizione del 24 febbraio la Madonna ripete per tre volte la parola “Penitenza”. Ed esorta: “Pregate per i peccatori”. Il giorno seguente, la Signora dice a Bernadette di andare alla fonte a lavarsi e a bere. Ma non c’erano fonti in quel luogo, né sorgenti. La Signora allora indica un punto esatto. Bernadette vi si reca e poiché non vede l’acqua comincia a scavare con le sue mani, impiastricciandosi la faccia e mangiando fili d’erba... Tutti i presenti si burlano di lei. Ma, poco dopo, da quella piccola buca scavata nella terra dalle mani di Bernadette, cominciava a scorrere acqua in abbondanza. Un cieco si bagnò gli occhi con quell’acqua e riacquistò la vista all’istante. Da allora la sorgente non ha mai cessato di sgorgare. E’ l’acqua di Lourdes, che prodigiosamente guarisce ancora oggi ogni sorta di mali, spirituali e fisici, e senza minimamente diffondere il contagio delle migliaia di malati immersi nelle piscine. È anche il ricordo più caro che ogni pellegrino ama portare con sé, facendo ritorno a casa dalla cittadella di Maria. Ma un fatto ancora più eclatante doveva verificarsi, dopo il miracolo della sorgente, per avvalorare come soprannaturali le apparizioni di Massabielle. La Signora aveva chiesto a Bernadette che i sacerdoti si portassero lì in processione e che si costruisse una cappella. L’abate Peyramale, però, parroco di Lourdes, non ne voleva sapere e chiese perciò a Bernadette un segno irrefutabile: qual era il nome della bella Signora che le appariva alla grotta? Nell’apparizione del 25 marzo 1858, “Aquéro” rivelò finalmente il suo nome. Alla domanda di Bernadette, nel dialetto locale rispose: “Que soy era Immaculada Councepciou…” (Io sono l’Immacolata Concezione). Quattro anni prima, Papa Pio IX aveva dichiarato l'Immacolata Concezione di Maria un dogma, cioè una verità della fede cattolica, ma questo Bernadette non poteva saperlo. Così, nel timore di dimenticare tale espressione per lei incomprensibile, la ragazza partì velocemente verso la casa dell’abate Peyramale, ripetendogli tutto d’un fiato la frase appena ascoltata. L’abate, sconvolto, non ha più dubbi. Da questo momento il cammino verso il riconoscimento ufficiale delle apparizioni può procedere speditamente, fino alla lettera pastorale firmata nel 1862 dal vescovo di Tarbes, che, dopo un’accurata inchiesta, consacrava per sempre Lourdes alla sua vocazione di santuario mariano internazionale.

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Messaggio  Elio Mar Feb 28, 2012 1:12 am

IL SANTO DEL GIORNO 27/02/2012

San Gabriele dell'Annunziata
Francesco Possenti, undicesimo di tredici figli, nasce a Assisi il 1 ottobre 1838. Il padre è un alto funzionario dello Stato pontificio. Nel 1841 la famiglia si trasferisce a Spoleto, dove Francesco segue gli studi prima presso le Scuole cristiane e poi nel collegio gesuita della città. La morte della mamma e poi quelle di due fratelli e una sorella lo fanno allontanare dalla vita di società, fino al punto di prendere in seria considerazione la vocazione religiosa. Nel 1856, superando l’opposizione del padre, sceglie di farsi passionista. Nello stesso anno si reca a Morrovalle, presso Loreto, per il noviziato. Veste l’abito passionista il 21 settembre 1857, assumendo il nome di Gabriele di Maria Addolorata. Il giovane si adatta con entusiasmo alla rigida regola della Congregazione, inaugurando una vita di austera penitenza e mortificazione. Nel 1862 riceve l’ordinazione sacerdotale. Sono anni durante i quali Gabriele moltiplica le pratiche di mortificazione e approfondisce la spiritualità mariana. Purtroppo la sua fragile costituzione è minata dalla tubercolosi polmonare. Muore il 27 febbraio del 1862. Nel 1959 è costituito patrono d’Abruzzo.
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Messaggio  Pinto Mar Feb 28, 2012 10:54 am

Il Santo del giorno - Pagina 6 S_roma10


I primi contatti del monachesimo orientale col mondo latino furono propiziati dai frequenti esili ai quali venne condannato S. Atanasio. E’ nel secolo IV infatti che prese il via il monachesimo occidentale, destinato a produrre effetti di spirituale perfezione e di civile progresso.
Basti ricordare S. Benedetto. Il primo monastero in Gallia sorse nel 371 per opera di S. Martino di Tours: poi si ebbe una improvvisa fioritura di abbazie, in una delle quali, ad Ainay, presso Lione, troviamo all'inizio del V secolo il monaco Romano.
Non contento della pur rigida regola che vigeva nel suo monastero, col permesso dell'abate, munito di un testo della Sacra Scrittura e con gli attrezzi da lavoro sulle spalle, egli si inoltrò tra le inesplorate montagne del Giura. Di lui si persero poi le tracce, ma ciò non impedì che qualche anno dopo suo fratello Lupicino, rimasto vedovo, ne scoprisse il romitaggio e si aggregasse a lui, attirando dietro di sé altri uomini. Romano e Lupicino fecero spazio ai nuovi venuti, erigendo un primo grande monastero a Condat e un secondo a Leuconne. Poi li raggiunse anche una loro sorella, per la quale eressero un terzo monastero, poco lontano, in località detta La Beaume. I due fratelli condividevano in perfetta armonia il governo delle nuove comunità. I loro temperamenti, diametralmente opposti, si completavano a vicenda: Romano era uno spirito tollerante, incline alla comprensione e alla magnanimità; Lupicino era austero, intransigente con la regola, della quale pretendeva l'assoluta osservanza. Così, dopo un raccolto eccezionale, avendo i monaci scordato le rigide norme dell'astinenza, Lupicino fece gettare le provviste nel torrente e ordinò che a mensa venisse servita soltanto una minestra d'orzo. Dodici monaci non ressero a tanta austerità e abbandonarono il convento: fu Romano a correr loro dietro e ad implorarli con le lacrime agli occhi di far ritorno all'ovile.
La sua bontà trionfò anche in questa occasione. Più tardi, durante un pellegrinaggio alla tomba di S. Maurizio a Ginevra, compiuto in compagnia di un suo monaco, S. Pallade, avendo trovato riparo per la notte nella capanna dove si celavano due poveri lebbrosi, Romano non esitò ad abbracciarli. Il mattino dopo quei due relitti umani constatarono di essere completamente guariti e corsero in città a raccontare l'accaduto. Altri prodigi si verificarono durante quel pellegrinaggio. Poi il dolce e piissimo Romano tornò definitivamente alla solitudine di Condat dove precedette il fratello e la sorella nella tomba, nel 463. Era nato verso il 390.


Autore: Piero Bargellini

da:

www.santiebeati.it

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Messaggio  Elio Mer Feb 29, 2012 5:16 pm

Grazie pinto sei un vero amico
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Messaggio  Elio Mer Feb 29, 2012 5:17 pm

Beata Antonia da Firenza
Per diffondere luce, a cura di Antonio Maria Sicari
Negli ultimi tempi L’Aquila è diventata una città cara al nostro cuore per le sofferenze che ha subito nel recente terremoto. E’ giusto perciò – in questo 29 febbraio, che ricorre raramente – ricordare la Beata Antonia (nata a Firenze nel 1400) il cui corpo, ancora incorrotto, ha riposato fino a qualche anno fa nel monastero aquilano del Corpus Domini, da lei fondato. Poi le monache han dovuto trasferirsi a Paganica e hanno portato con sé la preziosa reliquia. Si usa dire che L’Aquila è la città delle “novantanove fontane, novantanove piazze, novantanove palazzi, novantanove chiese”, e qualcuno aggiunge simpaticamente: anche “novantanove santi”.
E, difatti, solo a leggere la vicenda terrena della Beata Antonia non è difficile cogliere l’incrociarsi terreno del cammino di vari Santi. Sposata giovanissima e rimasta subito vedova, Antonia incontra San Bernardino da Siena che predica in Santa Croce a Firenze nel 1425. E decide di consacrarsi a Dio, entrando in un convento di terziarie francescane. Poi viene inviata come badessa a Foligno, ad Assisi e a Todi.
Inviata a L’Aquila nel 1433 vi fonda un nuovo convento di terziarie francescane che dirige per tredici anni. Ma in cuore ha il desiderio di una forma di vita più nascosta, in assoluta povertà, secondo l’antico ideale delle clarisse. Lo può alla fine realizzare con l’aiuto di S. Giovanni da Capistrano fondando il monastero dell’Eucaristia, detto anche “di Santa Chiara povera”.
Qui Antonia vive in umiltà e nascondimento, ma amata da tutta la città. Le cronache dicono che si poteva applicare anche a lei quello che il Celano aveva scritto di S. Chiara che, dal nascondimento del suo monastero, “diffondeva chiarore in tutto il mondo; lei, infatti, taceva ma la sua fama gridava”. Morì nel 1472, lasciando un monastero dove abiteranno poi molti altre sante.
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Altri Santi del giorno

S. Osvaldo di Worchester (X sec.);
S. Augusto Chapdelaine (1814-1856).


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Messaggio  Elio Ven Mar 02, 2012 3:56 am

S.Agnese di Boemia
Libertà di appartenere, a cura di Antonio Maria Sicari

Agnese, figlia del Re di Boemia (l’attuale Repubblica Ceca) e nipote del Re d’Ungheria, nacque a Praga nel 1221 e fu una delle principessine più corteggiate del suo tempo.

A nove anni era già promessa sposa al figlio dell’imperatore Federico Barbarossa ed era stata, per questo, condotta alla corte del Duca di Vienna. Solo a quattordici anni era riuscita a rompere il fidanzamento e a tornare in patria.

Si fecero avanti allora il Re d’Inghilterra e lo stesso Barbarossa per chiederla in sposa, ma la ragazza s’era ormai irrimediabilmente innamorata: di Cristo. Lo era sempre stata, fin da bambina, ma l’amore era cresciuto da quando erano giunti nella sua patria alcuni francescani che le avevano raccontato la storia di Chiara d’Assisi.

Agnese decise di imitarla, facendo voto di verginità, anelando a imitarla anche nella povertà. E poiché l’assedio dei regali pretendenti non cessava, Agnese si appellò al Papa che difese la libertà della ragazza e la santità del voto che la legava indissolubilmente a Cristo.

Subito la principessa si liberò anche delle sue ricchezze e fondò un monastero per vivere, assieme ad altre ragazze, quella povertà radicale che Chiara le insegnava (e possediamo la bella corrispondenza che la Santa d’Assisi le inviava). Ma, accanto, fondò anche un ospedale, per la cura dei più miseri. L’intera Europa fu presa da stupore per quella dolce vicenda di amore sacro e di femminile libertà cristiana che la Chiesa sapeva garantire.

È stata canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1989, per sottolineare proprio in quell’anno fatidico, la forza e la bellezza delle radici cristiane dell’Europa
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Messaggio  Elio Lun Mar 05, 2012 12:09 am

Santo del giorno 05.03.2012
SANT'ADRIANO DI CESAREA
A Cesarea in Palestina, sant’Adriano, martire, che, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, nel giorno in cui gli abitanti erano soliti celebrare la festa della Fortuna, per ordine del governatore Firmiliano, fu per la sua fede in Cristo dapprima fu gettato in pasto a un leone e poi sgozzato con la spada.
Subì il martirio con Eubulo il 5 o 7 marzo 309, «sesto anno della persecuzione», secondo la testimonianza di Eusebio. Essendo venuti ambedue a Cesarea in Palestina per aiutare i martiri di quella città, i due santi furono scoperti e, per aver confessato la loro fede, furono condannati alle belve. Adriano, dopo essere stato gettato in pasto ad un leone, fu finito con la spada. Nei sinassari greci il giorno 7 o 8 maggio è celebrata la festa dei ss. mm. Eubulo e Giuliano, ma è chiaro, come ha acutamente osservato il Delehaye, che sotto questo secondo nome si nasconde una corruzione del nome di Adriano. Qualche cosa di analogo è accaduto nel Martirologio Geronimiano, dove fra i santi ricordati il 5 marzo sono menzionati Adriano ed Euvolo, il cui nome appare corrotto nei codd. secondo la pronunzia bizantina.
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Messaggio  Elio Mar Mar 06, 2012 12:24 am

SANTO DEL GIORNO 7 MARZO 2011 SANTE PERPETUA E FELICITA -
Si celebrano oggi come sante del giorno le sante Perpetua e Felicita, entrambe martiri per la loro fede, come simboleggiano le palme con cui vengono rappresentate nell’icconografia tradizionale. Entrambe furono arrestate a Cartagine sotto l’imperatore Settimio Severo insieme ad altre giovani catecumene.
Perpetua era madre di un bambino ancora lattante, mentre Felicita portava avanti una gravidanza ormai avanzata. I loro aguzzini non ne ebbero pietà, aspettarono solo il parto di Felicita, perché non poteva essere uccisa da incinta, secondo la legge.
Siamo a Cartagine, nel Nord Africa, anno 203. Santa Perpetua fu tenuta a lungo in carcere in attesa della morte, e in quei giorni tenne una sorta di diario in cui descrisse la prigione affollata, il caldo che tormentava quella povera gente; santa Perpetua si segna nomi di visitatori, racconta sogni e visioni degli ultimi giorni. Perpetua, appena ventiduenne, era una gentildonna, sposata e madre di un bambino.
Il Santo del giorno - Pagina 6 Getatt10
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Messaggio  Elio Gio Mar 08, 2012 12:25 am

08 marzo 2012
San Giovanni di Dio, religioso

Portogallo, 1495 - Granada, Spagna, 1550

Giovanni, successivamente contadino, militare, commerciante, si sentì alla fine chiamato a servire Cristo nei malati. Fondò ospedali, dove pieno di fiducia nella provvidenza di Dio e sollecitando la cooperazione dei buoni (”fate beni, fratelli, a voi stessi”) curò con straordinaria sollecitudine gli infermi del corpo e dello spirito. Ne continuano l’opera i Fatebenefratelli.
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Altri Santi del giorno:

* Beato Faustino Miguez Padre Scolopio
* San Felice di Dunwich Vescovo
* San Probino di Como Vescovo
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Messaggio  Elio Sab Mar 10, 2012 2:13 am

SAN SIMPLICIO PAPA
S. Simplicio, nativo di Tivoli, esercitò il ministero pontificio dal 468 al 483, in un periodo tormentato sia per la vita della Chiesa che per quella dello Stato. Com'è noto, Odoacre, poiché non venivano soddisfatte le richieste di terre da coltivare avanzate dai suoi Eruli, troncò ogni indugio: tolto di mezzo Oreste, ne depose il figlio Romolo Augustolo, ultimo rappresentante imperiale, che relegò in una villa napoletana con una rendita annuale di 6.000 libbre d'oro, e rinviò le insegne imperiali all'imperatore d'Oriente, Zenone.
Neppure questi d'altra parte aveva una vita tranquilla, poichè proprio nel 475-476 dovette fronteggiare la rivolta di Basilisco: riuscì ad averne ragione solo con l'aiuto di Teodorico, re degli Ostrogoti, che poi spodestò anche Odoacre. Questa serie di avvicendamento non restava senza conseguenze anche per la vita della Chiesa sia in Occidente che in Oriente. Odoacre, infatti, e anche Teodorico erano seguaci dell'eresia ariana, mentre Basilisco si appoggiava nella sua rivolta particolarmente sui seguaci dell'eresia monofisita.
Il monofisismo era stato suscitato da Dioscoro, patriarca di Alessandria d'Egitto, e soprattutto dal monaco Eutiche: la sua tesi centrale, che le dava anche il nome, era che in Cristo vi è una sola natura, quella divina. Nonostante l'importante ed energico intervento di S. Leone Magno, l'eresia trionfò in occasione del cosiddetto "latrocinio di Efeso", ma due anni dopo la dottrina ortodossa venne affermata con chiarezza nel concilio di Calcedonia, che assunse come articolo di fede il documento di S. Leone Magno.
Questo concilio emanò anche il famoso canone 28, che riconosceva una preminenza del patriarcato costantinopolitano, che venne contestata come innovazione pericolosa dagli inviati di S. Leone Magno e venne combattuta anche da S. Simplicio. La controversia sul monofisismo andò avanti ancora per qualche tempo: ne fu responsabile anche l'imperatore Zenone che nel 482 tentò un impossibile compromesso con il suo Henoticon, contro il quale papa Simplicio prese netta posizione.
Oltre a questa difesa della dottrina cristiana genuina, S. Simplicio si rese benemerito per aver restaurato e dedicato alcune chiese romane come S. Stefano Rotondo e S. Bibiana, e, mostrandosi rispettoso di ogni valida arte, fu lui ad ordinare che venissero salvati dalla distruzione i mosaici pagani della chiesa di S. Andrea. Le sue reliquie si venerano a Tivoli.
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Messaggio  Elio Dom Mar 11, 2012 12:04 am

Santo del giorno Domenica 11 marzo 2012

Ogni vita è un tempio, casa di Dio

III Domenica di Quaresima.
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». [...] Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» [...].
Un gesto inatteso, quasi imprevedibile: Gesù che prepara una frusta, la brandisce e attraversa l'atrio del tempio come un torrente impetuoso, che travolge uomini, animali, tavoli e monete. La cosa che più mi colpisce e commuove in Gesù è vedere che in lui c'erano insieme la tenerezza, la dolcezza di una donna innamorata e la determinazione, la forza, il coraggio di un eroe sul campo di battaglia (C. Biscontin). All'avvicinarsi della Pasqua, questo gesto, e le parole che lo interpretano, risuonano carichi di profezia: Non fate della casa del Padre mio un mercato! Del tempio di Gerusalemme, di ogni chiesa, ma soprattutto del cuore.
A ogni credente Gesù ripete il suo monito: non fare mercato della fede. Non adottare con Dio la legge scadente della compravendita di favori, dove tu dai qualcosa a Dio (una Messa, un'offerta, una candela...) perché lui dia qualcosa a te. Se facciamo così, se crediamo di coinvolgere Dio in questo giuoco mercantile, siamo solo dei cambiamonete, e Gesù rovescia il nostro tavolo: Dio non si compra ed è di tutti. Non si compra neanche a prezzo della moneta più pura. Noi siamo salvi perché riceviamo. Casa di Dio è l'uomo: non fare mercato della vita! Non immiserirla alle leggi dell'economia e del denaro. Non vendere dignità e libertà in cambio di cose, non sacrificare la tua famiglia sull'altare di mammona, non sprecare il cuore riducendo i suoi sogni a oro e argento. La triste evidenza che oggi determina il bene e il male, la nuova etica sostiene: più denaro è bene, meno denaro è male. Sotto questa mannaia stolta passano le scelte, politiche o individuali. Ma «l'esistenza non è questione di affari. È solo danza, che nasce dal traboccare dell'energia» (Osho).
Non fare mercato del cuore! Non sottometterlo alla legge del più ricco, né ad altre leggi: quella del più forte, o del più astuto, o del più violento. Leggi sbagliate che stanno dentro la vita come le pecore e i buoi dentro il tempio di Gerusalemme: la sporcano, la profanano. Fuori devono stare, fuori dalla casa di Dio, che è l'uomo. Profanare l'uomo è il peggior sacrilegio che si possa commettere, soprattutto se debole, se bambino, il suo tempio più santo.
I Giudei presero la parola: Quale segno ci mostri per fare queste cose? Gesù risponde portando gli uditori su di un altro piano: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò. Non per una sfida a colpi di miracolo, ma perché tutt'altro è il tempio di Dio: è lui crocifisso e risorto, e in lui ogni fratello. Casa di Dio è la vita, tempio fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita. Perché Lui sulla mia pietra ha posato la sua luce.
(Letture: Esodo 20,1-17; Salmo 18; 1 Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25)
Il Santo del giorno - Pagina 6 Untitl50

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Messaggio  Elio Lun Mar 12, 2012 12:01 am

Sant' Eugenio Martire a Deuil
Santo del 12 marzo 2012
Una passio, scritta nell'850-875 (?) sotto l'influenza della abbazia di S. Dionigi, priva, peraltro, di ogni carattere storico, pretende che Eugenio fosse cittadino romano. Andando in Francia, s. Dionigi l'Aeropagita lo incontrò e gli conferì l'episcopato, assegnandogli Toledo come campo di apostolato. Dopo alcuni anni di predicazione fruttuosa, Eugenio volle rivedere Dionigi, di cui ignorava il martirio, per informarlo del suo lavoro. Fu anche lui arrestato per ordine di Fescennino Sisinnio e decapitato il 15 novembre. Gli indicò dove si trovava il corpo del martire.
Solo dato certo è che a Deuil si trovava un modesto santuario che si gloriava di possedere le reliquie di s. Eugenio e l'origine di questo culto sembra essere la deposizione delle spoglie del martire, probabilmente orientale, sotto l'altare della chiesa. Le reliquie, senza dubbio per metterle al riparo dai Normanni, furono trasferite in S. Dionigi.
Eugenio è citato il 15 novembre dal Martirologio di Wandeberto di Prum (verso l'848) e da quello di Usuardo (verso l'875), i quali, però, non parlano affatto del suo carattere episcopale. Il 18 agosto 919 (?) il suo corpo, per iniziativa del riformatore monastico, s. Gerardo, fu portato da S. Dionigi a Brogne (oggi nella diocesi di Namur). Nella descrizione di questo trasferimento Eugenio ha ricevuto il titolo di vescovo di Toledo.
Deuil, malgrado la duplice traslazione, continuò a venerare il santo. La sua chiesa, ceduta nel 1060 a s. Florenzo di Saumur, fu ricostruita nei secc. XI-XII e restaurata recentemente. Nel sec. XIII s. Eugenio appariva nei libri liturgici di Parigi e nei calendari di altre Chiese, ma solo col titolo di martire; all'opposto, l'abbazia di S. Dionigi, ispirandosi ai dati della passio, festeggiò il santo come martire e vescovo di Toledo, titolo che, sotto la influenza della stessa passio, è accordato ad Eugenio dai libri liturgici di Liegi e dal Martirologio di Echternach (cod. Paris. 10158) della fine del sec. XII.
Anche in Spagna il culto di Eugenio dipende completamente delle leggende di s. Dionigi. Non vi era, d'altra parte, nessuna venerazione liturgica prima della traslazione del 1156: il 12 febbraio di quell'anno, su richiesta di Luigi VII, re di Francia, prima, e poi del re di Castiglia, Alfonso VII, l'abate di S. Dionigi portò un braccio del santo a Toledo. Nello stesso modo, a seguito delle istanze di Filippo II, dopo Carlo X, i monaci di s. Dionigi accordarono alla cattedrale di Toledo tutto ciò che ancora possedevano di reliquie, ad eccezione di un braccio. Questa traslazione, avvenuta il 18 novembre 1565, come la precedente, pone un problema di autenticità, perché anche a Brogne si diceva di possedere il corpo intero del santo. Nel 1736 il Breviario parigino di Ventimiglia accorda a Eugenio una lezione storica, che riprende i dati leggendari della passio.
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Messaggio  Elio Lun Mar 12, 2012 11:58 pm


13 marzo
San Rodrigo di Cordova Sacerdote e martire

Era un prete di Cordova, nell’Andalusia, regione che aveva fatto parte del regno dei Visigoti di Spagna. E si trovava in una situazione non rara in quel territorio, allora sotto il dominio arabo: uno dei suoi fratelli era rimasto cristiano e l’altro invece si era fatto musulmano. E lui, Rodrigo, morirà per mano araba, sicché viene raffigurato in genere (anche in un famoso quadro seicentesco del Murillo) con i paramenti di sacerdote e con la palma dei martiri.
Dunque: un cristiano, un prete, ucciso da musulmani. Ma non si tratta in questo caso di persecuzione; all’epoca la regione vede convivere abbastanza pacificamente musulmani, cristiani ed ebrei. Rodrigo è vittima di risse familiari, fraterne. Questo suo fratello musulmano continua a rimproverare all’altro fratello (il terzo) la sua “ostinazione” a rimanere cristiano. Rodrigo tenta di mettere pace tra i due, ma senza riuscirvi: c’è tra loro un’avversione insanabile; vedersi e litigare è tutt’uno.
Un giorno, appunto, Rodrigo li vede picchiarsi selvaggiamente e si lancia a dividerli, e allora i due si mettono a picchiare lui, che sotto i loro colpi crolla privo di sensi. A quel punto il fratello musulmano lo porta via su un carretto – sembra morto – e alla gente stupefatta dà una spiegazione bugiarda: dice che Rodrigo è gravemente malato e che, sentendo vicina la morte, si è fatto anche lui musulmano. La voce si diffonde, ma Rodrigo (nascosto nei dintorni) non ne sa nulla. Guarito, torna in Cordova sempre vestito da prete, e il suo fratello-accusatore lo trascina dal giudice musulmano: "Questo si era fatto seguace dell’Islam, e ora è tornato cristiano: ha tradito la nostra fede". Per un’accusa simile c’è la morte, mentre non si perseguita chi è e resta cristiano. Il giudice cerca di aiutare Rodrigo a salvarsi, suggerendogli perfino una dichiarazione di fedeltà all’Islam, che lo renderebbe subito libero, senza chiedergli precisi impegni sulla pratica della fede coranica. Ma Rodrigo non accetta: cristiano è, e cristiano rimane. A quel punto viene condannato a morte da un giudice riluttante, per l’insistenza di quel fratello.
Fratricidio, ben più che persecuzione. Rodrigo viene poi messo a morte con un altro cristiano di nome Salomone, condannato per lo stesso motivo. Gettati nel fiume Guadalquivir, i corpi verranno recuperati dai cristiani, che seppelliranno Rodrigo nella basilica di San Genesio, presso Cordova, e Salomone in quella vicina dei Santi Cosma e Damiano. Per entrambi la santità è proclamata subito, dal basso, attraverso il culto popolare spontaneo. La festa si celebra sin dal 1581, il 13 marzo.
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Messaggio  Lux Mar Mar 13, 2012 12:21 am

sei molto bravo Elio......mi sa che ti darò lo stipendio a fine mese Very Happy ..io veramente non ho più tempo, meno male che porti avanti tu questo post
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Messaggio  Elio Mar Mar 13, 2012 12:24 am

Lux ha scritto:sei molto bravo Elio......mi sa che ti darò lo stipendio a fine mese Very Happy ..io veramente non ho più tempo, meno male che porti avanti tu questo post
Ti sembrerà strano ma sono talmente preso che non ne posso fare a meno
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Messaggio  Lux Mar Mar 13, 2012 12:27 am

ti capisco perfettamente sai..............mi aveva coinvolto pure a me poi ho dovuto rinunciare
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Messaggio  Elio Mar Mar 13, 2012 12:32 am

Lux ha scritto:ti capisco perfettamente sai..............mi aveva coinvolto pure a me poi ho dovuto rinunciare
Io non posso rinuncire i kimma lux a datu nu bellu impegnu
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Messaggio  Lux Mar Mar 13, 2012 12:40 am

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Messaggio  Elio Mar Mar 13, 2012 12:44 am

Lux ha scritto: Very Happy
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Messaggio  Elio Mer Mar 14, 2012 12:41 am

14 marzo 2012
Santa Matilde di Germania Regina

Santa Matilde, discendente del duca Viduchindo, che aveva guidato i sassoni nella loro lunga battaglia contro Carlo Magno, nacque verso l’895 presso Engern in Sassonia da Teodorico, un conte della Westfalia, e da Rainilde, originaria della real casa danese. Ben presto Matilde fu affidata alle cure della nonna paterna, badessa di Herford, sotto la cui guida crebbe sana e forte, divenendo una donna bella, istruita e devota. Felice si rivelò il matrimonio con il figlio del duca Ottone di Sassonia, Enrico, detto “l’uccellatore” per la sua passione nella caccia del falco. Subito dopo la nascita del loro primogenito Ottone, Enrico succedette al padre e verso il 919, quando re Corrado di Germania morì senza prole, eredito anche il trono tedesco.
A causa delle frequenti guerre Enrico si allontanava spesso da casa e sia lui che i suoi sudditi attribuivano le vittorie conseguite alle preghiere ed al coraggio della regina Matilde, che nel suo palazzo conduceva a tutti gli effetti una vita monacale, generosa e caritatevole verso tutti. Suo marito nutriva nei suoi confronti una cieca fiducia e difficilmente si prendeva la briga di controllare le sue elemosine o si risentiva per le sue pratiche religiose. Nel 936, rimasta vedova, Matilde si spogliò immediatamente di tutti i suoi gioielli rinunciando ai privilegi tipici del suo rango.
Dall’unione tra Enrico e Matilde erano nati cinque figli: Enrico il Litigioso, il futuro imperatore Ottone I, San Bruno arcivescovo di Colonia, Gerburga moglie del re Luigi IV di Francia ed Edvige madre di Ugo Capeto. Enrico avrebbe preferito lasciare il trono al fratello Ottone, ma Matilde tentò di convincere i nobili ad eleggere comunque lui, suo prediletto, ma infine la spuntò Ottone. Enrico inizialmente si ribellò al fratello, ma infine riconobbe la sua supremazia e questi allora, per intercessione di Matilde, lo perdonò e lo nominò duca di Baviera. Suo figlio divenne poi imperatore col nome di Enrico II alla morte di Ottone I.
La regina Matilde conduceva una vita assai austera ed a causa delle sue ingenti elemosine si attirò le ire dei figli: Ottone la accusò infatti di sperperare il tesoro delal corona, le richiese un rendiconto delle sue spese e la fece spiare per tenere sotto controllo ogni suo movimento, ma con suo grande dolore anche il figlio favorito Enrico si schierò con il fratello appoggiando la proposta di far entrare la madre in convento onde evitare ulteriori danni al patrimonio familiare. Matilde sopportò con estrema pazienza tuttò ciò, constatando amaramente come i suoi figli si fossero riappacificati solo per perseguire i loro interessi a suo discapito. Lasciò allora tutta la sua eredità ai figli e si ritirò nella residenza di campagna ove era nata.
Era però destino che la Germania non potesse fare ameno di questa santa donna: appena partita, infatti, Enrico cadde ammalato e sorsero nuovi problemi politici. Sotto pressione del clero e dei nobili, la moglie di Ottone convinse questi a chiedere perdono alla madre, a restituirle il maltolto e richiamarla a partecipare agli affari di stato. Matilde tornò così a corte e riprese anche le sue opere di carità. Enrico continuò comunque ad essere per lei fonte di tormenti: si ribellò nuovamente al fratello Ottone e soppresse in modo sanguinoso una ribellione dei suoi sudditi bavaresi. Nel 955, quando Matilde lo vide per l’ultima volta, ne predisse la morte ed invano lo invitò a tornare sui suoi passi prima che fosse troppo tardi. Ottone invece mostrò rinnovata fiducia nella regina madre, lasciando a lei tutto il potere quando nel 962 dovette recarsi a Roma per ricevere la corona imperiale.
L’ultima riunione di famiglia ebbe luogo tre anni dopo a Colonia, in occasione della Pasqua, poi Matilde si ritirò definitivamente nei monasteri da lei fondati, in particolare a Nordhausen. Verso la fine del 967 una febbre che la disturbava ormai da tempo si aggravò ulteriormente e Matilde, presagendo la sua prossima fine, mandò a cercare Richburga, sua ex dama di compagnia ed ora badessa di Nordhausen, per spiegarle che doveva partire per Quedlinburg, luogo scelto con suo marito per la loro sepoltura. Nel gennaio 968 dunque si trasferì e suo nipote, Guglielmo di Magonza, le fece visita per darle l’assoluzione e l’estrema unzione. Desiderando ricompensarlo, non le restò però che donargli il suo sudario prevedento che ne avrebbe avuto bisogno prima lui: Guglielmo morì infatti dodici giorni prima di lei.
La santa regina spirò il 14 marzo 968 e le sue spoglie mortali erano state appena deposte in chiesa quando giunse una coperta intessuta d’oro mandata dalla figlia Gerburga per adornare il feretro. Il corpo di Matilde venne sepolto accanto a quello del marito e subito iniziò la venerazione popolare nei suoi confronti. Nelle diocesi tedesche di Paderborn, Fulda e Monaco è ancora oggi particolarmente vivo il suo culto. L’iconografia è solita raffigurare Santa Matilde con in mano il modelino di una chiesa o una borsa di denaro, simboli della sua generosità e delle sue fondazioni monastiche, quali Poehlde, Enger, Nordhausen e ben due presso Quedlinburgo.
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Messaggio  Elio Gio Mar 15, 2012 1:04 am

SANTO DEL 15 MARZO 2012
S. Luisa di Marillac
Ascoltare il grido dei poveri, a cura di Antonio Maria Sicari

Nel secolo XVII la Francia è dominata dalla gigantesca personalità di s. Vincenzo de’ Paoli che accoglie nel suo cuore il grido d’ogni specie di poveri, convinto che “la carità è creativa all’infinito”.
Meno nota, ma ugualmente decisiva, è la figura di Luisa de’ Marillac, una giovane vedova che collaborò con lui, aiutandolo a fondare e dirigere le Figlie della Carità: la prima esperienza di donne consacrate che non si rinchiudevano in monastero, ma restavano ad agire nel mondo. Vincenzo e Luisa descrivevano così quel loro progetto: «Le suore di carità avranno per monastero le case degli ammalati. Per cella una camera d’affitto. Per cappella la chiesa parrocchiale. Per chiostro le vie della città. Per clausura l’obbedienza. Per grata il timor di Dio. Per velo la santa modestia. Per professione la confidenza costante nella divina Provvidenza e l’offerta di tutto il loro essere». In tal modo esse poterono prendersi cura degli infermi dell’Hotel-Dieu (allora abbandonati a se stessi), degli accattoni, dei trovatelli, dei carcerati, dei galeotti, degli anziani soli, dei malati mentali, e di ogni altra specie di miserabili. Ma lo facevano sempre ripetendosi che «il fine principale per il quale Dio ci ha chiamati è per amare Nostro Signore Gesù Cristo… Se ci allontaniamo anche di poco dal pensiero che i poveri sono le membra di Gesù Cristo, infallibilmente diminuiranno in noi la dolcezza e la carità».
Ambedue morirono nel 1660, a distanza di pochi mesi, col rimpianto di non aver potuto fare “di più”. Luisa, aveva chiesto a Dio che il suo cuore di donna e di madre «fosse spaccato dalla pazienza e dalla dolcezza verso il prossimo».
Il beato papa Giovanni XXIII l’ha proclamata Patrona delle Assistenti Sociali.
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Messaggio  Elio Ven Mar 16, 2012 12:25 am

SANTO DEL 16 MARZO 2012
. Giovanni De Brébeuf
Fino a donare il cuore, a cura di Antonio Maria Sicari

Nel Seicento gli estesi territori del Canada erano contesi tra Inghilterra, Francia e Olanda, che guerreggiavano per occupare terre e garantirsi il mercato di pellicce pregiate, contendendosi anche l’alleanza o l’ostilità delle diverse tribù indiane (uroni, irochesi, algonchini).
I missionari che giungevano in quelle terre per predicare a tutti il Vangelo, si trovavano di fatto già inquadrati nella lotta, secondo la nazionalità a cui appartenevano. Così i primi gesuiti che giunsero in Canada non poterono far altro che rivolgersi agli uroni, alleati dei francesi, inimicandosi, per questo solo fatto, la feroce tribù degli irochesi.
Giovanni de Brébeuf era giunto con un gruppetto di confratelli e aveva dapprima tentato di convertire gli algonchini, passando con loro cinque mesi, riuscendo a impararne la lingua e a delineare una piccola grammatica e un vocabolario. Poi fu costretto a rivolgersi agli uroni, accanto ai quali visse tre anni, ma guardato con sospetto e in solitudine, tempo che gli servì per comporre un catechismo nella loro lingua (oggi scomparsa). Ci volle molto tempo prima che fiorissero le conversioni, ma la comunità crebbe fino a contare circa settemila battezzati. Ma tutto fu distrutto dagli irochesi, istigati dagli olandesi, che, a partire dal 1640, si applicarono allo sterminio sistematico degli uroni. Nel 1649 fu fatto prigioniero anche padre Giovanni che venne torturato in maniera indicibile: fa rabbrividire anche solo il racconto degli strani tormenti che seppero escogitare per lui.
La forza d’animo e la fede dimostrati dal missionario furono tali che, alla fine, i suoi carnefici gli strapparono il cuore per divorarlo, convinti che sarebbero così impadroniti anche del suo coraggio.
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Messaggio  Elio Sab Mar 17, 2012 12:43 am

SANTOD EL 17 MARZO
S. Patrizio d'Irlanda
Da schiavo a Patrono, a cura di Antonio Maria Sicari

Nato in Inghilterra nel 385, fu rapito dai pirati a sedici anni e venduto schiavo in Irlanda, dove fu messo a pascolare le pecore. Patì freddo e fame, ma ebbe il dono di incontrare la vera fede e di poter ricevere il battesimo.
Dedicava alla preghiera tutto quel tempo che gli toccava vivere in solitudine con il suo gregge. Riuscì a fuggire dopo sei anni di schiavitù e avrebbe dovuto odiare quella terra a lui ostile. Invece vi tornò venticinque anni dopo come missionario. Intanto aveva studiato teologia e aveva fatto un’esperienza al monastero di Lérins, in Francia. Pare che a inviarlo in Irlanda nel 432 sia stato lo stesso Papa, che lo scelse come successore del primo vescovo irlandese, appena defunto.
Fissò la sede vescovile ad Armagh, nel nord dell’isola, dove riuscì a convertire molte migliaia di persone, pur tra l’ostilità dei sacerdoti druidi: «Ogni giorno mi aspettavo di essere ucciso», scriveva Patrizio che per un certo tempo fu anche tenuto prigioniero. Organizzò la Chiesa irlandese creando una rete di piccole comunità locali e di abbazie che, col tempo, sarebbero divenute il centro delle future città (allora inesistenti in Irlanda).
Dovette subire anche la persecuzione di alcuni falsi amici, uno dei quali lo accusò d’immoralità, propalando un’avventura sentimentale giovanile che Patrizio gli aveva confidato anni prima. «Trovarono contro di me un pretesto vecchio di trent’anni…, un peccato commesso quando ancora non conoscevo il Dio vivente», scrisse Patrizio mentre subiva pazientemente quel processo infamante, a cui seguirono altre ingiuste accuse.
A difenderlo c’era il suo popolo, e la fede fiorì in Irlanda al punto tale che sarà chiamata “l’isola dei Santi”. E l’isola scelse per sempre san Patrizio come suo patrono
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Messaggio  Elio Sab Mar 17, 2012 9:35 pm

Dio ci ama tanto da dare suo Figlio

IV Domenica di Quaresima

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio (...)».

In questo brano Giovanni ci consegna il nucleo incandescente del suo Vangelo: Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. È il versetto centrale del quarto Vangelo, il versetto dello stupore che rinasce ogni volta, ad ogni ascolto. Il versetto dal quale scaturisce la storia di Dio con noi. Tra Dio e il mondo, due realtà che tutto dice lontanissime e divergenti, queste parole tracciano il punto di convergenza, il ponte su cui si incontrano e si abbracciano finito ed infinito: l'amore, divino nell'uomo, umano in Dio. Dio ha amato: un verbo al passato, per indicare un'azione che è da sempre, che continua nel presente, e il mondo ne è intriso: «immersi in un mare d'amore, non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama. Tanto da dare suo Figlio: Dio ha considerato ogni nostra persona, questo niente cui ha donato un cuore, più importante di se stesso. Ha amato me quanto ha amato Gesù. E questo sarà per sempre: io amato come Cristo. E non solo l'uomo, è il mondo intero che è amato, dice Gesù, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione tutta. E se Egli ha amato il mondo, anch'io devo amare questa terra, i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua bellezza. Terra amata.

Dio ha tanto amato, e noi come lui: «abbiamo bisogno di tanto amore per vivere bene» (J. Maritain). Quando amo in me si raddoppia la vita, aumenta la forza, sono felice. Ogni mio gesto di cura, di tenerezza, di amicizia porta in me la forza di Dio, spalanca una finestra sull'infinito. «È l'amore che fa esistere» (M. Blondel).
A queste parole la notte di Nicodemo si illumina. Lui, il fariseo pauroso, troverà il coraggio, prima impensabile, di reclamare da Pilato il corpo del crocifisso.

Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, neppure per assolverci nell'ultimo giorno. La vita degli amati non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio. Cristo, venuto come intenzione di bene, sta dentro la vita come datore di vita e ci chiama ad escludere dall'immagine che abbiamo di Lui, a escludere per sempre, qualsiasi intenzione punitiva, qualsiasi paura. L'amore non fa mai paura, e non conosce altra punizione che punire se stesso.

Dio ha tanto amato, e noi come Lui: ci impegniamo non per salvare il mondo, l'ha già salvato Lui, ma per amarlo; ci impegniamo non per convertire le persone, ma per amarle. Se non per sempre, almeno per oggi; se non tanto, almeno un po' E fare così perché così fa Dio.

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